Vanity Fair, 18 novembre 2015
Julia Roberts dice che vorrebbe essere sua figlia («perché è una creatura affascinante e bellissima»), che ama fare le pulizie («mi dà gioia») e che è allergica agli sfoggi di vanità («Ma Dio, quanto mi piacerebbe esserne capace»)
In presenza di Julia Roberts, la gente si comporta in modo strano. I camerieri le si fiondano addosso, ansiosi di accontentarla. Intere famiglie la fissano inebetite. Ogni tanto, qualche fan intraprendente trova il coraggio di avvicinarsi. Ma solo per ripeterle qualcuna delle sue battute più famose. «La più usata? “Bello sbaglio. Bello. Enorme”», dice, citando Pretty Woman. E dopo, che succede? «Finisce tutto abbastanza in fretta», risponde, e sfodera il suo leggendario sorriso alla Julia Roberts. «Ma è comunque tenero». Saranno le origini meridionali (è nata a Smyrna, in Georgia), ma l’attrice è l’incarnazione della gentilezza.
La fama continua a sorriderle, e lei la prende con grazia, come quando ha raccontato della volta in cui il figlio Phinnaeus disse a qualcuno che sua mamma si chiamava «Julia Robinson». Il più delle volte, però, la celebrità non ha nulla a che vedere con la sua vita di tutti i giorni.
«Provo una riconoscenza enorme, quasi imbarazzo, per il successo che ho avuto nel lavoro, ma so anche dare il giusto peso alle cose. Non è quello che definisce la mia personalità», dice mentre pranziamo in un ristorante di Malibu. Quanto all’interesse del pubblico per la sua famiglia: «Per fortuna, abbiamo una vita abbastanza tranquilla».
In passato, si è presa più di una pausa dal cinema per dedicarsi alla famiglia. E se è vero che il marito Daniel Moder e i tre figli (i gemelli Hazel e Phinnaeus di quasi 11 anni, e Henry, 8) rimangono la sua priorità – «Le faccio vedere i miei mostriciattoli», mi dice scorrendo le foto di un recente viaggio a Parigi – è chiaro però che è tornata in pista: «Ho lavorato più negli ultimi dodici mesi che negli ultimi cinque anni. E non è che vada a caccia di lavoro, a me stare a casa piace. Anche se mi emoziona moltissimo trovare qualcosa che catturi la mia attenzione creativa».
L’attrice ha fama di essere molto esigente nella scelta dei copioni. Adesso la vediamo al cinema nel Segreto dei suoi occhi, di cui e coprotagonista con Nicole Kidman e Chiwetel Ejiofor, un thriller nel quale interpreta un’investigatrice dell’Fbi la cui vita deraglia dopo il brutale omicidio della figlia. Una parte emotivamente impegnativa, tanto che lei considera una fortuna aver avuto con sé sul set il marito, cameraman del film. «Dubito che alcune delle cose che ho tentato di fare mi sarebbero riuscite, se lui non fosse stato lì, fisicamente vicino. Condividere lo stesso spazio con la persona che rappresenta il tuo rifugio sicuro nel mondo ha il suo perché».
Adesso però pensa già al prossimo film, Mother’s Day, dove sarà una conduttrice di televendite. «Devo cominciare a guardare i canali di televendite. Non ha idea di quanto sia eccitata».
Incasellare questa attrice oggi è più difficile che mai. Premio Oscar (per Erin Brockovich, nel 2001), un tempo regina incontrastata della commedia romantica, ha dimostrato di essere molto più della «fidanzala d’America», etichetta che, dice, «si è svuotata, perché l’hanno usata troppo».
A 48 anni, sta realizzando alcuni dei film più impegnativi della sua carriera, ma non chiedetele se secondo lei le attrici over 40 abbiano cominciato a ottenere parti migliori: «È sempre un po’ strano quando si cerca di parlare di uguaglianza per le donne. Sarebbe già qualcosa se riuscissimo a superare la retorica a compartimenti stagni dei “ruoli migliori per le ultraquarantenni”. Nessuno chiede mai la stessa cosa per i maschi che hanno superato i quaranta».
La donna al tavolo con me è una persona molto acuta, che riesce sempre a intuire in quale direzione vanno le domande, e invita a rivolgerle spunti che «mi spingano a esaminarmi». Ma sa anche stare al gioco. Ogni tanto, a casa, pratica con marito e figli il «Family Dinner Game». Si fanno a vicenda domande come: «Se potessi essere un altro membro della famiglia per 24 ore, chi vorresti essere, e perché?».
