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 2014  luglio 31 Giovedì calendario

Ricostruito l’antico Senato di Torino

Chissà cosa ne penserebbe Giorgio Napolitano, che volle visitarlo subito dopo aver inaugurato, al Teatro Regio, le celebrazioni per il 150° dell’Italia unita.
O, più modestamente, le 24 coppie di giovani torinesi che nel 2011 lo scelsero come location per sposarsi. O ancora, gli oltre 240 mila visitatori nei primi nove mesi di apertura, con una media di mille al giorno. L’Italia unita è finita in magazzino. Più precisamente: la ricostruzione dell’Aula che dal 1848 ospitò il Senato Subalpino, e tra il 1861 e il 1864 il primo Senato del Regno d’Italia, riportata al suo antico aspetto. Prima che gli arredi originali venissero smantellati, nel 1927.
Sei mesi di lavoro nei laboratori scenografici del Teatro Regio di Settimo con 20 persone impegnate: 500 mila euro di spesa finanziati in gran parte dalla Fondazione Crt.
Le foto d’archivio ce lo restituiscono nei bei giorni andati nel salone di Palazzo Madama, più di una minuziosa ricostruzione, la storia in presa diretta a uso dei visitatori e delle scolaresche.
La Camera Alta venne replicata con una struttura leggera, autoportante e staccata dalle pareti: al centro la cavea con il tavolo della presidenza, tutto intorno gli scranni dei senatori. La doppia galleria, con le tribune e la balconata per il pubblico, fu restituita da fondali scenografici. La parte centrale dell’allestimento, percorribile, ospitava 150 sedute.
Ricostruzione perfetta
A completare il tutto, le decorazioni a monocromo, le tappezzerie, i mobili intagliati e le lampade, le balaustre e i corrimano. Nel buio del corridoio di accesso i visitatori potevano cogliere le voci dei senatori che, in una pausa dei lavori, discutevano, litigavano, brigavano e prendevano accordi, né più né meno di quanto accade oggi: un «fuori onda» in piena regola.
Entrando nella sala si era accolti dal brusio dell’assemblea e del pubblico in attesa dell’inizio della seduta. Tra gli aspetti più suggestivi c’era la possibilità di partecipare alle attività di voto in uno dei corner della cavea. Non solo: all’interno di una cabina tecnologica, una sorta di macchina del tempo, il visitatore poteva indossare metaforicamente i panni di un senatore ed esprimere la preferenza su uno dei grandi temi dibattuti al Senato tra il 1848 e il 1864. A votazione ultimata, ciascuno poteva verificare l’effetto del proprio voto.
Giocare con la storia
Questo e molto altro ancora era la ricostruzione del Senato: un mix di gioco e approfondimento, un altro modo per imparare la storia. Difficile capire perché sia finito in un magazzino. Di sicuro, nessuno si pose per tempo il problema di come riutilizzarlo.
L’ipotesi più coerente – traslocarlo a Palazzo Carignano, nell’ultimo salone del Museo del Risorgimento – si scontrò con altre scelte progettuali: la spuntarono le grandi tele che immortalano le battaglie risorgimentali, a loro volta bisognose di spazio.
Le opzioni dell’allora assessore regionale alla Cultura, Michele Coppola, e i tentativi di Antonio Saitta, presidente della Provincia, finirono nel nulla: le ex Ogr, il castello di Rivoli, quello di Moncalieri, la Caserma Bergia… Nessuno dei Comuni del Torinese accettò di prendersi la struttura. La richiesta perché l’attuale Senato «adottasse» il suo predecessore fu un altro buco nell’acqua.