Avvenire, 18 novembre 2015
All’Ilva di Taranto si continua a morire di lavoro
All’Ilva di Taranto si continua a morire di lavoro. Stavolta è toccato a Cosimo Martucci, 49 anni. L’uomo lavorava nello stabilimento per conto della ditta d’appalto Pitrelli. Stava scaricando dei tubi da un camion, quando l’imbragatura che li teneva fermi ha ceduto, ed una conduttura gli è caduta addosso, schiacciandolo. È morto poco dopo, sul posto. Gli operai del siderurgico hanno dichiarato subito lo sciopero generale che ha coinvolto anche le ditte appaltatrici, mentre la Procura ha aperto un fascicolo d’inchiesta sul decesso ed ha disposto il sequestro dell’area. L’azienda ha fatto sapere che avvierà un’indagine interna e ha diffuso una nota di cordoglio. «Visto che la magistratura non ha più potere di immediato sequestro preventivo degli impianti insicuri – ha tuonato il governatore della Regione Puglia Michele Emiliano, riferendosi ai contenuti dell’ottavo ed ultimo decreto legge ’salva-Ilva’ – occorre che sia la legge stessa a sostituire i poteri della magistratura che sono stati affievoliti, impartendo regole di comportamento a chi attualmente ha l’onere di gestire la fabbrica per conto del governo. Solo a queste condizioni le istituzioni potranno esprimere il loro cordoglio». Anche l’arcivescovo della diocesi di Taranto, monsignor Filippo Santoro, ha preso una posizione ferma. «Non voglio rinunciare ad unire la mia voce al coro dei ’basta!’. Si allunga l’elenco degli onesti lavoratori che perdono la vita in un’azienda – ha affermato – per la quale si sono spesi fiumi di parole, promessi fiumi di denaro. Dove, come, perché? Attendiamo delle risposte reali. Prego per l’operaio, per la sua famiglia e per tutti i suoi colleghi». «È inacettabile – ha commentato il segretario generale della Fim-Cisl nazionale, Marco Bentivogli – serve una prevenzione più capillare e una manutenzione adeguata degli impianti». «Nel momento in cui giungeva la notizia del decesso del collega – ha denunciato Francesco Rizzo dell’Unione Sindacale di Base di Taranto – eravamo intenti a segnalare agli enti competenti la mancanza di Dpi, i dispositivi di protezione, all’interno dello stabilimento: questa è la situazione in cui viviamo tutti i giorni». La vicenda è arrivata anche a Roma. ll deputato tarantino Gianfranco Chiarelli (Conservatori e riformisti) ha infatti presentato una interrogazione urgente ai ministri dell’Ambiente, dello Sviluppo Economico e dell’Economia sulla questione. Si tratta del secondo incidente mortale del 2015 all’interno del siderurgico. Il 12 giugno scorso morì arso vivo, Alessandro Morricella, 35 anni. A settembre 2014 perse la vita Angelo Iodice, 54 anni, investito da un mezzo. L’Ilva di Taranto è nell’occhio del ciclone da luglio 2012, quando la magistratura decretò il sequestro dell’area a caldo dello stabilimento per disastro ambientale. È partito così ’Ambiente svenduto’, il maxi processo che vede coinvolti anche l’ex presidente della Regione Nichi Vendola, l’ex presidente della provincia Gianni Florido e l’attuale sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno, insieme alla famiglia Riva, proprietaria dello stabilimento. Il governo ha commissariato l’azienda e con otto decreti legge in tre anni ha disposto direttive per il risanamento ambientale e la ripartenza economica della fabbrica, che però continua a perdere terreno mentre si profila la cessione ad una nuova compagnia per il prossimo mese. Ad oggi la produzione giornaliera si aggira sulle 14.500 tonnellate, con attività ridotta delle acciaierie, l’altoforno cinque chiuso per lavori di manutenzione fino alla prossima estate e diverse batterie delle cokerie ferme ai box. I lavoratori diretti della fabbrica sono poco più di 11mila, di cui circa 2.000 in solidarietà. Vent’anni fa gli assunti erano oltre 13mila.