La Gazzetta dello Sport, 19 novembre 2015
Quei calciatori convertiti al kalashnikov dal Califfo
I soldati del Califfo volevano profanare il tempio: a Parigi, nella notte infernale di venerdì, quella cosa sconosciuta e terribile chiamata Isis ha colpito per la prima volta nel cuore del gioco. Allo stadio, luogo di aggregazione enorme e difficile da difendere, obbiettivo perfetto per una strage. Ma, soprattutto, simbolo potente: come il teatro Bataclan e i ristoranti della felice movida parigina, il calcio rappresenta ciò che siamo. Ciò che ci piace fare ed essere. Ciò che i jihadisti vorrebbero cancellare dalla storia. Sono minacce globali e negli ultimi giorni hanno fatto tremare Bruxelles e Hannover: la sospensione di due amichevoli prestigiose, Belgio-Spagna e Germania-Olanda, conferma come questo sport, il più popolare e amato, sia nel mirino come mai prima d’ora. Del resto, c’è uno strano filo teso tra Stato Islamico e pallone, un legame controverso e misterioso che spesso dipende solo dagli umori dei luogotenenti sul campo: un tempo per qualcuno era amore, adesso è soprattutto odio. Solo un gioco da miscredenti che allontana dalla Jihad. Così, dal Califfato sono piovute notizie – difficilmente verificabili e da prendere con le pinze – sulle violenze per chi cedeva alla passione. Dalle esecuzioni irachene per chi vedeva il Mondiale al massacro pubblico, a gennaio, di 13 adolescenti «colpevoli» di seguire Iraq-Giordania di Coppa d’Asia. Un 16enne palestinese sopravvissuto ad aprile alla mattanza nel campo profughi di Yarmuk, alle porte di Damasco, ha dato i dettagli di una tante atrocità: «Due miliziani giocavano a calcio con una testa decapitata». Al confronto, sembrano poca cosa le 80 frustate promesse a chi veniva beccato a vedere l’ultimo Clasico di Spagna.
IL TAGLIAGOLE Osama, oh, oh/ Osama, oh, oh, oh, oh/ He comes from Taliban/ He is an Arsenal fan : certi tifosi creativi avevano trasformato Volare in un coretto bizzarro su quel cuore Gunner di Bin Laden. Già nel 2007 avevano accusato Al Qaeda di voler colpire negli stadi, soprattutto quelli di Chelsea e Manchester United, ma tutto sembra terribilmente più reale da quando domina la scena il Califfo. Un terrorista dal piede educato, narra la leggenda: tra le poche cose che si sanno di Abu Bakr al-Baghdadi è che a inizio anni Novanta giocava, e piuttosto bene, accanto a una moschea di Baghdad. «Era il nostro Messi», ha raccontato un amico del quartiere. Il suo tagliagole più sanguinario, quel Jihadi John che sarebbe stato ucciso dagli americani, sul diario delle elementari scriveva come ogni bambino felice: «Quando avrò 30 anni, farò gol in Premier League». Tifoso dello United, adorava Giggs, sognava Beckham e, invece, è finito a sgozzare occidentali in tuta nera davanti a una telecamera.
PROPAGANDA La nuova Guerra Santa pesca nella rabbia e nell’esclusione sociale, ma non mancano certi strani percorsi. Sportivi con buona prospettiva convertiti al kalashnikov. Gente come Nidhal Selmi, terzino sinistro dell’Etoile du Sahel, uno dei migliori talenti di Tunisia: ha preso un biglietto di sola andata per la Siria. Oppure Kreshnik Berisha, dilettante di origine kosovara e primo tedesco sotto processo per aver aderito all’Isis: il fatto brucia anche perché il ragazzo era cresciuto nel Maccabi Francoforte, la più grande squadra ebraica del Paese. Più misteriosa la storia di Burak Karan, centrocampista tedesco di origine turca e trafila nelle nazionali giovanili con Boateng e Khedira. A 20 anni ha mollato il campo e si è dedicato con più passione al Corano: pare che sia partito spinto dai video dei massacri di Assad ed è morto in circostanze poco chiare al confine turco-siriano. Certo, il calcio, con la sua forza planetaria, può diventare propaganda formidabile. Pericolosa se rimpallata da certe leggerezze sui social: un anno fa un miliziano misterioso, nome di battaglia Abu Issa al-Andalusi, invitava alla Jihad vantando di aver diviso lo spogliatoio con Ronaldo. Sul web il folle passaparola aveva trovato il colpevole nel povero Lassana Diarra, musulmano praticante e uomo di pace. Subito smentita la calunnia, poi il tempo ha regalato al francese la terribile beffa: sua cugina è stata uccisa venerdì negli attacchi di Parigi. Le indagini dicono pure che gli estremisti pescano spesso tra le anime più deboli e manipolabili nei campetti di periferia. Ma questo è il gioco con cui l’Occidente professa la sua identità e trova impensabili anticorpi. A ovest di Londra, ad esempio, è nata una squadra che riconcilia col mondo: il Tuff FC riscopre con lo sport l’identità british di giovani musulmani sedotti da qualche imam farneticante. Sol Campbell, Yaya Toure e Nasri hanno benedetto l’iniziativa, Obama ha perfino invitato la squadra alla Casa Bianca: sa che il terrore va a preso a calci.