il Giornale, 19 novembre 2015
Rcs ha un grosso problema: i grandi soci non vogliono ricapitalizzare. Si cercano nuovi partner
In quali mani finirà il Corriere della Sera? È la domanda che circola non solo dalle parti di via Solferino. Perché il futuro di Rcs si giocherà nei prossimi mesi, se non nelle prossime settimane. E sia l’assetto del gruppo, sia il suo azionariato, potrebbero non essere più gli stessi.
Il tempo per varare un piano rivoluzionario, in un settore in forte trasformazione e con ricavi strutturalmente in declino, scarseggia. Il nuovo ad Laura Cioli, affiancata dal presidente Maurizio Costa, deve presentarne le linee guida alle banche creditrici entro novembre e poi annunciarlo al mercato entro il 22 dicembre. Con le stesse banche vanno avanti le trattative sull’allungamento dei termini di scadenza del debito (500 milioni a fine settembre) e su una revisione delle condizioni generali del finanziamento.
«La cura deve essere vincente e convincente», commentano nelle sale operative dove non si considera scongiurato il rischio di dover ricorre a un nuovo aumento di capitale da 200 milioni la cui delega al cda verrà rinnovata fino a giugno 2017 dall’assemblea dei soci convocata per il 16 dicembre. «L’importante era non perdere l’opportunità di chiamare un aumento qualora il nuovo piano non ci convincesse», ha commentato ieri l’ad di Bpm, Giuseppe Castagna. L’ipotesi ricapitalizzazione del resto spaventa tutti. Per cominciare, la Borsa dove il titolo negli ultimi sei mesi ha perso quasi il 54% (ieri ha chiuso a 0,56 euro, giù di un altro 2,6%) e oggi capitalizza 294 milioni, meno della Cairo Communication (335 milioni) di Urbano Cairo che Rcs è socio al 4,6 per cento. Il fantasma dell’aumento fa paura soprattutto agli azionisti. Non è un caso se il 13 novembre, giorno in cui il gruppo editoriale ha presentato i conti, i fondi gestiti da Invesco sono scesi al 4,83% dal 5,02% che risultava al 22 maggio 2014. Intanto il socio più importante, ovvero la Fca degli Elkann (ha il 16,7%), si sta disinteressando della partita mostrando quella che a Torino qualcuno definisce «disaffezione» e a Milano «latitanza». Come ha dimostrato la resa sul cambio al timone e il mancato intervento sulla scelta del nuovo ad che ha peraltro ricevuto una pesante eredità dal predecessore Pietro Scott Jovane, sponsorizzato dalla famiglia. Il vecchio piano prevedeva per il 2015 circa 150 milioni di ebitda mentre oggi gli analisti stimano il dato a 74-77 milioni. Ovvero la metà. E gli altri?
Diego Della Valle si è rassegnato alla minusvalenza e pensa alla politica, Cairo preferirebbe evitare di mettere mano al portafoglio, Mediobanca ha già dichiarato la volontà di vendere anche il suo 6,5%. E anche Giovanni Bazoli ha confermato che Intesa uscirà dal capitale entro il 2017. Eppure il ruolo del professore bresciano, che con il nuovo statuto diventerà presidente emerito dell’istituto milanese, potrebbe avere un ruolo da regista nel salvataggio di Rcs se il nuovo piano non dovesse funzionare. Grazie alle sue relazioni, anche internazionali, il banchiere sarebbe in grado di trovare un cavaliere interessato a scommettere sulla dote del gruppo editoriale. C’è chi, a sostegno di questa tesi, ricorda un aneddoto: nel dicembre del 2002 Bazoli va a villa Frescot a trovare Gianni Agnelli (cui in passato aveva chiesto aiuto per salvare la Rizzoli, ereditata dal Banco Ambrosiano e già al tempo piena di debit), poche settimane prima della morte. «Ascoltate anche in futuro quello che vi propone il professor Bazoli», disse poi l’Avvocato al suo legale di fiducia Franzo Grande Stevens. Conferendo al professore-banchiere una sorta di mandato morale per vigilare sulle sorti del Corriere.