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 2015  novembre 18 Mercoledì calendario

Cronache di ordinaria malagiustizia: dopo due sentenze d’ergastolo per aver ucciso la compagna, in attesa della Cassazione un presunto assassino è stato scarcerato per decorrenza dei termini

Sembra una notizia come un’altra, e per molti aspetti lo è: a Milano c’è un presunto assassino (diciamo presunto perché la condanna non è ancora in giudicato, cioè non è definitiva) che in attesa della sentenza della Cassazione è stato scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Ora Carmine Buono, idraulico, 58 anni, ha solo l’obbligo di dimora.
Capita spesso, ed è anche vero che in galera bisognerebbe andarci solo dopo una sentenza definitiva; i maledetti tempi della giustizia, inoltre, non sono stati neanche così terribili: l’assassinio è del febbraio 2012, la sentenza d’Appello è del marzo 2014, la Cassazione, vabbeh, arriverà.
Ma è nei dettagli che un solo e singolo caso smette di essere solo un dato statistico, e diventa il simbolo o il paradosso di tutta la nostra ingiustizia.
Antonia Bianco era una 43enne con una storia turbolenta e disgraziata e un figlio che vi era nato in mezzo. Con l’ex compagno, un idraulico di 58 anni, era finita spesso a minacce e sberle in faccia, e tirate di capelli, lesioni, stalking. Ma lei, lo stesso, aveva acconsentito a rivederlo per parlare da amici, come si dice. Ma più tardi arrivò una sua chiamata ai carabinieri: «Correte, sto male, mi ha picchiata ancora». Le sue ultime parole. L’ambulanza la soccorse in via Turati, a San Giuliano Milanese, e trovò sul marciapiede questa donna magra e rattrappita, pallida, gli occhi spalancati, una smorfia di dolore. Si era appoggiata contro un muro per cercare di non cadere, ma poi era crollata. Forse un attacco cardiaco, pensarono: ma al pronto soccorso arrivò morta. E sui vestiti, sul corpo, non una traccia di sangue. Solo un esame dei medici notò una piccola ferita sotto l’ascella sinistra, forse causata da un oggetto appuntito che aveva perforato il pericardio: forse un coltellino, uno spillone, uno stiletto. Dopo due autopsie fu chiaro che qualcosa di acuminato (e mai trovato) le aveva bucato il petto e spaccato un ventricolo.
Quest’uomo, l’assassino “presunto” che attende un tardivo sigillo della Cassazione, ora è in libertà. E ripetiamo, forse è davvero un caso come tanti altri, neanche così scandaloso: ma visto da vicino, vissuto da vicino, ogni caso diventa unico e simbolico di un’intera esistenza. Verrebbe quasi voglia di buttarla in politica, verrebbe da chiedersi perché nessuna abbia scritto celeri motivazioni della sentenza d’Appello per velocizzare il ricorso in Cassazione, verrebbe da chiedersi perché nessuno apra mai “sessioni estive” della Cassazione per casi come questo, perché certi iper-attivismi non siano riservati ai comuni mortali (morti, in questo caso) e perché la nostra giustizia riesca a fare il diavolo a quattro solo se se c’è una pressione mediatica. Dubbi retorici, inutili. Un uomo ha ucciso la madre di suo figlio con uno stiletto, la nostra giustizia l’ha condannato e rimesso in libertà. È tutto.