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 2015  novembre 19 Giovedì calendario

Questo Giubileo così complicato sarà una salvezza per le casse di un Vaticano sull’orlo del crac

Alla vigilia del Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco, che aprirà la porta santa l’8 dicembre, l’attenzione è concentrata sui problemi della sicurezza. È inevitabile che lo sia, dopo le minacce lanciate dall’Isis, che hanno indotto alcune anime belle a proporre un rinvio. Ma insieme a questo aspetto, e a quelli strettamente religiosi, l’evento merita una riflessione anche sulla dimensione economica. Di norma, i Giubilei si celebrano ogni 25 anni. Visto che il precedente risale al Duemila, siamo in anticipo di dieci anni. Come mai? La straordinarietà è stata giustificata da Papa Francesco con la misericordia, una virtù che, a sua avviso, la Chiesa e i fedeli devono riscoprire, in un’epoca storica che la ignora e la calpesta. Ma la lettura incrociata del libro di Gianluigi Nuzzi ( Via Crucis; Chiarelettere) e di una recente ricerca del Censis, inducono a pensare che vi siano anche dei risvolti economici.
Nel suo libro, con documenti e verbali finora segreti, Nuzzi racconta il lavoro certosino di una commissione di cinque revisori dei conti, tutti di diversa nazionalità, incaricati dal Papa di fare una radiografia veritiera, quanto spietata, dei conti del Vaticano, una mappa di tutte le storture che si annidano nelle amministrazioni che operano all’ombra di San Pietro. Nei giorni scorsi, l’attenzione dei media si è concentrata soprattutto sul fatto che il Papa si è lamentato per la fuga dei documenti riservati, che sono alla base del libro di Nuzzi, e sui presunti «corvi». Cioè su due collaboratori del pontefice, una pierre trentenne e un monsignore (subito carcerato in Vaticano), che avrebbero fatto uscire le carte. È stata invece trascurata l’analisi dei conti della Santa sede, che è di straordinario interesse.
Sotto il profilo economico e gestionale, l’azienda Vaticano ne esce infatti come una struttura sull’orlo della bancarotta, con le finanze fuori controllo, e con metodi gestionali che sconfinano nelle ruberie quotidiane da parte dei massimi esponenti della Curia pre-Francesco, dominata fino a poco tempo fa dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Di certo, è il problema più grave e spinoso che il pontefice argentino, venuto «dalla fine del mondo», ha scoperto dopo la sua elezione. E da fautore di una Chiesa povera e trasparente, ha deciso di prenderlo subito di petto, affidando poteri eccezionali alla commissione dei cinque revisori dei conti, che hanno così potuto chiedere tutte le informazioni necessarie per il loro compito, anche quelle finora coperte dai vincoli di segretezza, di cui molti enti e prelati vaticani erano soliti farsi scudo.
Si è così scoperto, scrivono i cinque revisori, che «i costi sono fuori controllo». Un bilancio unico della Santa sede non esiste, dunque è impossibile stabilire quanto sia grave il buco finanziario dello Stato vaticano. Ogni ente, in pratica, si fa il suo bilancio, ma senza rispettare le normali regole contabili, indispensabili per un minimo di trasparenza. Sono così emersi vari tesoretti accantonati in nero, per gli usi più disparati, anche personali. Il caos, poi, regna sovrano nella gestione del personale: nel piccolo Stato del Vaticano non c’è un unico ufficio del personale, come in tutte le aziende con migliaia di dipendenti, ma ben quattordici centri di assunzioni, che operano ciascuno per proprio conto, e costituiscono altrettanti centri di potere. «Il cardinale Calcagno mi ha detto che negli ultimi cinque anni c’è stato il 30 per cento di aumento nelle spese per i dipendenti», ha detto Papa Francesco in una riunione con i revisori, verbalizzata e inutilmente secretata. «Lì qualcosa non va! Dobbiamo prendere in mano questo problema».
Purtroppo, quello del personale in esubero non è l’unico problema scoperto dal pontefice. Dovunque i revisori hanno messo le mani, è saltato fuori marcio in quantità inimmaginabili. Nuzzi ne dà conto per centinaia di pagine. Tra i casi più gravi, la totale mancanza di «sorveglianza sugli investimenti». Con il risultato che il denaro dei fedeli e delle donazioni, invece di finire in opere di bene o a favore dei poveri, è stato inghiottito da sperperi scandalosi, o dai buchi provocati dalle amministrazioni della Santa sede per totale incapacità e incompetenza. Due esempi su tutti. Il papa ha scoperto che gli investimenti affidati per la gestione a Ubs, BlackRock e Goldman Sachs, per un totale di 95 milioni, invece di fruttare qualcosa, hanno perso negli anni la metà del loro valore. E un «investimento strategico» del governatorato in azioni di una banca italiana, la Popolare di Sondrio, ha causato perdite di un miliardo 290 milioni in poco tempo.
Per fare fronte a un disastro simile, lo smantellamento della Curia del cardinal Bertone era il minimo. Ora, per evitare che la Chiesa finisca sul lastrico, servono con urgenza nuove entrate. Ed è fuor di dubbio che, in questo, il Giubileo sarà di grande aiuto. Sarà pure una malignità dirlo, ma alcune stime del Censis parlano chiaro: nonostante l’Isis, nel prossimo anno sono attese a Roma 33 milioni di persone, tra pellegrini e turisti, in aumento non solo rispetto al flusso turistico 2014 (7,5 milioni di arrivi), ma anche rispetto al Giubileo del Duemila (25 milioni di arrivi). Certo, c’è la minaccia dell’Isis, ma turisti e pellegrini, prevede egualmente il Censis, spenderanno a Roma più di 8 miliardi di euro. E qualcosa, di sicuro, resterà anche nelle disastrate casse di San Pietro.