La Stampa, 18 novembre 2015
Il blog di Beppe Grillo non esiste più. Adesso è firmato dal Movimento 5 Stelle. Ma il padrone del partito è sempre lui
Ilario Lombardo
Arriva sempre un momento in cui bisogna abbassare il megafono della piazza e fare sul serio. Solo allora il movimento diventa partito a tutti gli effetti. La pubertà politica finisce, e i ragazzi che sognavano di rivoluzionare il mondo con i clic diventano adulti. Quel momento doveva passare per forza di cose dal superamento del padre-padrone, del leader materiale e spirituale. Da ieri sera il Movimento 5 Stelle ha fatto un ulteriore passo in questa direzione, depennando il nome del blog, che poi è anche quello del leader, dal simbolo. Non ci sarà più scritto, nella parte inferiore del logo, beppegrillo.it, ma movimento5stelle.it. Lo hanno decretato gli oltre 32 mila attivisti iscritti al blog che hanno votato per questa versione, contro i quasi diecimila che avrebbero preferito non avere un indirizzo web.
Beppe Grillo sta spegnendo il suo megafono a poco a poco. La decisione era stata presa, la consultazione di ieri è stata solo un atto notarile. Anche il titolo del post “Comunicato politico numero 56” rievoca gli annunci delle origini un po’ carbonare del M5S, come fossero capitoli di un’unica storia che dal 2005, anno di fondazione del blog, arriva a ieri. Ma il comico lo aveva annunciato a Imola, poi ne aveva parlato nei colloqui privati con i nuovi capi del M5S, quei ragazzi cresciuti a furia di presenza in tv, cui aveva già affidato un anno fa il direttorio. Erano i giorni del primo passo indietro, del «sono un po’ stanchino»: «E infatti – spiega Piergiorgio Corbetta, autore con Elisabetta Gualmini de “Il partito di Grillo” – anche questa ultima decisione si inserisce nella strategia nata allora, di trasformazione di un movimento populista in partito. La storia insegna che per sopravvivere, i movimenti devono istituzionalizzarsi, darsi quei corpi intermedi che nell’abbraccio diretto tra il popolo e il capo prima rifiutavano. Devono saper fare a meno di leader che non sono eterni».
Ma davvero Grillo si ritirerà a Sant’Ilario lontano dal frastuono della politica, a lavorare solo ai nuovi spettacoli? A leggere i commenti degli attivisti, a parte qualche solitario sberleffo sarcastico, i toni sono quelli di un commosso addio, tra i mugugni di qualche parlamentare che ha paura di uno strapotere di Gianroberto Casaleggio e soffre l’ascesa di Luigi Di Maio. Ma è proprio così? Di fatto Grillo, lo provano gli ultimi mesi, si è defilato. Troppe energie spese, qualche gaffe di cui si è pentito, e poi la voglia di tornare ai suoi show lo hanno convinto a ragionare su cosa fare della propria figura così ingombrante per quei rampanti pentastellati che rischiavano di essere soffocati in culla. Non a caso i primi a parlare sono loro, con il cuore colmo di gratitudine ma anche di impazienza, quei tre che in futuro potrebbero contendersi la leadership. Alessandro Di Battista: «Il M5S è diventato adulto e si appresta a governare l’Italia: credo che sia corretto non associarlo più a un nome, ma a tutte le persone che ne fanno parte». Di Maio quasi si strappa gli occhi dalle lacrime: «Grazie Beppe. Sei l’uomo più generoso che conosca». Infine, Roberto Fico, il più realista del gruppo: «Da oggi diventiamo tutti più responsabili. Ma Beppe Grillo rimarrà il garante del simbolo». Resterà il garante e il proprietario del marchio. Non proprio un dettaglio, perché, al di là dell’evoluzione governativa, che consolida l’ambizione confortata dai sondaggi, vuol dire che il comico genovese mantiene il potere di interdizione. Avrà ancora parola sulla titolarità di utilizzo del logo, mentre Casaleggio continuerà a guidare l’organizzazione del M5S da Milano e Di Maio proseguirà sulla strada per la premiership. «È comunque – aggiunge Corbetta – un’altra tappa della normalizzazione, a vantaggio di una classe politica, meno leaderistica e più organizzata sul territorio. Se poi avrà successo, è tutto da vedere».
