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 2015  novembre 19 Giovedì calendario

La politica estera personale del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi

A sessanta anni dalla sua elezione alla presidenza della Repubblica, il comune di Pontedera (Pi) e il Centro Giovanni Gronchi per lo studio del movimento cattolico, insieme alla Fondazione Piaggio, hanno organizzato un seminario di studi dedicato a «Gronchi e la politica estera italiana 1955-1962». Avevo proposto al comitato scientifico coordinato dal professor Antonio Varsori un titolo un po’ provocatorio che suonasse «Quando l’Italia aveva due politiche estere, per non parlare di quelle della sinistra». Mi riferisco a quando Dc e moderati italiani avevano davvero due visioni abbastanza diverse di politica estera, una delle quali era indubbiamente sostenuta da Giovanni Gronchi e da politici prestati all’economia (o viceversa) come Enrico Mattei. Poi ovviamente c’erano le idee di politica estera di socialisti e comunisti, ma queste non si tradussero mai in una politica estera praticabile e sostanzialmente quando andarono (o si avvicinarono) al governo, i socialisti prima e i comunisti poi, delle due politiche estere praticabili finirono per sostenere quella che definirei Gronchi-Mattei (semplifico per brevità). Non le sembra che sarebbe l’ora di riconoscere a Gronchi questo ruolo e questa primogenitura?
Roberto Cerri
r.cerri@comune.pontedera.pi.it

Caro Cerri,
Gronchi fu un esponente della sinistra democristiana, ma anche uno dei maggiori rappresentanti di quel nazionalismo cattolico che aveva approvato la guerra di Libia nel 1911 e l’intervento dell’Italia nel maggio 1915. Ne dette una prova con le due medaglie, d’argento e di bronzo, che portava sul petto quando tornò dal campo di battaglia dopo la fine della Grande guerra.
Questa combinazione di sentimenti patriottici, fede religiosa e sensibilità sociale spiega la sua diffidenza per il Patto Atlantico: un’Alleanza prevalentemente anglo-americana che presentava ai suoi occhi il duplice inconveniente di spaccare in due la società europea e la società italiana. Eletto presidente della Repubblica, dedicò una buona parte del suo tempo al tentativo di correggere questa situazione. Cercò di allentare i vincoli militari imposti dall’Alleanza a vantaggio di quelli genericamente culturali previsti dall’art. 2 del Trattato di Washington. Sperò di eliminare le ragioni della Guerra fredda promuovendo la costituzione di un nuovo Stato tedesco, riunificato e neutrale. Credette che lo scacco della spedizione anglo-francese a Suez, dopo la nazionalizzazione egiziana del Canale, avrebbe offerto all’Italia l’occasione di essere il maggiore partner degli Stati Uniti nel Mediterraneo.
Fallì, anzitutto, perché gli americani e i sovietici provavano per lui una stessa diffidenza. La stampa americana gli fu ostile e l’accoglienza riservatagli da Nikita Kruscev a Mosca, durante il viaggio in Unione Sovietica del febbraio 1960, fu sgarbata e sprezzante. Fallì, in secondo luogo, perché i governi italiani con cui dovette convivere non tollerarono che il capo dello Stato scavalcasse l’Esecutivo con iniziative di politica estera. L’episodio più interessante, in questo campo, fu quello della lettera che Gronchi scrisse al presidente Eisenhower nel 1957 sul tema della collaborazione italo-americana nel Mediterraneo. Inviata a Palazzo Chigi (dove era allora il ministero degli Esteri) per essere inoltrata a Washington, la lettera non attraversò mai l’Atlantico. Il presidente del Consiglio Antonio Segni e il ministro degli Esteri Gaetano Martino ne fecero una questione di principio e rifiutarono di inviarla al presidente degli Stati Uniti.