la Repubblica, 19 novembre 2015
Riscaldare casa con le pannocchie di mais
REGGIOLO (REGGIO EMILIA). «Nella piazza della fiera si sentiva il profumo di popcorn e anche di polenta, quella un po’ bruciacchiata e buonissima che si attacca al fondo del paiolo. La gente seguiva l’odore, pensava di trovare qualcosa da mangiare. E invece trovava me, che avevo acceso la “caldaia a mais”». Fiera di Bondeno, quasi dieci anni fa. «Ero andato a presentare la caldaia – dice Paolo Begnozzi, responsabile produzione della Ecofaber srl – appena inventata, con il mais usato come combustibile: costa poco e ha una resa di calore altissima. Siamo stati pionieri, in questo campo. Poi in tanti si sono buttati in questo business ma noi cerchiamo di restare sempre all’avanguardia”.
C’era una volta il mais che diventava polenta e piatto principale anche sette giorni su sette sulle tavole dei più poveri. C’era il mais che, con parsimonia, veniva dato alle galline perché facessero buone uova. C’era il mais che diventata ricetta da gourmet assieme al baccalà a Vicenza, ai frutti di mare sulla costa delle Marche… Per questo fa un po’ impressione, l’insegna “Caldaie a mais”, nella zona industriale di Reggiolo. Il mais che da cibo per umani e animali è ridotto a combustibile, come il metano, il gasolio, la legna. C’è anche chi si indigna, per questa scelta.
“La nostra pubblicità – racconta Paolo Begnozzi, con studi da perito industriale specializzato in meccanica – oggi non parla solo di mais ma di ‘caldaie a biomassa per pellet, legno, mais, nocciolino’. Il mais resta comunque il combustibile ecologico per eccellenza. Si sgranano le pannocchie ed è già pronto. Basta ridurne l’umidità al 10-12%».
Non di solo granoturco vivono le nuove caldaie. La Bioterm di Valduggia nel vicentino annuncia ad esempio che le sue “stufe e termostufe Bruciatutto” si alimentano, oltre che con il granoturco, anche con «grano, fagioli, semi di uva,sorgo, colza, riso e risone, farro, miglio, piante di colza, soia, cardo, canapa», e via elencando. Insomma, i prodotti di tanti campi finiscono nel bruciatore e non sui banconi delle botteghe e dei supermercati.
«A decidere – racconta Paolo Begnozzi della Ecofaber – è il mercato. Se il mais ha un prezzo alto, il consumo come combustibile si riduce. Ma quando abbiamo iniziato il prezzo era basso e c’è stata subito una buona richiesta delle nostre caldaie. La produzione del 2012 è stata in buona parte rovinata dalle aflatossine ed il prezzo è crollato: 5 euro al quintale. I grani che non finivano nelle caldaie venivano portati nei termovalorizzatori. Quest’anno il granoturco è sano e viene pagato 15 euro al quintale. Ma anche con questo prezzo c’è una forte richiesta delle caldaie con il serbatoio per il mais. Rispetto all’anno scorso c’è un 70% in più. Vede, il concorrente del granoturco è il pellet che all’ingrosso costa dai 30 ai 40 euro al quintale. Al minuto viaggia sui 3,5 euro per un sacchetto di 15 chili. La differenza di prezzo a favore dei mais è netta. L’investimento è forte, perché per una caldaia da 20-28 Kw, capace di riscaldare un appartamento di grandi dimensioni o un’intera casa, si parte da una spesa di 5.000 euro. Ma usando il mais si spende almeno il 30% in meno rispetto a gas o gasolio. Il gioco vale la candela».
Ecco la caldaia Alpina, 35 Kw. Colore verde, un peso sui 4 quintali (non si mette in salotto ma in un “locale tecnico”, fuori dalla casa, in cantina, in un sottoscala). Si può scegliere: a sinistra il serbatoio per il pellet o a destra quello del mais. Nel corpo centrale puoi usare anche la legna. Una fiamma che arriva a 1000 gradi scalda l’acqua che alimenterà i termosifoni. La stufa più grande arriva a 250 Kw. «Mettendo in batteria quattro stufe da 250 riusciamo a riscaldare un grande albergo, una scuola, una serra. A guidare le nostre caldaie c’è sempre un computer. Riempiendo ad esempio il serbatoio di un’Alpina con 120 chili di mais, c’è un’autonomia di 24 ore». Il mais che brucia invece di trasformarsi in polenta non piace a tutti. «Mi sembra proprio – dice Stefano Masini, responsabile area ambiente e territorio della Coldiretti – una scelta sbagliata. Non si può usare per il riscaldamento un alimento così importante, per gli uomini e per gli animali. Il mais è parte integrante dei mangimi per le vacche che ci danno il latte da bere e da trasformare in formaggi Dop, per i bovini da carne, per quasi tutti gli allevamenti. Siamo di fronte a un vero paradosso: per dare da mangiare alle nostre bestie siamo costretti a importare mais che spesso è Ogm e allo stesso tempo mettiamo nelle caldaie mais italiano che non è Ogm. Meglio puntare sul pellet».
Si importa anche questo, ormai da anni. Fornitori principali la Svizzera, la Romania, la Bulgaria e altri Paesi dell’Est. Il pellet (legno macinato e poi compresso) più pregiato è quello di faggio, seguito dall’abete e dal pino. «Noi abbiamo – dice Stefano Masini – boschi grandissimi e abbandonati che possono produrre legna e pellet. Il mais che brucia è un insulto che però ci fa riflettere. Ci fa capire che nei nostri boschi ci sono risorse che non usiamo: si potrebbe dare lavoro a migliaia di giovani. E scaldare le nostre case con il profumo della legna, non del popcorn».