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Jacopo Iacoboni
Il 21 marzo 2012, alla «Direzione generale lotta alla contraffazione, ufficio brevetti e marchi» del ministero dello Sviluppo Economico, un incaricato dello studio del professor Raimondi depositò un logo del Movimento cinque stelle senza il nome di Beppe Grillo, pulito, su sfondo bianco. Alla voce «descrizione» c’era scritto «figura di un cerchio al cui interno sono disposte cinque stelle e la parola “movimento” con “v” in carattere di fantasia (marchio figurativo)», e alla voce «titolare»: Giuseppe Grillo, di Genova. Traducendo, già tre anni e mezzo fa Grillo si era cautelato: anche nell’ipotesi che il suo nome fosse tolto dal simbolo del Movimento, la proprietà del logo restava chiara. E, per statuto, chi detiene il logo coincide con il proprietario del Movimento.
Il passaggio è fondamentale per capire alcune cose avvenute ieri, nella votazione sul blog di Grillo. La prima è che, di fatto, Grillo resta chiaramente proprietario – elemento giuridicamente discriminante, perché decide il tesoriere formale, e quindi la gestione, in ultima istanza, di ogni eventuale fondo. La seconda è che Grillo aveva messo nel conto più volte – come ha detto e ridetto – di sfilarsi dalla prima linea mediatica, il che non coincide col farsi da parte giuridicamente e economicamente.
Terzo, dobbiamo toccare un momento il tema della posizione del direttorio, e dei parlamentari. La scomparsa del nome di Grillo (in una votazione inutile, che si riduce a stabilire se nel logo ci debba essere o no un indirizzo internet) asseconda certo le mire degli scalatori del direttorio, e del più scalpitante di loro, Luigi Di Maio (infatti alcuni, come Roberto Fico, si sentono a disagio e ripetono che «Grillo resterà il garante»). Ma non è stata accolta bene da molti militanti storici, anche parlamentari. In Senato i mugugni sono tanti, complice il fatto che, dice un senatore, «Casalino (l’ex del Grande fratello che gestisce la comunicazione, nda) ci prende e pesci in faccia». E dall’area bresciana, veneta, piemontese (ci potremmo mettere anche i liguri, ma stanno accorti e zitti), molti si lamentano: «Siamo stati colti di sorpresa», è l’umore di fondo, «Grillo per noi era la garanzia di un Movimento legato alle origini». Non il Movimento-partito degli scalatori. E ora?
Quarto, qual è la posizione di Casaleggio dinanzi a tutto questo? Lunedì, alla presentazione di un libro a Milano, il cofondatore ha fatto due cose: ha dettato da fuori la linea al Movimento (che su Parigi brancolava nel buio, e aveva accettato di buon grado di andare da Renzi a Palazzo Chigi coi due capigruppo Giarrusso e Sorial). Casaleggio ha detto: «Non si combatte la guerra con la guerra, noi dialogheremmo, ma non con l’Isis, un’entità per il momento (per il momento, nda) ancora abbastanza astratta; bisognerebbe dialogare con le realtà del Medio Oriente». Insomma, ha rimesso se stesso al centro come a dire al direttorio: la linea la decido ancora io. Poi ha detto qualcosa su Grillo. Si sta candidando nel M5S la prima moglie di Grillo, a Rimini? Casaleggio s’è limitato a prendere le distanze, senza nessuna difesa d’ufficio, «è una cosa che andrebbe chiesta a Grillo; riguarda rapporti interpersonali». Insomma, non proprio disposto a far scudo al fondatore.