Style - il Giornale, 18 novembre 2015
«In piscina avrò fatto due volte il giro della Terra, ma non sono ancora stanco». Intervista a Filippo Magnini
Andare in montagna per incontrare un nuotatore è già una bella storia. Se poi ti arrampichi fino a Livigno (il Piccolo Tibet italiano) per raggiungere l’Aquagranda Sport Fitness Center che, a 1.816 metri, vanta una piscina di 25 metri considerata la più alta d’Europa, intuisci che la posta in palio è grande. Qui si è svolto il primo collegiale in altura in vista dei Giochi di Rio de Janeiro del prossimo agosto e qui abbiamo chiacchierato con Filippo Magnini, il re (oltre che Cavaliere della Repubblica dal 2004) del nuoto azzurro: a 33 anni e una bacheca di trofei da far girare la testa, non ha ancora smesso di “lavorare“quotidianamente per 5 ore in acqua e 2 in palestra. Bracciata su bracciata cerca un titolo di coda prestigioso in quella che sarà la sua quarta e ultima Olimpiade. “Non pensi ad altro per 4 anni – sorride – per una gara che se ti va bene dura 47 secondi e se ti va male te ne piglia due in più”. Lo squadri dall’alto in basso e non fai fatica ad intuire perché Giorgio Armani abbia voluto anche lui e la fidanzata Federica Pellegrini presenti alla sua ultima sfilata. Insieme formano una bella coppia, ma insieme stanno pure bene. Te ne accorgi dai loro sorrisi affiatati e sguardi limpidi. “Ci fanno pure le interviste doppie – scherza Magnini –, ma tra noi non rivaleggiamo su chi è più bravo. Abbiamo due identità ben delineate. Lei è una campionissima nelle sue gare, io nelle mie”. Filippo tifa Inter, ha una mamma diplomata in pianoforte che ha tentato invano di fargli imparare uno strumento musicale, un papà impiegato in azienda e la sorella Laura che a Pesaro lavora nel centro di riabilitazione e poliambulatorio di cui Filo è socio. È un uomo sereno e non te lo nasconde quando ti spiega che le malinconie lui non sa neppure cosa siano.
Ma “Superpippo” sei tu o Filippo Inzaghi?
«Lo siamo entrambi in sport diversi. L’uno non intacca l’altro. Ci sta, mi fa piacere condividerlo con quella che è una bandiera del nostro calcio».
Sei nato nel 1982, l’anno in cui la nazionale vinceva i Mondiali in Spagna. Da ragazzino avevi il pallone nel cuore ma quando si è trattato di scegliere hai optato per il nuoto.
«Ero un bimbo vivace, ho praticato un sacco di sport, compresi basket, tennis, pattinaggio. Il mio gruppo di amici fedeli frequentava nuoto, a un certo punto è stata una scelta naturale, oltre che amata. Ma la spinta iniziale è arrivata da mamma Silvia. Ero molto magro, aveva paura che col calcio mi facessi male. Voleva che prima di praticarlo m’irrobustissi con il nuoto. Il cambiamento fisico è avvenuto, ma poi ho scelto di restare in piscina. Avevo visto giusto. Ma te la racconto tutta. Da baby calciatore ero ala sinistra. Lo so, mi stai chiedendo quanti gol ho segnato. Non ridere: quella che doveva essere la mia prima partita è stata anche l’ultima: pioveva a dirotto, match sospeso per campo allagato. Un segno del destino. A quel punto mi sono detto: se mi devo bagnare tanto vale farlo in acqua».
Spesso tanti bimbi promettenti nello sport mollano la scuola. Tu invece hai un brillante diploma di geometra e sei prossimo alla laurea in Scienze Motorie a Urbino...
