Corriere della Sera, 18 novembre 2015
Veronica Panarello ammette: «Ho buttato io il cadavere di Loris nel canalone. Però non l’ho ucciso»
RAGUSA Dopo quasi un anno di bugie e di carcere, Veronica Panarello barcolla e, pur continuando a negare di avere ucciso il suo piccolo Loris, ammette di averne buttato il corpicino nel canalone di Santa Croce Camerina dove fu poi trovato dal cacciatore Orazio Fidone.
È la svolta di una giornata che ieri ha visto tornare per le strade del paesino della provincia di Ragusa questa madre con la faccia smunta, nascosta all’interno di una Volante, per confessare come si è liberata del corpo, ma giurando di non avere ucciso il bambino: «L’ho trovato a casa strangolato dalle fascette elettriche con cui giocava... Ho provato a soccorrerlo. Non c’era niente da fare. Nessuno mi avrebbe creduta e allora l’ho portato nel canalone...».
Questa la versione che non viene creduta da chi la accusa di omicidio e continuerà a farlo nell’udienza del Gup prevista per giovedì, ma rinviata a venerdì. Una versione ripetuta come una litania fino a tarda sera negli uffici della Procura guidata da Carmelo Petralia dove si conclude il sopralluogo compiuto anche alla ricerca di tracce dello zaino del piccolo Loris. Perché la madre che aveva sempre ripetuto di avere accompagnato il bimbo a scuola e di averlo lasciato davanti all’istituto, ieri ha pure ammesso di essersi liberata dello zainetto di Loris, una sacca blu con le stringhe gialle, gettandolo in un cassonetto dell’immondizia.
Altra confessione sussurrata lungo le poste di questo calvario che il 29 novembre dell’anno scorso inghiottì l’esistenza di Loris. Con l’allarme scattato al suono della campanella, davanti all’istituto dove Veronica recitò, come fosse una consumata attrice, la parte della madre disperata perché qualcuno aveva rapito il figlio.
Ci volle nei giorni successivi tutto l’impegno della Squadra mobile diretta da Nino Ciavola e dei più esperti poliziotti italiani inviati dal Viminale per accertare, con il fondamentale ausilio delle telecamere di sorveglianza distribuite in paese, che Veronica Panarello non aveva affatto lasciato quella mattina il bimbo a scuola.
Ed è questa la prima breccia che lei stessa ha aperto pochi giorni fa, dopo un anno in cella, parlando col marito, Davide Stival, un autotrasportatore subito scettico nei suoi confronti, per tanti mesi restio ad andarla a trovare nel carcere di Agrigento. Come ha fatto invece la scorsa settimana quando Veronica gli ha balbettato di non avere lasciato Loris davanti a scuola, quella mattina. Una breccia. Utilizzata dagli investigatori e dal sostituto procuratore Marco Rota per interrogare ancora una volta la presunta Medea. Come è accaduto facendola anche tornare a Santa Croce Camerina, nella sua casa non lontana dal canalone, le serrande abbassate, il soggiorno e le camere da letto battute per cercare l’ammissione finale.
A questa meta sembra che non si sia arrivati ancora, ma dicono tutti, anche il difensore Francesco Villardita, che il riserbo sull’ultimo interrogatorio sarà rispettato fino a venerdì, fino alla comparsa davanti al Giudice dell’udienza preliminare. Un dato è certo. L’ipotesi dell’«incidente», con il piccolo che stringe da solo la fascetta al collo e la madre che lo trova soffocato, non convince chi ha lavorato per mesi a questo drammatico evento sospettando anche la complicità di una seconda persona mai individuata, nonostante le minuziose ricerche sulle registrazioni e sui tabulati telefonici.
Resta il dubbio che una donna esile possa aver fatto tutto da sola. Un giallo ancora con qualche ombra. Ma l’inchiesta giudiziaria, intanto, ha avuto una conferma in Cassazione da dove arrivano le motivazioni della sentenza che nel mese di maggio respinse l’istanza di scarcerazione «per i gravi indizi di colpevolezza» legati anche «agli spostamenti dell’indagata accertati tramite le videoriprese delle telecamere pubbliche e private...».