E lei chi vorrebbe essere?
«Mia figlia, perché è una creatura affascinante e bellissima, oltre che meno trasparente dei fratelli».
Se invece potesse essere famosa per qualcos’altro, che cosa vorrebbe essere?
«Una grande scrittrice, o una pittrice. Quello che mi sbalordisce è il fatto di creare qualcosa dal nulla. Prenda L’anno del pensiero magico di Joan Didion, che ho letto da poco. Lo mettevo giù e rimanevo lì nel letto a fissare il vuoto. Mio marito mi chiedeva: “Tutto bene?”».
C’è una cosa che sogna di fare da molto tempo?
«Un paio di calze fatte a maglia. È che non ho ancora capito come si lavora il tallone. Le calze sono difficili».
Quali aspetti della sua educazione sta cercando di trasmettere ai suoi figli?
«Mia madre lavorava tantissimo, fuori casa e in casa. Era una cuoca fenomenale, faceva tutto con le sue mani. Casa nostra era sempre in ordine, i nostri vestiti sempre puliti. Le faccende domestiche mi procurano molta gioia».
Avesse 18 anni, sceglierebbe di nuovo questo mestiere?
«No, non credo che ce la farei. Forse perché non ho più quell’età e quell’energia, ma mi sembra tutto faticosissimo».
Che cosa pensa della corsa alla presidenza di Hillary Clinton?
«È un argomento complesso (Julia vuole manifestare il suo sostegno senza dichiararlo ufficialmente, ndr) per me che sono una donna di oggi, con una famiglia e un lavoro... Non dico che lei sarebbe “la presidente delle donne”, ma trovo che il suo punto di vista sia fondamentale, in un momento storico nel quale rappresentiamo il 51 per cento della popolazione mondiale, e tutto sommato un certo spostamento culturale non è ancora avvenuto. Mi piacerebbe molto vedere che cosa avrebbe da offrire, una volta alla guida di questo Paese».
A Hollywood, un paio di conquiste femminili Julia Roberts le ha messe a segno. È stata la prima attrice a guadagnare venti milioni di dollari per un film: era Erin Brockovich. Ed è stata la prima, nella sua generazione, a entrare senza complessi nel club goliardico dei divi uomini. Di recente, per esempio, è andata con la famiglia a trovare i Clooney sul lago di Como. Che tipo di amico è George? «Be’, io sono un po’ come la sorellina minore che ti trascini dietro, quella che dice sempre: ehi, aspetta, ci sono anch’io».
«Eravamo un gruppo di amici», dice a proposito dei suoi coprotagonisti in Ocean’s Eleven (e Twelve), fra i quali c’erano Clooney, Matt Damon e Brad Pitt. «Mi ricordo un giorno, mentre ero incinta di Phinn e Hazel. Stavo passeggiando per un vialetto a casa di George, e svoltando l’angolo ho visto i ragazzi che pranzavano tutti insieme seduti a tavola. Hanno cominciato a dirmi: “Dai, vieni qui, siediti”. Mi vietavano di salire le scale. È stato un cambiamento molto tenero, per il tipo di rapporto che avevamo. Inizialmente non si faceva che scherzare e prendersi in giro. Poi di colpo rimango incinta, e allora tutti cominciano a spostarmi la sedia dal tavolo, a rabboccarmi il bicchier d’acqua, a chiedermi: “Ti senti bene? Mi sembri un po’ stanca”».
È vero: in Julia Roberts c’è qualcosa che ispira la gentilezza. Si presenta in anticipo per l’intervista e controlla il telefono solo una volta. Quando vede che a chiamarla non sono i figli, annuncia che chiunque sia «verrà ignorato». È allergica agli sfoggi di vanità. «Quando guardo alla Tv gli Oscar o cose simili, e vedo tutta quella gente che fa le piroette e si mette in posa, penso: Dio, quanto mi piacerebbe esserne capace! I fotografi ti chiamano: “Di qua! Di qua!”, e io mi dico: no che non mi giro! Insomma, mi sento una perfetta imbecille. Eppure, dentro di me, vorrei tanto riuscirci. Non ce la faccio, ma alla fine ogni giorno può essere perfetto», conclude, osservando l’oceano. «Basta guardarlo dall’angolazione giusta».