«Da piccolo ho messo la scuola come priorità e ritengo sia la strada che devono seguire tutt’oggi i genitori dei piccoli atleti. Niente scorciatoie, niente scuole private. Da ragazzini lo sport non deve essere un lavoro, ma un divertimento. Quindi ti svegli al mattino, frequenti la scuola pubblica per 5 o 6 ore e nuoti al pomeriggio. Il discorso può essere diverso solo per eccezioni come l’australiano Ian Thorpe che a 15 anni era già campione del mondo. Ma quelle sono rarità, lui è tutt’ora l’iridato più precoce di sempre. Io resto dell’idea che si può abbinare la scuola allo sport almeno fino al diploma e poi iniziare a fare i professionisti. Non è facile, sia chiaro. Io ho bellissimi ricordi legati alla scuola e ad alcuni professori. Ma altri non mi hanno reso la vita facile. Capitava di assentarmi 5 giorni per andare a disputare gli Europei juniores e quando tornavo ero il primo ad essere interrogato sulle cose spiegate proprio quando ero via. La scusa era che dovevo capire che la scuola non andava saltata. Domenico Fioravanti mi raccontava che a lui gli insegnanti dicevano di smetterla di perdere tempo in piscina... Già, poi vinci due ori olimpici o due ori mondiali ed è la tua rivincita contro la miopia di troppi insegnanti. In Italia non è come in America dove un atleta come me avrebbe avuto borse di studio dai 15 anni per continuare a nuotare... Da noi il sistema scolastico non si è ancora sposato con lo sport».
Fin da piccolo la tua adrenalina era la competitività. E a 12 firmavi pure autografi dicendo che 10 anni dopo avrebbero avuto un valore. Da bravo geometra non avevi sbagliato le misure: a 22 anni, nel 2004, ad Atene hai vinto il bronzo olimpico nella staffetta 4x200.
«È vero. Tu non hai idea di cosa ha dovuto subire Marco Santi che, nonostante tutto, è rimasto il mio migliore amico. Gli autografavo tutto, ovvero gli rovinavo tutto. Libri, quaderni, astucci, diari....tutto quello che mi capitava sottomano glielo “personalizzavo”. Mica una firma, molteplici.... E gli dicevo sempre di conservarli. Ne ha una bella collezione... Datati, ma li ha».
La tua vittoria più bella resta l’oro iridato del 2005 a Montreal? E la sconfitta che ti ha insegnato di più?
«Assolutamente sì, quell’oro inaspettato mi ha cambiato la vita. È l’oro del cuore. Nella mia bacheca speciale entrano altre medaglie stupende come il primo bronzo olimpico a 22 anni e il mio terzo titolo europeo nei 100sl a 30. Solo il russo Aleksandr Popov lo ha vinto 5 volte, poi ci sono solo io. Nella storia sono il secondo europeo che ha vinto di più nei 100sl e al mondo siamo soli in 4 ad aver vinto consecutivamente due titoli iridati: io, Popov, l’americano Biondi e l’australiano Magnussen. Imprese storiche indimenticabili ma imparo anche dalle sconfitte. La più cocente è stata l’avventura olimpica a Pechino: due prestazioni strepitose e 0 medaglie. Era il periodo dei superbody, non ci sono mai andato d’accordo».
Quarta Olimpiade a 34 anni. Te l’aspetti diversa da tutte le altre...
«Sì ed è qualcosa d’inspiegabile ora. Lo realizzerò sul momento. Alla mia prima partecipazione a 22 anni giravo a bocca aperta per il villaggio olimpico, osservavo tutto, sorridevo al passaggio degli atleti famosi e magari ci mangiavo al fianco. Un sogno, e arrivò pure la medaglia. Spero che i Giochi del 2016 possa viverli con l’esperienza di un uomo che ha mantenuto l’entusiasmo di un ragazzino. Ho un solo obiettivo: chiudere la carriera al meglio. E voglio onorare il mio ruolo di capitano. Quando ero giovane guardavo a Massimiliano Rosolino, il mio capitano, come ad un esempio e cercavo di fare tutto quello che faceva lui, sapendo di non sbagliare. Mi auguro che i miei compagni più giovani possano trovare in me lo stesso riferimento. Se c’è uno spogliatoio nulla è impossibile e il capitano è colui che deve tenerlo unito e carico. Con l’esempio. Penso sempre a Carlton Myers e al trionfo degli azzurri del basket agli Europei del 1999. Non li ha lasciati soli un secondo i suoi compagni».
