La Stampa, 19 novembre 2015
Com’è cambiata la vita dei parigini
Certo, adesso a Parigi tutto sembra tornato normale. Finiti i minuti di silenzio, le Marsigliesi, le lacrime e i pellegrinaggi all’altare laico di place de la République. Finito il lutto nazionale. Finito (per ora) l’allarme. I parigini sono tornati alla vita di tutti i giorni. Hanno ripreso a lavorare, a stressarsi, a prendere la metro, a prendersi a male parole. Le scuole hanno riaperto, i monumenti anche, ieri pure Disneyland Paris e il mercatino di Natale sugli Champs-Elysées. Si è perfino ricominciato a pranzare «en terrasse», il rito parigino per eccellenza, e pazienza se il clima non si presta troppo. «In effetti preferirei mangiare dentro, ma non voglio dargliela vinta», diceva ieri una bella ragazza seduta all’aperto in avenue Kléber, ed è inutile dire chi sono quelli che non devono vincere. La battaglia di ieri era commentatissima, ma Saint-Denis non è Parigi. Per il vero «parigot», oltre la périphérique è un altro mondo.
La fraternità
È già tempo di bilanci emozionali. La reazione alla tragedia è stata degna di una città che nella sua storia ne ha vissute tante, ma è ancora e sempre splendidamente in piedi. Delle tre virtù repubblicane, si è riscoperta quella meno frequentata, la fraternité. Sui muri sono comparsi degli striscioni con il simbolo della città, una nave e il motto «Fluctat nec mergitur», naviga e non affonda. Speriamo.
Però tutto «sembra» normale. In realtà, non lo è. C’è nell’aria un’inconfessabile inquietudine. Non lo ammetteremmo mai, ma seduti al caffè ce lo siamo chiesto tutti: e se adesso sbucasse l’islamista di turno con un kalashnikov in mano? Alzi la mano chi, entrando nel metro, non abbia pensato: e se succedesse adesso, qui? Inutile guardare con apprensione il tizio barbuto con la djellaba appena salito sul nostro stesso vagone. I kamikaze andavano in giro vestiti da «beur» delle banlieue, cappellini da rapper, pantaloni larghi, scarpe da basket e barbetta alla moda.
I numeri
Sensazioni? Alcuni dati parlano con l’oggettività dei numeri. Secondo lo Stif, l’associazione dei trasporti dell’Île-de-France, martedì alle 9 sulle strade c’erano 530 chilometri di ingorghi. Di solito, sono «solo» (si fa per dire) 370: segno che c’è molta gente che non si fida a prendere i mezzi pubblici. I passeggeri della metro sono calati del 10%Andare al «resto» è diventato pericoloso, o almeno è considerato tale. «Flo», il marchio che riunisce alcune delle brasserie più storiche (e più belle) di Parigi, ha annunciato che è stata annullata la metà delle prenotazioni. La guida gastronomica «Fooding» ha replicato lanciando l’iniziativa «Tous au bistrot», tutti al bistrot, e ha chiesto ai parigini di andare a mangiare fuori come forma di resistenza, mentre sui social è comparso un nuovo logo, ispirato al «Je suis Charlie» degli attentati di gennaio: «Je suis en terrasse». Però gli albergatori annunciano il 21% di annullamenti per sabato scorso, il 28,5 per domenica e si aspettano il 40% sull’insieme di questa settimana. Dopo la strage a «Charlie Hebdo», non superarono il 7-8%.
Come Gerusalemme
Parigi come Gerusalemme, con le guardie armate sui bus e tutti che stanno attenti a ogni valigia dimenticata? Accettare l’idea è poco piacevole, ma forse inevitabile. Basta entrare alla Fnac. Un tempo la guardia alla porta sorvegliava chi usciva, che non fregasse nulla. Adesso controlla con il metal detector chi entra. Da quando esiste il piano Vigipirate, cioè dai tempi di Giscard, ogni volta che si entra in un edificio pubblico borse e zaini vengono aperti. Ora non basta più, e i teatri si stanno attrezzando con i metal detector, mentre la Sncf, le Fs francesi, annuncia l’introduzione di una macchina per «annusare» le valigie e la videosorveglianza totale.
I soldati in assetto di guerra ci sono sempre stati, davanti al Louvre o nelle stazioni. Però di solito bastava una pattuglia di tre. Bene: l’altro giorno alla Gare Montparnasse di pattuglie ce n’erano quattro (e per fortuna: i cittadini ringraziano l’Armée su Twitter). Davanti ai kamikaze, spiegano gli esperti, cambiano anche le regole d’ingaggio. Non si tratterà più di neutralizzare l’attentatore sparandogli nelle gambe. Bisognerà impedirgli di farsi saltare, mirando alla testa e sparando per uccidere. Morale: oggi a Parigi la normalità è un lusso. Tutto da riconquistare.