Corriere della Sera, 19 novembre 2015
L’aria nordica di “100 Code”
Pioggia incessante, luci fredde, boschi ai margini delle città, strade pulite e case ordinate, ma proprio per questo parecchio inquietanti: è l’ambientazione comune a un intero filone di romanzi e serie televisive dal successo recente, raccolto sotto il nome di «nordic crime», noir o thriller scandinavo.
Adesso, con «100 Code» (prima su Infinity, e ora su Premium Crime, ogni martedì, dalle 21.15), a questo insieme di narrazioni si aggiunge un tassello ulteriore. Tratta da un romanzo dell’irlandese Ken Bruen, e scritta e adattata da Bobby Moresco, la serie è una coproduzione svedese e tedesca che cerca però di rivolgersi a un pubblico più ampio, europeo e persino americano.
Tommy Conley (Dominic Monaghan, che ci ricordiamo bene come Charlie in «Lost») è un detective newyorkese che approda a Stoccolma sulle tracce di un pericoloso serial killer. Mikael Eklund (Michael Nyqvist) è il poliziotto svedese, alle soglie della pensione, che si trova costretto a seguirlo nella sua indagine.
I due protagonisti sono entrambi scontrosi e introversi, hanno oscuri segreti nel loro passato, e inevitabilmente il loro rapporto diventa subito uno scontro non solo tra caratteri ma tra culture e modi di procedere differenti. A tenerli uniti è la caccia a un criminale che si ispira alla mitologia greca, ad Ade e a Proserpina, e che nei mesi invernali uccide giovani ragazze bionde e le seppellisce a coppie vicino all’acqua, sotto agli asfodeli.
Più che il racconto in sé, abbastanza classico, è interessante l’aspetto produttivo. Da un lato, per lo scarto linguistico costante tra la lingua principale e lo svedese, che mette in scena una costante dinamica di esclusione e doppiezza. Dall’altro, per la qualità visiva, la ricerca di inquadrature a effetto, il gusto dei campi lunghi su Stoccolma: come già ne «Les Revenants», la cura formale è ormai la vera «lingua comune» che permette ai programmi di circolare attraverso le frontiere.