Per restare così competitivo non esistono altre vie se non quella del sacrificio fatto in serenità. A cosa hai rinunciato veramente?
«Ci scherziamo su ma ogni tanto Federica mi deve ricordare che non ho 60 anni. Ma non ho alternative. A Rio gareggerò con atleti che avranno 20 o 22 anni e che quando io ne avevo 18 loro andavano all’asilo. Per questo devo curare molto di più ogni particolare, essere un professionista impeccabile non solo negli allenamenti in acqua. La mia età comporta un rischio maggiore d’infortuni e questo, ad esempio, m’impone di usare del tempo per fare lo stretching più idoneo. Devo mangiare il più sano possibile perché non hai più il metabolismo dei tuoi 20 anni. Da giovane, se hai talento, le cose ti vengono facili, ora non ho scelta: le devo costruire col lavoro. Le rinunce mi hanno accompagnato lungo tutto il mio percorso. Per esempio non ho mai fatto una settimana bianca o una gita scolastica con i miei compagni per non perdere gli allenamenti. Non ho mai potuto giocare a calcetto o sciare per non rischiare di farmi male. Vietato far tardi la sera o rimpinzarmi di panini e merendine da ragazzino. I sacrifìci sono stati tanti e continuano a restare tali. Ma sicuramente il più grande è stato fare la valigia, salire sull’auto, lasciando la mia famiglia e la mia Pesaro per andare ad allenarmi a Torino. A 19 anni andare a vivere da solo a 500 km da casa e continuare a farlo anche ora a 33 anni non so in quanti sarebbero stati capaci di farlo».
Dopo Rio basta però. Non ti fa paura l’idea di entrare nella vita “vera” ed inseguire altri tipi di medaglie...
«Mi sa che non avrò una vita proprio normale, anche se la cercherò in ogni modo. Sono una persona molto attiva, mi piace conoscere, viaggiare, inventare. Sicuramente non starò mai dietro una scrivania. La vera paura non è avere una vita diversa, ma l’idea di non nuotare più. Ma troverò la mia strada e nello sport resterò sempre. Sì, perché alla fine uno sportivo lo è per tutta la vita. Gli insegnamenti della tua disciplina ti seguono e ti segnano per sempre. Con altri due ragazzi abbiamo fatto nascere il progetto “I am doping free”, un impegno importante voglio dedicarmi ancora di più. Creeremo un format e andremo a parlare nelle scuole e nei palazzetti sportivi per far capire i veri valori dello sport. Il doping c’è, esiste. Negarlo equivale ad ammettere implicitamente che sia invincibile».
Già, uno dei tuoi pilastri fondamentali è il rispetto delle regole. Anche per questo ti sei arrabbiato molto quando ad agosto, ai Mondiali in Kazan, hai visto sul podio gente al rientro dopo squalifiche per doping...
«Certe vittorie mi fanno schifo e ormai è un’abitudine. Positivi, squalificati, rientrano e vincono. Come pagare una multa per divieto di sosta. Paghi e sei di nuovo a posto. Uno come gli altri. E non è così. Basta vederlo quel cinese, Ning Zetao, iridato nei 100sl. È stato squalificato per clenbuterolo, un anabolizzante che ti cambia il fìsico, ed è tornato in acqua 6 mesi prima dei campionati. Non esiste. Tieni conto che durante la squalifica tu non sei sottoposto a controlli, puoi continuare a doparti. Chi può credere a una simile vittoria? Stesso discorso per la russa Yulya Efimova, oro nei 100 rana. La cosa che mi fa rabbia è che questi successi con l’ombra tolgono la gioia più grande a ragazzi puliti, che si sono sempre sacrificati nella correttezza e nella lealtà. Magari sul podio ci arrivano lo stesso, ma non sul gradino che più conta. Quello che ti fa provare l’emozione di sentire l’inno, che riempie di commozione la tua famiglia e che magari ti fa trovare nuovi sponsor. In questo modo si penalizza e anche umilia chi non cede alla scorrettezza. Per fortuna a me non sono mai state proposte simile pratiche, ma non avrei avuto il minimo timore a denunciarle per non esserne complice. L’Italia è uno dei pochi Paesi dove il doping è reato penale».
