Corriere della Sera, 19 novembre 2015
La Francia ha già 13 mila soldati sparsi nel mondo. Chiederà agli alleati europei di sostituirli, in modo da poter concentrare le sue forse in Daesh
Il Regno Unito è l’unico Paese che potrebbe associarsi ai bombardamenti in Siria ordinati dal presidente François Hollande. Tutti gli altri 26 soci dell’Unione Europea non sembrano pronti a partecipare in modo diretto ai raid anti-Isis.
Al governo francese, tutto sommato, va bene così. La terza potenza nucleare nel mondo vuole mantenere il pieno controllo delle operazioni, senza dover sottoporre ogni decisione al via libera degli alleati. Bisogna riconoscere grande lucidità politico-diplomatica ai vertici dello Stato francese nel momento più tragico. Hollande e il premier Manuel Valls hanno deciso di attivare per la prima volta nella storia «la clausola di mutua difesa» prevista nell’articolo 42 comma 7 del Trattato di Lisbona. Eccola: «Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso». Una formula volutamente vaga, frutto di uno dei tanti sofferti compromessi che hanno dato vita al Trattato in vigore dal primo dicembre 2009. Proprio la Francia e il Regno Unito sono le nazioni che più hanno ostacolato la costruzione di una vera difesa europea.
Parigi avrebbe potuto invocare l’articolo 5 del Trattato fondativo della Nato che impone «a ciascun Stato membro» di correre in soccorso di un alleato aggredito. Oppure avrebbe potuto attivare l’articolo 222 del testo complementare, il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Quest’ultima norma sembra la più calzante, poiché prevede un’azione di sostegno collettivo al Paese vittima di un attacco terroristico.
Si può discutere a lungo sugli aspetti giuridici (una passione mai sopita a Bruxelles), ma la sostanza è molto chiara. Se Hollande si fosse rivolto alla Nato avrebbe dovuto concordare ogni iniziativa militare con gli altri 27 alleati, dagli Stati Uniti alla Turchia. Per lo stesso motivo, a Parigi, si è scartata l’ipotesi della «solidarietà antiterrorismo». In questo caso il coordinamento delle operazioni si sarebbe spostato sempre a Bruxelles, ma nelle sedi delle istituzioni Ue.
Ora, invece, sarà Hollande e solo Hollande a decidere che cosa, dove e quando dovranno colpire i caccia Rafale, senza dover mediare con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan o dover trascinare la riluttante cancelliera Angela Merkel. E sarà Hollande e solo Hollande a stabilire di che cosa ha davvero bisogno la Francia. Il presidente e i suoi ministri avvieranno nei prossimi giorni i bilaterali con i principali partner. Al momento, dunque, si può ragionare solo sulla base di indiscrezioni.
L’Armée francese può contare su circa 300 mila militari. I generali sono in grado di inviare all’estero 30 mila soldati nel giro di 48 ore. Il problema è che l’attivismo in politica estera ha già portato al dislocamento di oltre 13 mila unità nel mondo. Tremila divise nel Mali; 2 mila nella Repubblica Centrafricana; 2 mila a Gibuti, nel Corno d’Africa. Poi ci sono le forze impegnate con la Nato (Kosovo), quelle in ambito Onu (Libano) e così via.
Per prima cosa, dunque, Hollande chiederà ai Paesi più grandi dell’Ue di alleggerire l’impegno francese sugli altri scacchieri. La Germania potrebbe inviare truppe supplementari nella Repubblica Centrafricana, per esempio. L’Irlanda ha fatto sapere ieri che è pronta a spedire un contingente in Mali. Alla Spagna potrebbe essere chiesto di fare altrettanto. Il ministro della Difesa italiana Roberta Pinotti ha gia aperto a un rafforzamento della missione in Iraq, dove sono presenti 600 militari impegnati nell’addestramento dei poliziotti iracheni e dei combattenti Peshmerga. Il governo di Parigi potrebbe sollecitare l’Italia a rafforzare il contingente in Libano, avvicendando i reparti francesi.
Gli altri partner, in particolare Belgio, Olanda e, ancora Germania e Italia, saranno chiamati a una più stretta condivisione delle attività di intelligence. Anche se il vero ostacolo da superare è il dualismo tra servizi segreti e polizia tipico proprio della Francia.
Nelle prossime settimane il ministro dell’interno transalpino, Bernard Cazeneuve, spingerà i colleghi europei a potenziare il cosiddetto «Schengen 2»: cioè una banca dati da alimentare, in particolare, con le informazioni sugli spostamenti di cittadini europei (e non) da e verso il Medio Oriente. Inoltre potrebbero essere monitorati anche i voli interni alla stessa Unione Europea.
Misure sufficienti? La verità è che in Europa solo il premier britannico, il conservatore David Cameron, lancerebbe i Tornado all’assalto dell’Isis, affiancando l’aviazione francese, come accadde, tra l’altro, in Libia nel 2011. Secondo i sondaggi il 60 per cento dell’opinione pubblica lo appoggerebbe. Ma le forze politiche in Parlamento ragionano come nel resto dell’Unione Europea. Anche nel partito del premier, molti pensano che non si possa più bombardare solo perché «something must be done», qualcosa deve essere comunque fatto.
È ancora vivo il ricordo del post-Afghanistan, del post-Iraq. I deputati vogliono sapere qual è il piano per costruire una nuova Siria. Hollande dovrà convincere anche loro.