il Giornale, 19 novembre 2015
Quando Gadda prese in giro «Capitan Basetta» Foscolo. Ora Adelphi ripubblica quel testo del 1958
Il 5 dicembre 1958 il Terzo Programma della Radio trasmetteva la «conversazione a tre voci» Il Guerriero, l’Amazzone, lo Spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo. Chi ne era l’autore? Carlo Emilio Gadda che solo l’anno prima aveva pubblicato per Garzanti il suo libro più famoso: il Pasticciaccio. La conversazione – vera e propria pièce teatrale – fu pubblicata l’anno seguente su Paragone, la rivista fiorentina di Roberto Longhi e Anna Banti, quindi in volume nel 1967, anno in cui al Teatro di via Belsiana in Roma la Compagnia del Porcospino la mise in scena alla presenza dell’Ingegnere. Poi, fatta salva l’edizione curata da Franco Gavazzeni, più nulla. Il lettore, allora, ha da accoglierne con gioia la nuova e completa pubblicazione che offre ora la Adelphi (pagg. 267, euro 20). Sì, con gioia, perché la lettura di questa operetta minore dell’autore de La cognizione del dolore è esilarante e a tratti irresistibile. Ne saranno contenti gli appassionati di Gadda, ma anche i lettori spassionati, mentre un po’ meno lo saranno i foscoliani che dovranno abituarsi a sentir chiamare il poeta di A Zacinto «Capitan Basetta» (dai due folti basettoni con i quali lo ritrae il pittore François-Xavier-Pascal Fabre).Intanto, le tre voci. L’Ingegnere immagina che si ritrovino nel «Salotto di donna Quirina Frinelli» il professor Manfredo Bodoni Tacchi – pedante, trombone, retorico, con voce virile in chiave di baritono -, l’avvocato Carlo De’ Linguagi – critico feroce e irriverente del Foscolo, di Napoleone e delle tante «vergini» invaghite del greco poeta soldato squattrinato – e la stessa Donna Quirina Frinelli, innamorata del Foscolo e del suo immortale verso del quale le parla la sua amica professoressa Gambini. La conversazione da subito entra nel vivo ed è un continuo assalto, con parole e immagini, alla reputazione del poeta, ma anche del Guerriero al quale il Foscolo si rivolse con la famosa ode perché liberasse l’Italia: quel Bonaparte che Carlo De’ Linguagi, che altri non è che lo stesso Gadda, chiama il Nano (mentre l’Amazzone è Luigia Pallavicini caduta da cavallo e detta Luigia Palla). Ma il culmine della conversazione si raggiunge quando, dopo aver parlato dell’ammiraglio Nelson – «che tronca fe’ la trionfata nave del maggior pino, e si scavò la bara» – Donna Quirina che aveva sentito dire che le «britanne vergini pregaro inutilmente» chiede: «E le britanne vergini?». Allora De’ Linguagi si scatena: «Per il Foscolo siete tutte vergini, anche quando siete britanne. Era questa, anzi, la sua specialità. Inneggiare alle vergini e andare a nanna con le maritate». Donna Quirina implora: «Avvocato! Non mi costringa ad alzarmi». Ma non ha alcuna voglia di andar via sul più bello. E l’avvocato che ha appena iniziato continua: «No, stia comoda. Ci sono più vergini nei millenovecento versi del Foscolo che in tutta la storia di Roma antica. Nelle Grazie poi, sono vergini anche i quadrupedi» Donna Quirina chiede ancora che la smetta ma lei stessa ride di gusto. Allora De’ Linguagi continua: «Vergini gli uomini, vergini le donne, vergini i cavalli, vergini le cavalle, vergine la cerva di Diana. E Diana stessa. E le Muse. E Minerva. Nessuno si salva dalla verginità». A questo punto Bodoni Tacchi cerca di metterci un pezza – «è in errore, la smetta» – ma ormai l’avvocato-ingegnere ha preso di petto il poeta dell’«irsuto petto» e non si ferma neanche quando il professore-trombone declama il sonetto dei sonetti – «Né più mai toccherò le sacre sponde/ ove il mio corpo fanciulletto giacque,/ Zacinto mia, che te specchi nell’onde/ del greco mar, da cui vergine nacque Venere...» – ed esplode: «E dàlli! Anche Venere! Sono endecasillabi che fanno ridere i polli. Le sacre sponde, il greco mare, Teresa mia: e Venere che è nata vergine; come me: come tutti! Ma vada al diavolo!».L’antifoscolismo di Gadda ha un precedente illustre – sottolinea Claudio Vela nella nota al testo – in Ippolito Nievo che nelle Confessioni di un italiano fa scendere il poeta dei Sepolcri dal piedistallo senza tanti complimenti. Tuttavia, in questo libro satirico è più d’uno che scende dal piedistallo, compreso lo stesso Carlo Emilio Gadda che attraverso il suo alter ego sfotte se stesso. Sarà anche per questo che Alberto Moravia nel 1967, quando la «conversazione a tre voci» fu messa in scena a teatro parlò, non senza paraocchi ideologici, di Gadda come un umorista e additò il suo antenato in Carlo Porta. Il giudizio risentito fu notato da Ennio Flaiano che nella sua critica teatrale per L’Europeo strapazzò Moravia mostrando come quel «fatto unico e poco definibile» che è Gadda – «un autore al quale si torna per trarne un certo conforto, e anche una certa disperazione» – ha come chiaro antenato Alessandro Manzoni (altro basettone delle nostre lettere).