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 2015  novembre 18 Mercoledì calendario

Parla Pipes: «La Siria sarà divisa in due o tre pezzi»

Richard Pipes da capo del Team B della Cia, durante la Guerra Fredda, ha trasformato la lettura che l’America dava degli obiettivi dell’Urss. È uno dei maggiori studiosi occidentali della Russia. È a Milano per partecipare oggi alla riunione annuale dell’Istituto Bruno Leoni.
Professore, cosa vede negli attentati di Parigi?
«Il terrorismo islamico è una minaccia seria. Non è stato affrontato in misura sufficiente. Va penetrato con agenti: ma ciò non è stato fatto».
Dove ne individua le radici?
«Ha radici ideologiche. L’Islam nasce molto aggressivo. Poi, per secoli, è declinato, oscurato dall’Occidente e dal cristianesimo. Ora rialza la testa, aiutato dal petrolio e dalle ricchezze accumulate in decenni. E lo fa con fanatismo».
Le guerre americane in Iraq e Afghanistan non hanno avuto un ruolo?
«La guerra in Iraq è stata la risposta all’aggressione, non la causa».
Non crede che una delle cause stia nella disgregazione della Siria? E che anche la soluzione passi da lì?
«No. L’origine è religiosa. Credono di potere islamizzare l’Occidente. La soluzione è penetrare i gruppi terroristici con agenti. Dopo l’11 settembre gli Stati Uniti hanno fatto meglio dell’Europa in questo».
Uno scontro di civiltà.
«Sì, generato dall’Islam».
Interventi militari, dunque, hanno poco senso.
«Si tratta di usare i servizi segreti. Quel che è successo a Parigi non sarebbe dovuto succedere».
L’Europa dovrebbe chiudere le frontiere ai rifugiati?
«In qualche modo dovrà fermare gli arrivi di milioni di musulmani. Simpatizzo con i rifugiati costretti a fuggire. Ma l’Europa non può gestirli».
La mappa del Medio Oriente andrà ridisegnata. Quella tracciata dagli occidentali nel Novecento sta crollando.
«La Siria si disintegrerà in due o tre Paesi. Il problema è che è difficile applicare al Medio Oriente il modello europeo di Stato-Nazione».
Ha senso cercare un accordo con Mosca per avviare una soluzione della questione siriana, dopo l’incontro di domenica tra Obama e Putin?
«Non vedo Mosca cooperare con l’Occidente. I sondaggi d’opinione dicono che la grande maggioranza dei russi ritiene che l’Occidente sia il nemico. Ci vorrebbe un leader molto forte a Mosca per convincere il Paese a collaborare».
Putin non lo è?
«Putin è popolare proprio perché si oppone all’Occidente. Il Paese è in difficoltà economiche serie. E le risolve con l’aggressività verso l’Occidente. L’intervento in Siria è segno di questa aggressività».
Avrebbe immaginato questa Russia dopo il disfacimento dell’Unione Sovietica?
«La Russia non è un Paese da dominio della legge. Non è realistico pensarlo. Non vedo nessuno e niente in grado di introdurre qualcosa del genere. I cittadini vogliono un governo forte. Dal XV secolo la Russia è un Paese autocratico e lo resta».
Come dev’essere il rapporto dell’Occidente con Mosca?
«Occorre essere forti. Come lo siamo stati nella crisi ucraina, con sanzioni dure. Mosca deve capire che per certe azioni c’è un prezzo da pagare».
Putin ha ambizioni simili a quelle dell’Urss?
«L’Urss era una potenza mondiale. La Russia di oggi no. In comune hanno l’aggressività in politica estera. Ma oggi Mosca interviene dove vede debolezze degli altri».
Quindi dove?
«In Medio Oriente, in Ucraina. Ma non escludo nei Paesi baltici o in Polonia, se dovesse individuare lì una debolezza».
L’Europa è forte abbastanza per rispondere?
«L’Europa è debole, l’Unione Europea non funziona molto bene, si parla anche di disgregazione, la Gran Bretagna potrebbe uscirne. No, è debole».
E Obama?
«È un presidente domestico. Non è interessato alla politica estera. Non ha avuto una politica buona verso la Russia e ha dato risposte deboli».
Il prossimo presidente Usa?
«Spero sia Marco Rubio».