Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 18 Mercoledì calendario

Anche Bobo Vieri scrive un libro sulla sua vita da bomber. Tra fan, Porsche e «superfighe»

Ha voluto raccontare dieci anni da campione, e bisogna dire che in Chiamatemi bomber, l’autobiografia di Christian Vieri detto Bobo, gli stereotipi del pallone ci sono tutti: soldi, feste, auto veloci, donne.
Nel suo caso, non manca neppure la favola. Figlio di un calciatore (Roberto detto Bob, giocò anche nella Juve), emigrato in Australia a 4 anni, tornato in Italia a 14 con due sogni: Serie A e Nazionale. Realizzerà entrambi tra il 1995 e il 2008, con l’unico dispiacere, enorme, di non aver disputato il suo terzo Mondiale, nel 2006, per l’ennesimo infortunio. Dispiacere che lo porterà a chiudere prematuramente, e non in gloria, la carriera di calciatore.
Oggi vive a Miami, dove fa il commentatore per il canale BeIN Sports. In Florida si sente a casa, la sua prima lingua è sempre stata l’inglese: lo intervisto via Skype e noto subito che l’accento oggi è più marcato. Una contaminazione riconoscibile anche in certe «sparate» che in Italia l’hanno fatto etichettare come «arrogante» (per esempio, la famosa frase detta ai giornalisti nel 2004: «Sono più uomo io che voi tutti messi insieme»). Bobo è diretto ai limiti del brutale.
La sua giornata tipo, a 42 anni, è il sogno di un ventenne: sveglia alle 7.30 per giocare a tennis, pomeriggio in studio a commentare partite o in spiaggia a giocare a football, serate da single con gli amici e le tante belle ragazze che a Miami vivono in costume. Non gli manca nulla, o forse sì.
 
