Corriere della Sera, 19 novembre 2015
Il pezzo dell’autobiografia di Vieri in cui parla di Lippi e di quella Juve
...Nell’estate del 1995 arrivo finalmente in serie A con il posto da titolare garantito nell’Atalanta... A Bergamo sto bene, vivo nella città alta e – strano a dirsi – mi sembra di essere in Toscana: il borgo antico ha un’aria familiare e le persone sono simpatiche e affettuose. Insomma, a Bergamo è tutto ok, ma poi succede una cosa che cambia le carte in tavola e le cambia completamente. Mi chiama Sergio Berti, detto «Stecchino», il mio procuratore: «Bobo, ti vuole la Juve». E io: «La Juve? Stai scherzando? E cosa aspettiamo? Andiamo!». Saluto tutti e parto per Torino. È Luciano Moggi a volermi... Firmo un quinquennale: settecento milioni di lire il primo anno, settecentocinquanta il secondo, ottocento il terzo, ottocentocinquanta il quarto e novecento il quinto.
La sera torno a casa, a Prato, e riunisco tutta la famiglia in un grande abbraccio collettivo. Ci scappa anche qualche lacrima. «È fatta, abbiamo svoltato, i tempi dei grandi sacrifici sono finiti per tutti». Arrivo in una Juve stellare, fresca vincitrice della Champions League in finale contro l’Ajax. La campagna acquisti è stata coraggiosa. Via campioni amati dai tifosi, Vialli su tutti; dentro io, il mio compagno atalantino Montero, Amoruso, Iuliano, Boksic e soprattutto l’immenso Zinedine Zidane...
...E dire che con Marcello Lippi le cose per me erano cominciate malissimo. Sedicesima giornata, Juve-Atalanta, inizio dalla panchina: al trentacinquesimo del primo tempo si fa male Boksic ed entro io.
Nei dieci minuti che mancano all’intervallo non succede molto, cerco più che altro di trovare la posizione e di scaldare i muscoli. Andiamo negli spogliatoi sullo 0-0, e Lippi è arrabbiato. «Vieri, devi muoverti lì davanti! Non devi stare fermo!»
«Cazzo, sono appena entrato».
«Non mi rispondere!».
«Se non ti vado bene, levami!».
Lo vedo partire deciso verso di me. Mi arriva vicino e mi appoggia un dito in faccia. Io mi alzo, pronto a reagire, ma la squadra interviene e ci separa. Ovviamente resto nello spogliatoio, al mio posto entra Amoruso. «È finita» mi dico. «Mi sono messo contro l’allenatore. Io, l’ultimo arrivato! Perché non conto mai fino a dieci prima di rispondere?».
Ed era vero, sentivo di aver fatto una grande cazzata e temevo che a quel punto i compagni mi avrebbero messo in un angolo: molti di loro erano i campioni d’Europa, mentre io ero un ragazzo al secondo anno di serie A.
La Juve ti sorprende sempre, però, e quella sera stessa Peruzzi, una delle persone migliori che abbia trovato sul mio cammino, mi telefona e dice: «Bobo, ce ne andiamo a cena, niente discussioni!». Ma sì, avevo giusto bisogno di parlare con qualcuno dei senatori per spiegare che mi dispiaceva.
Entriamo al ristorante, ci sediamo, mi guardo intorno e mi accorgo che poco più in là è seduto Marcello Lippi. Peruzzi dice: «Allora Bobo, adesso vai dal mister e gli chiedi scusa, ok?». Mi scappa un mezzo sorriso. Mi alzo e appoggio il mio manone sulla spalla del mister. «Un badile» lo avrebbe definito lui in un’intervista rilasciata tempo dopo in cui raccontò quell’aneddoto.
Da toscani ci capimmo subito. Mi parlò a lungo e mi ribaltò. Compresi di avere di fronte un uomo vero. Da allora non ci fu più nessun altro problema. Mi lasciò in tribuna per qualche gara e io accettai senza fiatare: aveva ragione. Quando fu il momento mi rilanciò in squadra senza rancori. Ripeto, un uomo vero: instaurammo un rapporto di grande fiducia, il mister sapeva che per lui avrei fatto qualsiasi cosa e che avrebbe potuto contare su di me senza condizioni. Che dire… grande Marcello Lippi! Penso che sia il tecnico più preparato che abbia mai incontrato. È l’uomo che mi ha inculcato la mentalità vincente. A prescindere dall’avversario, lui voleva che andassimo ad aggredire sempre e in ogni zona del campo. Non aveva paura di niente e nessuno. Una cosa mai vista con altri allenatori. E oltretutto era alla mano. Si lavorava duro, ma ci si pisciava anche dalle risate, dalla mattina alla sera. Che squadra! Che gruppo! Grandi persone prima ancora che campioni. Penso a Ferrara, Peruzzi, Lombardo (il più simpatico di tutti) e Conte: ragazzi meravigliosi per i quali proverò sempre un affetto pazzesco...