Corriere della Sera, 18 novembre 2015
I poteri speciali che vuole Hollande
Lo stato d’urgenza, proclamato dal presidente francese la sera del 13 novembre e confermato nel suo discorso al Congresso di fronte alle Camere riunite, non è il Patriot Act voluto da George W. Bush dopo gli attacchi alle Torri Gemelle dell’11 Settembre 2001. La legge americana conteneva misure repressive e inquisitive che l’apparato poliziesco degli Stati Uniti chiedeva da tempo; e fu l’occasione per la più brusca svolta illiberale del sistema di sicurezza americano dai primi anni della Guerra fredda. La legislazione francese sullo stato d’urgenza, invece, conferisce al governo e ai prefetti poteri eccezionali.
Sono previsti tra l’altro il coprifuoco, l’interdizione di soggiorno, le perquisizioni domiciliari senza autorizzazione giudiziaria e il coinvolgimento della giustizia militare; ma è un provvedimento eccezionale destinato a durare, probabilmente, non più di tre mesi e già adottato per i disordini nelle banlieue parigine durante la presidenza di Jacques Chirac nel novembre del 2005. È probabile che François Hollande non potesse fare diversamente. Un presidente scolorito, frequentemente punito dai sondaggi e alla vigilia di importanti scadenze elettorali doveva rappresentare se stesso al Paese come un uomo forte e deciso, capace di fare fronte alla minaccia islamista.
Mi chiedo tuttavia se sia altrettanto consapevole dei rischi che si nascondono nella proclamazione dello stato d’urgenza. L’Isis è certamente il più barbaro e crudele dei movimenti jihadisti degli ultimi decenni. Ma non è privo di una strategia. La sua principale esigenza, non meno importante delle armi e del denaro, è il reclutamento. Negli ultimi quindici mesi, secondo alcuni analisti, avrebbe perduto, insieme a una parte del territorio conquistato, non meno di 20.000 combattenti, fra cui parecchi ufficiali. Può continuare a reclutare soltanto se riesce a infiammare l’immaginazione dei suoi giovani «martiri» con lo spettacolo e la narrazione delle sue gesta più audaci e crudeli. Ha colpito Parigi perché nella capitale francese esiste il più grande serbatoio europeo di potenziali volontari. Ha agito spietatamente perché una tale sfida, lanciata al nemico nel suo territorio, suscita ammirazione in molti giovani che vanno alla ricerca di una causa in cui affogare la rabbia e le frustrazioni accumulate nei ghetti delle banlieue di Parigi. La proclamazione dello stato d’urgenza punta il dito inevitabilmente contro le comunità musulmane e i loro quartieri, fa di ogni maghrebino, in molte circostanze e in alcune ore della giornata, l’individuo sospetto che sarà legale fermare, interrogare, perquisire, trattenere. Non tutti hanno dimenticato la caccia all’uomo nelle strade di Parigi il 17 ottobre 1961 quando alcune migliaia di algerini erano scesi in piazza per protestare contro un decreto del prefetto di polizia che «sconsigliava» ai francesi musulmani di Algeria (come erano chiamati allora) di circolare nelle strade di Parigi fra le 20.30 e le 5.30. La violenza con cui furono trattati dalla polizia e da molti parigini rese la loro indipendenza, un anno dopo, ancora più inevitabile.
La guerra, comunque, si vince soltanto in Siria e in Iraq. L’Isis non è uno Stato, secondo le regole e le convenzioni dell’Occidente, ma ha un territorio, caserme, banche, uffici pubblici, e soprattutto sudditi che attendono con ansia la loro liberazione e che diverranno verosimilmente, il giorno dopo, i migliori alleati dei loro liberatori.