Corriere della Sera, 26 luglio 2014
La Furia iconoclasta del Califfato
Ricordate i Buddha di Bamiyan fatti esplodere dai Talebani nel marzo 2001? Opere d’arte, condensati di storia e vestigia di culture millenarie andati in fumo in nome del nuovo radicalismo iconoclasta musulmano. Qualche cosa di molto simile si è ripetuto giovedì a Mosul, nell’Iraq controllato dagli zeloti del nuovo Califfato, i quali, imponendo la loro interpretazione monopolistica e intollerante del sunnismo contro tutte le altre fedi (inclusi i sunniti moderati), da oltre un mese stanno cercando di espugnare Bagdad. Ma in questo momento a Mosul la loro battaglia è combattuta specialmente contro l’ormai moribonda (se non del tutto estinta) minoranza cristiana. I testimoni sul posto raccontano con dovizia di particolari corredati da video sulla rete l’impegno con cui hanno posto l’esplosivo e quindi fatto detonare l’antico luogo di culto dedicato al Profeta Giona.
Sembra dunque che i miliziani armati dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (noti all’estero come Isis e in Iraq dall’acronimo arabo Dash) la mattina di due giorni fa abbiano bloccato i fedeli musulmani alle pendici della collinetta dove è posto una moschea-mausoleo costruita attorno a quella che è considerata l’antica tomba di Giona, risalente all’ottavo secolo avanti Cristo. Qui si trovava anche un monastero cristiano vecchio circa 1.500 anni e sono tutt’ora situate diverse sepolture di vescovi assiri, caldei, oltre a personalità della tradizione sufi. Non a caso la collina di Giona è considerata una delle testimonianze più antiche, diversificate e ricche della tradizione spirituale irachena: dall’antico Testamento ebraico, al primo cenobitismo cristiano sino alle varie letture dell’Islam. «Dopo aver chiuso l’intera area, gli attivisti hanno impiegato oltre un’ora a preparare le cariche di dinamite. Già nelle ultime settimane vi erano stati vandalismi a colpi di mazze ferrate. Ma l’esplosione ha definitivamente ridotto il luogo in macerie», confermano i media locali. Sui social network è stato diffuso un video in cui è visibile un’alta nube di polvere e detriti sollevarsi verso il cielo. Quindi, gruppi di giovani che si aggirano tra le macerie. Solo l’arco della porta di accesso al sito e i muri perimetrali paiono aver retto.
All’origine dell’azione vandalica sta l’interpretazione radicale del Corano, per cui sarebbe vietato erigere moschee e luoghi di culto presso tombe e cimiteri. I cadaveri sono infatti considerati impuri. «In verità i radicali islamici attaccano ormai chiunque non condivida la loro fede. Noi cristiani speravamo di poter trovare un modo di coesistenza. Ma è impossibile», ci ha detto ieri sera per telefono dalla zona protetta dai militari curdi nel villaggio di Karakosh (una decina di chilometri a nord di Mosul) padre Paolo Mekko, che tra i prelati locali si è fatto promotore dell’opera di assistenza ai profughi. «Ormai sono tante le chiese e organizzazioni cristiane devastate. Mi dicono una trentina. Tra l’altro hanno bruciato la casa episcopale assiro-cattolica, distrutto la basilica caldea dello Spirito Santo. Pare abbiano tolto la croce dal tetto della chiesa di Efrem dei siro-ortodossi per trasformarla in moschea. Ma problema ancora più grave sono le aggressioni contro le famiglie cristiane. Prima ci hanno minacciato. Poi hanno obbligato ogni famiglia a pagare una tassa salatissima (si parla di 250 dollari a testa, ndr.), infine hanno detto che chiunque non avesse pagato o non si fosse convertito all’Islam sarebbe stato ucciso», aggiunge. Nelle ultime due settimane dunque l’esodo cristiano da Mosul si è trasformato in fuga precipitosa. Agli inizi di giugno i cristiani rimasti in città erano ancora 30.000. Ora praticamente nessuno. «Che io sappia, restano forse una decina di famiglie, penso che abbiano scelto di farsi musulmani», dice ancora Mekko. I giornalisti occidentali che lavorano dalla zona curda di Erbil, dove trova rifugio la maggioranza dei cristiani, hanno raccolto decine di testimonianze per cui le famiglie in fuga vengono metodicamente depredate di tutto. Soldi, vestiti, bagagli, gioielli, talvolta persino la vettura su cui viaggiano sono sequestrate dai miliziani vestiti di nero. «A noi hanno lasciato la macchina, ma si sono presi ogni altra cosa di valore, comprese le fedi di matrimonio mia e di mia moglie», ci ha detto per telefono una famiglia che da tre giorni si trova nel patriarcato cattolico.