La parte del libro dove parla delle donne ha un titolo che si commenta da solo: «Quello che deve fare un bomber».
«Quello che ho scritto è niente. Editore e agente mi hanno censurato. E poi molte delle donne con cui sono stato – e neppure può immaginare quante e quali – non hanno voluto che facessi il loro nome».
Raccontando le sue estati al Pineta di Milano Marittima, scrive che si appartava sistematicamente con due o tre nella stessa sera, negli uffici della discoteca dove era di casa: «Ci chiudevamo lì dentro e facevo quello che deve fare un bomber. Capitava di fermarmi, di guardarla negli occhi e dirle: “Oh, non ci siamo presentati, ciao, io sono Bobo”. E scoppiavamo a ridere insieme, proprio sul più bello».
«Non è che mi vanto, ma la mia vita è stata questa. Se sei uno sportivo, se sei famoso, è normale andare nei posti belli, frequentare ragazze belle. Anche conquistarle: io ero il loro idolo, avevo anche il ruolo giusto, facevo gol».
Continuo a leggere: «Succedeva anche che nella foga mi dimenticassi di chiudere la porta dell’ufficio e, mentre ero lì a fare il bomber, il proprietario e i suoi ragazzi continuassero il loro viavai lavorativo».
«Sì, ma erano tutti tranquilli. Passavano e mi dicevano: “Ciao Bomber, come va?”. E io, come se non fossi lì con i pantaloni abbassati: “Tutto bene, a dopo”».
Che ragazze erano?
«Normalissime».
Prostitute mai?
«Quella roba lì  non mi piace. Ho amici malati di strip club, capita che li accompagni a Las Vegas, ma io non mi diverto a mettere i dollari nelle mutande delle spogliarelliste».
Non aveva paura che una di loro la incastrasse?
«Vuol dire farsi mettere incinte? Non sono mica scemo, ho sempre usato precauzioni. Quando con Sweet Years, la mia azienda, ho promosso i preservativi per beneficenza, me ne sono tenute 600 confezioni, e per un po’ sono stato a posto. Non lo uso solo se vado con amiche che conosco da molto tempo».
Nel libro racconta di una fan che per sei anni l’ha aspettato fuori dal campo di allenamento solo per farle «un regalino», come lo chiama lei, senza che vi siate mai visti in altre circostanze.
«Succede a gente come noi. Evidentemente aveva del tempo libero e le andava bene vederci così».
Prima di diventare famoso, beccava?
«Il giusto, faticavo come tutti. Ma già quando giocavo in B le ragazze in città mi conoscevano e diventava tutto più facile. Per non parlare della A».
Cosa le attirava di più? Soldi? Notorietà?
«La curiosità. Io stesso, che sono un personaggio famoso, sono affascinato dai giocatori di basket, che qui in America sono le vere star. L’altro giorno, a Rio, ho incontrato LeBron James e gli ho chiesto la foto. Ero emozionato. Quando li vedi in Tv, hai la curiosità di conoscerli, di sapere come sono davvero».
Scrive che, a partire dai 18 anni, ha fatto sesso quasi tutti i giorni.
«Parlo per quegli anni, certo, ma se dico una cosa è quella. Ero giovane, fisicamente ero forte, allenato, mangiavo bene. Dovevo stare in casa tutti i giorni?».
Anche con due o tre donne alla volta, però.
«È ancora più bello. Io amo le donne. Qui a Miami vorrei andare a vivere con quattro o cinque».
La fedeltà non è il suo forte.
«Nella vita ho avuto solo due fidanzate importanti: sono stato tre anni con Elisabetta (Canalis, ndr) e cinque con Melissa (Satta, ndr). La fedeltà mi è pesata soprattutto all’inizio, infatti è stata più Elisabetta a incazzarsi, e quanto: mi inseguiva in strada per pestarmi. Sei famoso, vai in giro, hai tantissime tentazioni. A volte riesci a essere bravo, a volte no».
Con lei e Canalis nasce il binomio velina-calciatore.
«È apparsa a Striscia ed è stata una visione, ero imbambolato. Ho chiesto al mio amico Ciccio Colonnese (compagno di squadra all’Inter, ndr) di aiutarmi a conoscerla: fortuna ha voluto che lui fosse amico di Iacchetti, interista sfegatato. In quei tre anni, i paparazzi non ci hanno mollato un attimo. Nemmeno le spie dell’Inter, ma questo l’ho saputo dopo».
Ha mai affrontato il presidente Moratti dopo quella scoperta?
«No, non l’ho mai più visto. Io le cose gliele ho sempre dette in faccia. Se vuoi sapere che cosa faccio la sera me lo chiedi, non mi fai pedinare».
Non l’ha perdonato.
«Per me è come andarsene quando un amico sta male, lasciandolo solo in mezzo alla strada. All’Inter ho dato tutto e Moratti mi ha profondamente deluso. Perché l’ha fatto a me? A quello che per sei anni gli ha fatto quasi un gol a partita? Che, quando eravamo nella merda, usciva al posto suo a parlare con i giornalisti? Io un’idea ce l’ho, ma non la dirò mai».
Nei primi tempi all’Inter, racconta, ha insultato Milly Moratti, la moglie del Presidente, senza sapere chi fosse.
«Sono seduto in tribuna, arriva questa e inizia a insultarmi, a dirmi che non me ne frega un cazzo dell’Inter, che penso solo ai soldi e a uscire la notte. Io non sono uno che sta zitto, soprattutto davanti a chi parla senza conoscermi. Le ho detto cose che non posso ripetere, cose brutte. Poi mi è stato detto chi era, ma io la verità la dico sempre e comunque. Quando ho detto alla stampa “Sono più uomo di voi tutti messi insieme”, era la verità. E nessuno ha replicato. Mi devi prendere per quello che sono, tanto pago sempre sulla mia pelle».
Un minimo di diplomazia non avrebbe guastato.
«Ogni tanto dico ai miei amici che, se fossi stato più ruffiano, sarebbe andata meglio. E loro: “Bobo, ma non saresti tu, tu sei un leone, dici quello che pensi, noi ti amiamo per questo”».
Nessun rimpianto?
«Nessuno. Mi spiace non aver fatto il mio terzo Mondiale, non aver partecipato alla vittoria dell’Italia con Lippi, l’allenatore che mi ha insegnato di più. Ma essermi infortunato un mese e mezzo prima è stata solo sfortuna».
Con le due fidanzate perché è finita?
«Elisabetta credo di averla esasperata, mi fece anche la fiancata della mia nuova Porsche Cayenne con la chiave. Macchina sfigata, quella: una sera, fuori dall’Hotel Diana a Milano, l’ho consegnata a un parcheggiatore che parcheggiatore non era, e non l’ho mai più vista. Melissa invece l’ho lasciata io. E dire che l’avevo aspettata due anni: aveva diciotto anni quando l’ho conosciuta in Sardegna, mi ci sono messo quando ne aveva venti ed era ormai a Striscia – lo so, sembrava che avessi l’abbonamento alle veline. Era un amore di ragazza, mi ha sopportato negli anni più difficili della mia vita, quelli dopo il 2006, quando ero sempre incazzato per via degli infortuni. Ma alla fine non ero più innamorato: succede. Sono felice che oggi abbiano trovato la serenità con altri, e siano diventate due splendide madri».
Lei invece fa ancora la vita da single.
«Sto bene, mi diverto. Non è che non voglia trovare la donna giusta – io una famiglia, e dei figli, li desidero – ma se la cerchi non la trovi. E poi io sono molto difficile, un rompicoglioni».
Nel senso che cerca solo superfighe?
«La superfiga, dopo due o tre mesi, diventa normale. Certo l’aspetto fisico conta ma, per fidanzarmi, lei deve saper scherzare. Io sono uno simpatico, la gente non mi conosce da questo punto di vista solo perché sto sulle mie: normale, quando per venticinque anni hai avuto le persone addosso e sentito sul tuo conto commenti di ogni tipo».
In che senso è un rompicoglioni con le donne?
«Sono maniaco della pulizia».
Non può prendersi una domestica?
«Parlo di igiene personale. A me da fastidio tutto: odori, trascuratezze. Se una vuole dormire con me, deve essere malata come me. Io mi faccio parecchie docce al giorno, mi lavo continuamente i denti. E poi non mi fido di nessuno».
Il momento più bello della sua vita?
«Quando segnavo un gol, e facevo alzare ottantamila persone che urlavano il mio nome. Il bello non era tanto fare gol, ma sentire la gioia che davo al pubblico. E un’adrenalina che, quando smetti di giocare, non hai più. Nessuno può capire: solo un attaccante, solo un bomber».