Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 18 Mercoledì calendario

Guccini ha smesso di suonare la chitarra («non ho più i polpastrelli») e si annoia con la musica di oggi

DAL NOSTRO INVIATO
BOLOGNA S e il monumento vivente al cantautorato boccia la categoria c’è poco da stare allegri. «L’ultimo interessante è stato Capossela: serio e colto anche se un po’ estroso». Il professore è Francesco Guccini e il promosso è sulla scena da 25 anni. «Mi sembra che molti arrivino tardi, quando il più è stato detto, scritto e fatto: ci vorrebbe qualcosa di nuovo. Noi siamo stati fortunati a esserci nel momento giusto: prima di De André e del sottoscritto c’era la scuola genovese di Tenco, Lauzi e Paoli ma facevano solo canzoni d’amore».
Guccini fa il bilancio della sua prima carriera, quella di cantautore da tre anni in pensione, e apre un nuovo capitolo della seconda, quella di scrittore. L’artista bolognese sta per pubblicare «Se io avessi previsto tutto questo», un box da 4 cd (esiste anche in versione da 10 dischi) con il meglio degli album in studio, registrazioni live, due inediti, rarità, duetti e una versione alternativa di «Eskimo». Ed è uscito da poco «Un matrimonio, un funerale, per non parlar del gatto», raccolta di racconti (Mondadori).
Il posto scelto per la presentazione, le sale del Moretto, classica osteria bolognese fuori porta, ha il profumo della nostalgia. Nostalgia pubblica: il palchetto, le locandine dei vecchi film, i muri sembrano fermi a un passato in bianco e nero. E anche privata: a fine anni Sessanta era ritrovo di studenti («americani e greci») e aspiranti musicisti. «Venivamo a suonare con la chitarra e stavamo fino a tarda notte», ricorda. Lui con le canzoni ha smesso nel 2012 con «L’ultima Thule». «I primi anni mi uscivano con facilità, ultimamente, anche se ci sarebbero argomenti per scriverne, facevo fatica. Ho deciso di chiudere. Difficile che mi venga una nuova canzone: le mie nascevano con la chitarra in mano e improvvisando i testi. Adesso non suono nemmeno più la chitarra, non ho più i calli sui polpastrelli». La musica è qualcosa di lontano. «Non ne ascolto più. E se mia moglie mette un cd in macchina le dico “per carità...” Sento troppe canzoni inutili».
Abbandonata la parola cantata ha preso più spazio quella scritta. «Sono snob e anche un po’ fighetto. Sono più orgoglioso per “La cena”, mio racconto finito in un’antologia di autori italiani dei Meridiani che per tutta la mia discografia». Due modi di espressione diversi. A partire dalla tecnica: «Per racconti e romanzi ho usato prima una macchina da scrivere e poi il computer. Per le canzoni sempre carta e penna». Il suo primo romanzo, Cròniche epafàniche risale al 1989. «In questo campo sono ancora fresco. Sento di aver ancora cose da dire». I racconti girano attorno a quel mondo contadino dell’Appennino emiliano dove è tornato a vivere («Sarà l’età ma non reggo più traffico e folla») e ai personaggi che lo popolavano nel secolo scorso. «È la mia età dell’oro, ma purtroppo non esiste più».
Simbolo dei cantautori. Bandiera della sinistra musicale. Sulle manifestazioni dei giorni scorsi che hanno visto Lega e centri sociali su fronti opposti nella sua bologna si è esposto su Twitter con un «ora e sempre, resistenza» per la manifestazione degli antagonisti. «Mi hanno dato del rincoglionito comunista. Difendevo la libertà di manifestare di chiunque, non era un sostegno ai black bloc. In quella piazza ha manifestato anche Casa Pound». Un comunista ai tempi di Renzi come se la passa? «Su Renzi preferisco non dire nulla. Ma non sono mai stato renziano».