Corriere della Sera, 19 novembre 2015
Forse Abdel è morto davvero nel raid. Si aspettano gli esami necroscopici
WASHINGTON Le teste di cuoio hanno cercato di sfondare la porta blindata dell’appartamento covo a Saint Denis, sobborgo di Parigi. Dietro quella paratia c’era Hasna, terrorista e cugina del capo del commando, Abdel Hamid Abaaoud. Le hanno chiesto: «Dove è il tuo compagno?». Lei: «Non è il mio compagno». Dialogo inutile. La donna si è fatta saltare per aria, l’estremo tentativo di proteggere il rifugio ormai compromesso, forse per colpa del suo telefonino tracciato dalla polizia. La prima kamikaze in Europa. Fine drammatica seguita dal mistero sulla sorte di Abdel. Ora sono in corso gli accertamenti con l’aiuto del Dna per capire se sia morto nel blitz, inseguendo quel Paradiso con 72 vergini che forse qualcuno gli aveva promesso. In Belgio ne sono certi, fonti ufficiali citate dal Washington Post confermano, la procura aspetta i test per capire se mettere il timbro «deceduto» sul suo file, spesso quanto un elenco del telefono.
La prudenza dei magistrati è legata al recente passato. Il terrorista, come altri jihadisti, ha fatto girare la voce che fosse morto in ottobre, sotto i raid della coalizione a Raqqa. Era un bersaglio di alto valore, volevano farlo fuori perché sospettavano che stesso preparando qualcosa. I suoi parenti a Molenbeek, quartiere di Bruxelles, avevano accolto la notizia senza versare una lacrima. Quel figlio rinnegato non le meritava, aveva distrutto la loro vita di immigrati marocchini ben inseriti nella nuova patria. Poi era rispuntato quale referente operativo di un nucleo deciso a insanguinare l’Europa. Un ruolo che lo avrebbe portato a Parigi al fianco dei suoi uomini, alla testa del commando.
Subito dopo la sparatoria in Rue de Corbillon gli investigatori hanno sorpreso tutti non escludendo la presenza dell’estremista belga-marocchino in una casa usata come punto d’appoggio. Possibile che lo Stato Islamico abbia rischiato la mente del piano fino a mandarlo in territorio nemico? Gli esperti dell’intelligence hanno dato un’altra interpretazione plausibile. Abaaoud non era il capo ma solo un responsabile operativo, l’elemento di congiunzione tra la struttura di comando dell’Isis e il team incaricato della missione sacrificale. Una squadra in grado di sferrare un primo colpo, depistare con la fuga di alcuni complici verso il Belgio e poi pronta al nuovo fendente nella capitale. Dunque è possibile che fosse in posizione avanzata. Sopra di lui – hanno aggiunto le fonti Usa – un personaggio ben noto, Abu Mohammed al Adnani. È il portavoce del Califfo, protagonista di molti audio dove mescola pistolotti religiosi a consigli militari, compresi quelli di usare Paesi di «prossimità» – come il Belgio – per colpire in un altro, la Francia. O viceversa.
Abaaoud ha obbedito usando il sistema per molte operazioni nel corso del 2015. Imitando al Qaeda, il militante ha messo insieme dei complici spesso legati da rapporti familiari, scelta che pone al riparo dai tradimenti, consente di mantenere contatti facili, aumenta la coesione. Lui stesso ha dato l’esempio. Ha spinto il fratellino di 13 anni a unirsi all’Isis ed ha coinvolto Hasna, sua cugina per parte di madre. Una testa calda. Per qualche tempo amministratrice di una società immobiliare, ha abbracciato la lotta armata pur senza partire per la Siria. Era il target di intercettazioni per tre filoni di indagine separati: traffico di stupefacenti, sicurezza e anti-terrorismo. Su di lei avevano aperto una «scheda S», quella riservata alle persone potenzialmente pericolose. I capelli biondi coperti dal velo nero, descritta come un tipo deciso, ossessionata dalla Jihad, ha affrontato gli agenti insieme ai complici. Avrebbe attivato una carica esplosiva imitando quelle decine di donne trasformate in bombe umane. Sembra che fino ad un istante prima fosse al telefono con un complice.
E forse ora il suo nome diventerà quello di una «brigata» del Califfo, il suo gesto l’ispirazione per altre.