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 2015  ottobre 10 Sabato calendario

Eileen Gray, l’architetta maestra delle lacche a cui piacevano più le donne degli uomini

Nel 1901, a Praga, Franz Kafka comincia a studiare chimica; a Stoccarda, Robert Musil si annoia a morte nell’insegnare ingegneria meccanica e, febbrile, lavora al Törless; nei vicoli di Parigi invece una ragazza irlandese, sottile e bruna, scortica i legni con l’acido, mescola arsenico e bile di maiale, sbadiglia davanti ai corteggiatori e guarda le belle donne, soprattutto le ballerine flessuose che si riversano nella capitale francese nella frenesia di fine secolo.
Lei si chiama Eileen Gray, ha ventitré anni e non sa ancora bene che cosa diventare, ma studia sodo e vuole imparare a fare le lacche che ha visto nella bottega del giapponese Seizo Sugawara. Non solo nere, però: le vuole rosa, verdi, blu. Mescola di tutto: aceto di riso e solfato di ferro. Prepara anche delle sedie in legno, linee dritte.
Lavora senza fretta: fa cose per il giro di amici che l’hanno accolta (la scultrice Kathleen Bruce, Gertrude Stein), non va alle cene, non sgomita come facevano Picasso e gli altri. Il design, all’epoca, era una faccenda (accademica) per maschi, al massimo potevi fare la decoratrice. Ma Gray fa spallucce: vestita di sete sgargianti suda al tavolo di lavoro. Cesella avori e amori.
Questa «vita dedicata al progetto» apre il Milano Design Film Festival, raccontata nel film (15-16 ottobre all’Anteo) The price of desire di Mary McGuckian. Orla Brady veste i panni di Eileen, Alanis Morissette quelli di Damia, la bellissima danzatrice che Gray amò per anni. Perché questa è una storia di progetti e disamori, dismemorie e costruzioni. Eileen pian piano diventa famosa: da James Joyce al ricco conte de Noailles, tutti vogliono un suo pezzo in casa. Fa sedie, lacche, tavolini, disegna tappeti astratti. Diventa sempre più scontrosa, lenta. Poi realizza un appartamento completo. Pareti laccate, essenzialità ricercata nei colori chiarissimi.
È felice? Forse. Di certo, è amata dalle sue donne e dai suoi (rari) uomini. Tra questi, un rumeno ramingo e senza un quattrino, l’architetto Jean Badovici. Lui la presenta a Fernand Léger e, soprattutto, a Le Corbusier. Nel film il ruolo del maestro svizzero è affidato al volto mobile e sornione di Vincent Perez; nella realtà, Le Corbu la ammira molto. Gli piace quella inattualità che rende belle pure le donne poco belle. Era così fuori moda, Gray. Anche se il tempo ha voluto restituirci il suo ricordo in un ritratto ai limiti del buon gusto, il viso avvolto da piume di pavone. I suoi letti fatti di lacca e pelliccia, le sue lampade-scultura conservano una miracolosa eleganza.
Badovici la incoraggia. Lei ha 48 anni. Tira un lungo sospiro e comincia a progettare una casa. Una casa vera, tutta sua. Immaginate: Europa, 1926, una donna che fa i sopralluoghi (sceglie un posto assurdo, la scogliera di Roquebrune-Cap-Martin, in Costa Azzurra), che armeggia con i progetti, che calcola pendenze e dislivelli. Ci lavora con ogni muscolo. Si trasferisce nelle vicinanze. Nuota e disegna, visita e corregge. Dà un nome alla villa, E.1027. «E» sta per Eileen, 10 per la«J» di Jean (nell’alfabeto), 2 è la «B» di Badovici, 7 la «G» di Gray. Toponomastica complicata, ma ne scaturisce un lavoro prodigioso: un cubo candido che sorveglia il mare trasparente, un po’ nave un po’ frutto spontaneo del terreno. Lei disegna ogni cosa all’interno. Tutto è bianco, sobrio, angoloso. Qui riporta le sue radici irlandesi, finalmente lontane dal clangore parigino. Quella casa è lei, è Gray. Poi, nel 1938, il dramma.
Jean invita Le Corbusier quando Eileen non c’è. Il maestro non resiste e dipinge otto murales senza dirle nulla. Mette la sua ingombrante firma su quel bianco manifesto. Si fa fotografare mentre deturpa i muri, è completamente nudo. Eileen, dopo quei murali, non tornerà più alla villa. Che andrà in rovina, tra speculazioni e proprietari viziosi. Oggi la Francia l’ha ristrutturata. Ma il ricordo di Gray è perduto in un altrove.