Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 19 Giovedì calendario

La brutta fine di Zingonia. Doveva essere la città ideale, ora è in mano a spacciatori e clandestini

Solo chi cade può risorgere. Vale per gli uomini. Figuriamoci per i quartieri. Come Zingonia, bassa bergamasca, un non luogo spalmato tra sei comuni e nato agli inizi degli Anni Sessanta dall’imprenditore Renato Zingone, che sognava una moderna città satellite per gli operai della zona che venivano dal Sud. Cinquant’anni dopo il sogno è diventato un incubo. «Non c’è più niente da risanare. Tiriamo giù tutto e poi si ricostruisce», ammette il fallimento Enea Bagini, sindaco di una lista civica di centrosinistra a Ciserano. Per due delle 6 torri di corso Europa, Anna ed Athena, il progetto definitivo di demolizione è stato firmato il 28 maggio scorso dopo che se ne parlava da dieci anni. «Nel progetto originario dovevano esserci uffici. Torniamo a quelli. Solo terziario e commercio».

Paraboliche verso Sud

Il problema è cosa fare degli abitanti dei 208 appartamenti spalmati sulle torri. Solo 8 sono abitati da italiani. Il resto sembra il racconto della geografia delle migrazioni degli ultimi vent’anni segnato dalle paraboliche, puntate verso il Sud del mondo. «Gli stranieri siamo noi... Ma da qui non ce ne andiamo», sono sul piede di guerra Maria e Vincenzo Fulgione, appartamento al quarto piano. La casa l’hanno comperata a metà degli Anni ’80 per 50 milioni di vecchie lire. Il valore di mercato oggi è quasi zero. L’Aler offre 6 mila euro se vanno in affitto. «Non se ne parla, vogliamo una casa nostra...», giurano imbullonati al loro incubo. Lui è un artigiano in pensione e porta a casa 400 euro al mese. Lei arrotonda con una cooperativa e alla sera attacca manifesti del comitato con su scritto «No alle demolizioni. No alle deportazioni». Quando sia iniziato il degrado non si sa. Poi è stata una valanga. La banca ha chiuso nel 2009. La farmacia se ne è andata poco dopo. Si sono rotti gli ascensori. Sono spariti citofoni e cassette postali. Gli amministratori di condominio sono scappati. Qualche italiano ha pensato di fare i soldi affittando o subaffittando a 100 euro a posto letto, per 6 o 8 letti, agli extracomunitari di ultima generazione che poi hanno chiamato mogli fratelli e cugini. Alì detto Alex, egiziano a Zingonia da 11 anni, muratore 3 giorni alla settimana, ti mette le mani su una spalla e fa il sarcastico: «Qui da noi uno su tre spaccia. Ma i clienti siete voi italiani...». È il solito serpente che si morde la coda. C’è il degrado perchè non c’è la polizia. Non c’è la polizia perchè c’è troppo degrado. Quando c’è, è caccia grossa. Due mesi fa hanno arrestato 3 marocchini con 80 chili di hashish. L’imam di Zingonia Hafiz Muhammad Zukifal invece lo hanno arrestato per terrorismo quattro anni fa quando al cellulare ripeteva: «Mi ha mandato qui Bin Laden».

Rifiuti e porte sfondate

Oramai gli stranieri del quartiere più che integralisti sono diffidenti. Non vogliono essere ripresi. Ti accompagnano con lo sguardo a girare tra cumuli di rifiuti, porte sfondate, muri tirati su dall’Aler per chiudere gli appartamenti sfitti e tirati giù a colpi di piccone dagli occupanti arrivati per ultimi, lo spaccio a cielo aperto e le ragazze poco più che adolescenti che pronte verso sera per andare a lavorare in strada. Le sei torri che chiamano missili sono un non luogo che andrebbe studiato a fondo. Siccome molti degli abitanti non pagavano l’acqua provocando un buco di 400mila euro nelle casse della municipalizzata di Bergamo, anni fa i messi del comune misero i sigilli alle autoclavi. Otto mesi senza acqua a fare la fila alle fontanelle con le taniche o alla gigantesca piscina che costeggia l’obelisco «Il siluro» a cento metri, non sono il modo migliore per riqualificare un’area. «Qui non si può più vivere. Se qualcuno mi compera il negozio per 500 mila euro io mollo...», sogna a troppi zeri Dionisio Bani, il panettiere cha abita qui dagli Anni Sessanta, quarant’anni che ha il forno ma il negozio è maledettamente vuoto. Non come la macelleria islamica a fianco dove vendono pure il pane arabo. Non vuole invece andarsene Kamal Abdou Samath, il presidente del comitato, operaio senegalese che nel 2007 ha acceso un mutuo da 85 mila euro e mica può accettare solo 6 mila euro e una casa in affitto per chissà dove: «Il mutuo con la banca poi chi lo estingue?». Domande che girano da almeno 10 anni. Dalla prima volta che qualcuno ha pensato che la soluzione migliore fosse quella di tirare giù le torri. Il Comune per accelerare i tempi sta pensando di dichiarare la zona di pubblica utilità per gli sfratti forzosi. Aliou Gueye, ex presidente dell’Associazione senegalesi bergamaschi non ci crede: «Se volevano riqualificare l’area dovevano investire dei soldi. Adesso questa gente dove la metti? Se pensano di fare gli sgomberi con la forza ci sarà la guerra».