Con Federica, tra alti e bassi, fai coppia dal 2011. Vi siete anche lasciati e poi ripresi. Te lo ricordi il vostro primo incontro? Un suo pregio e un suo difetto?
«Dopo il Mondiale, nell’estate del 2011, in auto abbiamo girato l’Italia senza dire nulla a nessuno. Siamo stati in Toscana a trovare un amico, siamo stati a casa di Fede, a Roma, un po’ da me a Pesaro. Abbiamo fatto tutto il contrario di quello che i gossippari si aspettavano. Ci siamo presi del tempo per noi. Per conoscerci meglio e iniziare la nostra storia che, come tutti i legami, ha avuto momenti di difficoltà. Ma sono stati proprio quelli a farci crescere e capire quanto siamo importanti l’uno per l’altra. Non riesco mai a separare pregi e difetti in Federica. Dico semplicemente che è speciale. È un mix: sa quello che vuole perché altrimenti a certi traguardi non ci si arriva, poi magari ha momenti di inaspettata fragilità. Anche per questo è unica».
Vivete a Verona. Come vi dividete i compiti di casa?
«Nella quotidianità siamo una coppia normale, come tante altre. La nostra serenità, però, deriva anche dall’essere riservati sulla nostra vita privata. Ce la teniamo per noi. Se vuoi sapere se sono bravo ai fornelli, ti rispondo che di sicuro non muoio di fame. Ma non pretendere che ti sforni lasagne o piatti complicati. Sia io sia Federica in cucina ce la caviamo entrambi. Curiamo la nostra alimentazione, ma, per favore, non appiccicatemi etichette che non mi appartengono. Per esempio smentisco di essere diventato vegano. È però vero che l’amicizia con Marco Bianchi, il guru della cucina naturale, mi ha aiutato a capire come il cibo sia la benzina del nostro corpo e come più che la quantità sia importante la qualità degli alimenti. Ora mangio meno carne, più pesce, più verdure e cibi biologici. E Marco si prodiga in consigli che assecondo, perché ogni fase dell’allenamento o della gara ha bisogno anche di recuperi energetici. E allora ecco che spuntano la frutta secca, la rapa rossa, il cioccolato fondente. Piccoli accorgimenti che mi aiutano a stare meglio».
Già, e c’è pure la Magnonese...
«Mi viene da ridere da solo... Io posso rinunciare a tutto, ma non a una specifica marca di maionese. La Magnonese è un’invenzione di Marco (Bianchi, ndr) che aveva accettato la sfida di farmene una più sana e biologica. Senza uova, ma eccezionale. Ormai riesco a farla alla perfezione e la metto ovunque. Una grande maionese, appunto».
In acqua spacchi i secondi e a casa collezioni orologi. È la tua legge del contrappasso...
«Mi piacciono anche le auto, ma costano di più e quindi è molto più faticoso collezionarle. E allora ben vengano gli orologi. Mi piace cercare modelli particolari, stile vintage, non quelli che comprano tutti. Qualcosa che, magari, piace solo a me. Non li conto mai, sarebbe come togliere poesia alla mia passione».
Nel 2008 hai fatto l’inviato in Honduras all’Isola dei famosi. Pentito di quella scelta?
