la Repubblica, 18 novembre 2015
Le indagini sul massacro di Parigi. Salah è sempre in fuga, con lui c’è il nono uomo
PARIGI. Salah Abdeslam, l’ottavo uomo del commando dell’orrore, è ancora in Belgio. E non da solo, se, come ormai sono certi gli inquirenti francesi – e come riferito da Repubblica già due giorni fa – almeno un altro uomo è in fuga con lui. Un secondo “ricercato” che riporta gli uomini del commando o comunque direttamente legati al gruppo di fuoco a nove (tre squadre da tre). Un numero suggerito sin qui non solo dall’aritmetica delle armi recuperate (erano 3 i kalashnikov sulla Seat Leon ritrovata a Montreuil), ma anche da una terza macchina – una Renault Clio nera con targa belga – anche questa noleggiata da Salah Abdeslam e ritrovata ieri nel diciottesimo arrondissement di Parigi, il quartiere di Montmartre, il terzo (oltre al decimo e undicesimo) che il piano dell’Is, come abbiamo raccontato nei giorni scorsi, prevedeva di colpire.
«SALAH È QUI»
Un secondo uomo, dunque, e Salah. Che il fuggiasco di cui da 4 giorni campeggia la foto segnaletica sui siti di informazione del mondo intero (il che ha moltiplicato i suoi presunti avvistamenti) sia ancora in Belgio è circostanza di cui sono convinti al Ministero dell’Interno belga. Al punto da cancellare la partita amichevole Belgio-Spagna a Bruxelles, in calendario ieri, elevare il livello di allerta antiterrorismo da 2 a 3 (su una scala di quattro), e sollecitare l’attenzione della polizia tedesca lungo il confine (ieri, cinque persone sono state fermate e quindi rilasciate). Né, nella frenesia di queste ore, c’entra, a quanto pare, l’ultima immagine del fuggiasco consegnata agli inquirenti dai due uomini, Mohammed Amri e Hamza Attou, che, sabato scorso, viaggiavano con lui sulla Volkswagen Golf rientrata notte tempo da Parigi e che, da 48 ore, sono formalmente incriminati per terrorismo perché ritenuti gli artificieri del commando. «Quando siamo rientrati a Burxelles – hanno detto i due a verbale – Salah ci ha chiesto di lasciarlo vicino allo stadio Roi Baudouin».
Già, c’è dell’altro. Dice infatti a Repubblica una qualificata fonte dell’Intelligence belga: «Se le informazioni di cui disponiamo sono buone – e non abbiamo motivo per pensare il contrario – Salah è ancora qui. E se dobbiamo stare a quelle stesse informazioni è ragionevole pensare che nella fuga non sia solo». Questo spiegherebbe il motivo per cui, ieri sera poco prima delle 19, le unità speciali antiterrorismo di Polizia e Securité de l’Etat (il Servizio segreto interno belga) siano tornate a Molenbeek, dove un ultimo blitz, lunedì scorso, aveva preso di mira una casa abitata da 4 foreign fighters salvo scoprirla deserta (tre degli inquilini sarebbero già in Siria, un quarto in Siria è morto da poco sotto le bandiere dell’Is). E questo spiegherebbe anche le parole preoccupate del fratello di Salah, Mohammed, che, dai microfoni della rete televisiva Bfmtv, proprio ieri sera, lo ha invitato ad una resa incruenta. «Gli consiglio di andare alla polizia per fare in modo che la giustizia vada al fondo di questa storia».
COSÍ FURONO PERSI I FRATELLI ABDESLAM
Una giustizia, quella belga, che del resto, in questa faccenda, ha molto da farsi perdonare. Non fosse altro perché, come conferma la Procura federale, non più tardi del febbraio scorso, entrambi i fratelli Abdeslam, Salah e Ibrahim (il “martire” morto in boulevard Voltaire), erano stati convocati e interrogati per misurare il loro grado di radicalizzazione. L’occasione era stata l’espulsione dalla Turchia di Ibrahim, sorpreso proprio in quelle prime settimane dell’anno nel tentativo di entrare in Siria attraverso il confine meridionale turco. Al termine di quel doppio interrogatorio, la stessa Procura aveva deciso di segnalare entrambi i fratelli alla Securité de l’Etat, il Servizio segreto interno belga, perché procedesse al loro controllo e monitoraggio. Ma quella sorveglianza non c’è mai stata. O, se pure è cominciata, è stata presto abbandonata e comunque non condivisa con l’Intelligence francese, che pure su quei due fratelli un qualche interesse lo avrebbe avuto, vista la loro nazionalità francese.
Tra il febbraio scorso e venerdì 13 novembre, Salah e Ibrahim sono stati dunque liberi di muoversi lungo l’asse Bruxelles-Parigi senza alcuna difficoltà. Di pianificare l’orrore nei dettagli. Dalle auto, alle armi, agli alloggi. Che ora, a mattanza consumata, diventano il punto di partenza dell’indagine a ritroso della Procura di Parigi.
LA TERZA AUTO E IL NONO UOMO
Indagine che, appunto, ha ora un secondo ricercato. Decisive, nello sciogliere ogni dubbio sulla presenza di un nono uomo nel commando (oltre ai 7 morti e a Salah Abdeslam in fuga), sono state non solo le testimonianze raccolte dai sopravvissuti agli assalti al bistrot nell’undicesimo arrondissement, concordi nell’indicare almeno tre uomini a bordo della Seat nera da cui è partita la pioggia di proiettili che ha ucciso 39 innocenti, ma anche le immagini girate da una video-camera di sorveglianza. Da quelle immagini è evidente che sulla Seat ci sono 3 uomini. Di macchine ne è anche stata trovata una terza, una Renault Clio nera, che Salah Abdeslam aveva affittato in Belgio e abbandonata nel diciottesimo arrondissement. Di più: la scoperta, grazie all’esame delle destinazioni memorizzate dal navigatore satellitare a bordo della Seat ritrovata domenica scorsa a Montreuil, dei due punti di appoggio utilizzati dal commando nei giorni precedenti la strage. Due stanze di albergo ad Alfotville e un appartamento a Bobigny, dove sono state trovate altre tracce in grado di comporre il quadro numerico del commando. E anche i telefonini che hanno ricevuto il tweet che ha dato il via libera al massacro: «Che Dio vi benedica».