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 2015  novembre 19 Giovedì calendario

L’Italia discrimina un po’ meno le donne

L’Italia scala posizioni nella classifica mondiale delle disparità tra uomini e donne. In un anno è salita di ventotto posti nel Global Gender Gap, l’indice stilato dal World Economic Forum che misura quanto (e cosa) manca per raggiungere la parità. Dieci anni fa eravamo al 77° posto, oggi al 41°. Un buon segnale, dunque. Anche se non deve creare eccessive illusioni. Resta, infatti, ancora molto da fare e i nodi sui quali è necessario intervenire sono noti. Se si guardano le singole voci che compongono l’indice generale, si evidenzia che il miglioramento è dovuto esclusivamente alla politica (vedi grafico), dove siamo saliti al 24° posto nel mondo.
Il vero problema dell’Italia resta l’economia: il tasso di occupazione femminile e le opportunità di lavoro per le donne. Non è un caso che su questo punto specifico, ma fondamentale, il nostro Paese sia ancora in fondo alla lista: ben 111° su 145 Paesi analizzati. Un primato negativo di cui si parla spesso ma che, interpretando i dati offerti dal World Economic Forum, oggi potremmo modificare, volendolo fare.
Lo studio sottolinea come i divari di genere nazionali siano il risultato della combinazione di diversi fattori – socioeconomici, politici e culturali – e «i governi hanno un ruolo di primo piano nel determinare le politiche che riducono, o al contrario mantengono, il gap», commenta Klaus Schwab, ceo del World Economic Forum. L’Italia ha istituzioni ad alto tasso femminile, sia nel potere legislativo sia nel governo del Paese, e deve decidere dove intervenire.
A livello mondiale i modelli sono sempre quelli dell’Europa del Nord che occupano le prime quattro posizioni, Islanda in testa, seguiti al quinto posto dall’Irlanda. Al sesto c’è il Rwanda, analizzato soltanto da due anni e già in miglioramento, primo in assoluto al mondo nell’occupazione femminile, che addirittura supera quella maschile. È anche il Paese dove le donne hanno la maggior capacità di raggiungere posizioni di leadership.
Gli ambiti dove il divario si è molto ridotto sono salute e istruzione ma con delle polarità molto forti: se quaranta Paesi hanno eliminato le differenze riguardo il benessere e le aspettative di vita, nove invece sono sotto la media mondiale e le donne, più degli uomini, soffrono la malnutrizione e si ammalano di malaria, tubercolosi, diabete. Venticinque sono le aree che hanno raggiunto la parità nell’istruzione, ma in quasi altrettante le ragazze hanno il 90 per cento di possibilità di studiare in meno dei ragazzi. Il miglioramento più lento è stato, dovunque, proprio nel mondo del lavoro, solo il 3% dal 2006.
Nessuno Stato ha raggiunto la parità totale, coprendo ogni divario. Tuttavia, sottolinea il rapporto, bisogna continuare a perseguirla perché per le nazioni comporta un aumento della competitività. Tra le politiche per eliminare i gap il World Economic Forum cita la leva fiscale. Anche se ce n’è una che davvero, secondo l’istituto, fa la differenza: le normative sulla maternità e la paternità. «Congedi e strumenti che favoriscono la condivisione – dice il rapporto – sono strettamente associati alla partecipazione delle donne all’economia e sono quindi uno strumento importante per un uso più efficiente del capitale umano».
Non è un caso che l’Islanda dal 2009 continui a essere al primo posto: maternità e paternità sono del tutto uguali come giorni di assenza e retribuzione.