«Assolutamente no, è stata un’esperienza bellissima. Ringrazierò sempre Simona Ventura per avermi dato quell’opportunità. Non è stata facile perché facevo l’inviato in un posto lontano senza smettere di allenarmi. Almeno 4 volte alla settimana nuoto e palestra e fatti alla grande. Prima di partire mi avevano tempestato di critiche dicendo che non avrei combinato più niente in acqua. A due settimane dal rientro dall’Isola ho partecipato agli Europei: oro, argento e bronzo. Tutti muti. Già, perché si ritiene che lo sportivo debba fare solo lo sportivo. Io invece penso che uno della sua vita fa quello che vuole se non dà fastidio agli altri. Un nuotatore non è un calciatore che può permettersi di non fare altro, visti i guadagni nel mondo del pallone. Sapevo che non avrei tolto nulla alla mia preparazione sportiva e ho accettato di confrontarmi in quella nuova sfida. Mentre ho più volte detto no alla partecipazione da protagonista a un reality come Ballando con le stelle. Impensabile da atleta, ma una volta ritirato chissà...».
Si può essere amici nello sport?
«Certo che sì ed è una delle cose più belle dello sport. Legami che restano per tutta la vita. In Italia i miei amici sono anche miei avversari nei 100sl: Michele Santucci, Luca Dotto, Marco Orsi. Eppure insieme siamo una grande staffetta. L’amicizia è un punto di forza. E io la coltivo in ogni parte del mondo. Due nomi su tutti: l’olandese Pieter Van den Hoogenband e il canadese Brent Hayden, vincitore ex equo con me al Mondiale nel 2007, a Melbourne».
Hai giocato d’azzardo più in amore o a poker? E dove hai vinto di più?
«Ci tengo molto a sottolineare che io non gioco d’azzardo ma pratico il poker sportivo. Ovvero punto una cifra ma gioco con le fiches, non con i soldi veri. Io sono per il gioco responsabile. Ma senza falsa modestia direi che me la sono cavata bene in entrambi i campi...».
L’ultima volta che hai pianto.
«Io piango spesso perché sono una persona che sa anche ridere molto. Se sai ridere sai anche piangere. Piango ogni volta che incontro la sofferenza. Mi è capitato per esempio andando a trovare mio cugino di 10 anni, operato di appendicite. Lo vedevo stare male nel letto d’ospedale, non riuscivo ad andarmene e quando l’ho fatto ho pianto. E immancabilmente verso lacrime ogni volta che rivedo L’Attimo fuggente. Ci scorgo i valori in cui credo e che i tempi moderni stanno calpestando. Penso come ai tempi dei nostri nonni determinate cose si facevano con una stretta di mano, adesso purtroppo te la devi scordare. Sono cresciuto con quei valori e li trasmetterò alla mia famiglia e ai miei figli. E dico una cosa triste: oggi occorre fidarsi di poche persone».
Quanti chilometri macini in vasca in un anno? E cosa fai quando ti alleni? Canti? Pensi? Progetti?
«Ho smesso di contarli, ma nella mia carriera un paio di giri della terra li ho nuotati. Quando ero più giovane facevo anche 14 chilometri al giorno, adesso al massimo sono 12. In vasca si pensa solo ad allenarsi al meglio. Massima concentrazione, ogni gesto è tecnica, precisione, fatica. Devi fare tutto bene, metro dopo metro non puoi sbagliare niente. Dalla respirazione, a come metti la mano, a come batti le gambe, al ritmo. Impossibile distrarsi con altro».
Che voto dai a Magnini nuotatore e quale all’uomo Magnini?
«A livello sportivo mi do un voto alto perché ho fatto e sto facendo tanto. Non mi assegno il voto della perfezione perché si può sempre fare meglio, ma un buon 9 me lo merito. Poi, toccandomi, dovessimo prenderci la medaglia olimpica beh il 10 non basta. Un bell’11 è di diritto. Un buon 9 anche come uomo. Credo di essere una brava persona, che aiuta gli altri e si prodiga per tutto quello che ha intorno a sé. Non sono la perfezione, quella spetta solo a Dio. Siamo umani e quindi gli errori ci stanno, si fanno. Ma si rimediano pure».
Il nuoto è uno degli sport più sexy in assoluto. Noi spettatori qualche sbirciatina la diamo. E tu?
«Io guardo solo Federica».
E, mentre lo afferma, sorride come solo un uomo innamorato sa fare.