Corriere della Sera, 19 novembre 2015
In un istituto tecnico di Varese sei ragazze musulmane rifiutano il minuto di silenzio in memoria dei morti di Parigi ed escono dall’aula
Sei ragazze decidono di non commemorare le vittime delle stragi di Parigi. Sei alunne di un istituto tecnico di Varese, tutte musulmane, figlie di immigrati nordafricani, lunedì mattina si sono alzate dal banco e sono uscite dall’aula durante il minuto di silenzio che nelle scuole d’Italia doveva rendere omaggio ai morti del Bataclan, dello Stade de France, dei bar parigini e di tutti i luoghi spesso affollati da loro coetanei. Un gesto plateale e isolato, del tutto controcorrente. Il fatto è accaduto all’istituto per periti commerciali «Daverio». Una realtà di 1.800 ragazzi, con un alto tasso di stranieri che arrivano da mezza provincia di Varese. Il clamore del gesto è stato tale che è stato oggetto di discussione persino al comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza ogni settimana convocato in prefettura e anche la Digos ha avviato accertamenti. Le ragazze hanno tutte 15 anni; un sesto ragazzo nordafricano, loro compagno di classe, è rimasto al suo posto rispettando il silenzio. La polemica è arrivata sui social network con commenti che hanno subito condannato senza mezzi termini l’atto di ribellione con parole crude e talvolta irriferibili, arrivando a chiedere l’allontanamento dall’Italia delle ragazze e delle loro famiglie. Ma Nicoletta Pizzato, preside dell’istituto «Daverio» legge l’episodio non in chiave fondamentalista ma alla luce delle inquietudini tipiche dell’adolescenza. «Volevano capire perché commemorare solo Parigi e non l’aereo russo o Beirut – ha detto la docente all’ Ansa – il gesto è stato una richiesta di aiuto a capire quale sia la discriminante nella valutazione dei morti; la scuola deve educare, formare e raccogliere gli interrogativi posti dagli alunni». Raccontano che le sei ragazze, finito il minuto di silenzio, siano rientrate in classe e sul loro gesto sia immediatamente partito un dibattito tra i ragazzi e i professori. Ma resta l’interrogativo di fondo: come possa essersi acceso nell’animo di sei giovanissime un imperativo talmente forte da spingerle a un simile gesto di disobbedienza davanti ai compagni con cui condividono ogni giornata.