il Fatto Quotidiano, 18 novembre 2015
Salvataggi bancari, dal 2016 potranno essere coinvolti anche i risparmiatori con depositi di oltre 100 mila euro. Ecco un buon indicatore da consultare per essere aggiornati sulla salute della propria banca
Dal primo gennaio 2016 entra in vigore la normativa del bail in: se la banca presso cui si sono depositati i propri risparmi o di cui si è creditori (per esempio possedendo delle obbligazioni) ha dei problemi finanziari seri, il problema potrebbe diventare anche vostro ed essere chiamati a partecipare con i vostri risparmi al “salvataggio”.
Ma come può un risparmiatore capire se il banco sta saltando? In teoria ci sono le autorità di vigilanza che dovrebbero evitare che si arrivi a questa situazione e se detenete risparmi sul conto corrente o depositi sotto i 100.000 euro c’è poi il Fondo interbancario di tutela dei depositi che garantisce che nessun cent è a rischio e questa garanzia varrà anche nei prossimi anni. Nella pratica però quello che sta succedendo da alcuni mesi intorno ad alcune banche dissestate (Banca Marche, Carichieti, Carife ed Etruria) sta dimostrando che le risorse a disposizione del Fidt per come è costruito possono essere anche insufficienti o considerate dall’Unione europea non utilizzabili per salvare banche decotte. E c’è ancora una certa confusione che si spera si diradi entro il 2024 quando a livello europeo entrerà in funzione un meccanismo di salvataggi (Single Resolution Mechanism) su base europea.
Vale quindi dedicare un po’ di tempo a informarsi sullo stato di solidità della vostra banca e a prendere un po’ di confidenza con alcuni indicatori di solidità che ciascuna banca è obbligata a fornire nel proprio bilancio (sono disponibili quasi tutti on line). Come evitare quindi di scoprire troppo tardi che la propria banca ha dei grossi guai?
Non tutti i risparmiatori magari avranno il tempo e le competenze di leggere il bilancio della propria banca ma qualche precauzione possono prenderla per monitorare periodicamente lo stato del proprio istituto. Un indicatore che è diventato molto importante per misurare la solidità degli istituti bancari è il Common equity tier 1 in sigla Cet1. Qui potete vedere nella tabella quelli che abbiamo rilevato dalle ultime trimestrali di alcune delle banche italiane più conosciute. Con questo indicatore si rapporta il patrimonio netto della banca (il capitale sociale più le riserve) ai rischi assunti, ovvero si misura il totale delle attività ponderate per il rischio. Le norme europee prevedono come pavimento “minimo” per le banche un Cet1 Ratio dell’8 per cento che equivale a dire che una banca può effettuare investimenti (finanziamenti, prestiti, mutui, investimenti su titoli e così via) ponderati per il rischio superiori a 12,5 volte il capitale proprio. Più questo indicatore è elevato, maggiore dovrebbe essere la solidità dell’istituto ovvero la capacità di affrontare eventuali scenari negativi avendo un maggiore “cuscinetto” di garanzia. Balza subito all’occhio come alcune banche più specializzate e più giovani (come Mediolanum o Fineco o Banca Ifis) presentano degli indicatori migliori rispetto alle banche più commerciali o alle banche popolari, poiché hanno spesso un basso livello di sofferenze rispetto ad altre banche più esposte sul fronte degli impieghi.
In generale un livello sotto 9 di Cet1 non è considerato sufficiente, per questo istituti come Veneto Banca o Popolare di Vicenza hanno dovuto mettere in cantiere (pressati dalla vigilanza Bce) per i prossimi mesi importanti aumenti di capitale mentre Banca Sella proprio in queste settimane ha deciso di rafforzare il patrimonio. Come tutti gli indicatori sintetici anche il Cet1 presenta difetti (alcune banche con un livello di crediti di dubbia esigibilità molto elevata mostrano un livello di questo ratio buono che meriterebbe un maggior approfondimento), ma resta fra i più facili da reperire per fare dei primi confronti.