Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  ottobre 06 Mercoledì calendario

Nove quadri per l’epopea risorgimentale

Nove quadri monumentali e due grandi sculture celebrano l’epopea del Risorgimento, al primo piano delle Scuderie del Quirinale, con la rappresentazione eroica dei campi di battaglia, dalla guerra di Crimea alla breccia di Porta Pia. Al secondo piano, i dipinti della seconda metà dell’Ottocento raccontano piuttosto il «dietro le quinte», gli squarci di vita quotidiana con le donne rimaste a casa che leggono le lettere dei loro uomini al fronte o i bollettini sugli esiti degli scontri. Oppure, in tele di dimensioni ridotte, documentano la partecipazione popolare e collettiva all’idea risorgimentale. Perfino nelle rare scene di «campo» l’attenzione è rivolta ad episodi marginali, come nelle due belle tele di Giovanni Fattori «Lo scoppio del cassone» e «Lo staffato». Nella prima l’artista rappresenta l’esplosione di un carro che trasporta munizioni, con i cavalli imbizzarriti, i soldati caduti e travolti, i pezzi di carro che schizzano nell’aria: quasi un’istantanea di uno dei tanti momenti insignificanti e dimenticati della storia.
Più impressionante, nel suo verismo estremo, la tela con lo staffato. Racconta lo scrittore Renato Fucini che fu lui a dare l’idea all’amico Fattori: «Stando un giorno a vederlo dipingere una scena di guerra dove era un folto gruppo di soldati a cavallo, in fuga, gli domandai: “O l’idea di fare uno staffato, in queste cariche, in queste fughe, non t’è mai venuta?” Mi guardò meravigliato, in aria interrogativa. Sempre lui! Non sapeva cosa era uno staffato. Lo illuminai, gli piacque e fece subito il quadro che destò ammirazione e fu sollecitamente e bene comprato da un ricco intelligente amatore». Con impressionante verismo l’artista ritrae un cavallo nero in fuga, che come un indemoniato trascina nella sua corsa il corpo di un soldato rimasto appeso con un piede alla staffa. Nella polvere e tra i sassi della strada, persa in un paesaggio desolato, spicca la scia di sangue che il povero corpo si lascia dietro.
Fattori aveva creduto negli ideali del Risorgimento, al pari dei cosiddetti «pittori soldati», lombardi, toscani e napoletani, quali Gerolamo Induno, Eleuterio Pagliano, Federico Faruffini, Michele Cammarano. Sono loro i grandi protagonisti della mostra, intitolata «1861. I pittori del Risorgimento», che è stata inaugurata ieri dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e da oggi, fino al 6 gennaio 2011, resterà aperta al pubblico. Tutti convinti patrioti, presero parte in prima persona alle battaglie che avrebbero portato all’unificazione dell’Italia e le documentarono fedelmente nei loro lavori. Emerge da questi lavori la visione di una popolazione che crede profondamente in un cambiamento epocale e necessario. E non a caso, all’ingresso della mostra è stata esposta la statua di Masaniello, il capopopolo che nel 1647 aveva guidato la rivolta dei napoletani e in questa scultura, realizzata nel 1846 da Alessandro Puttinati, appare con il randello nella mano sinistra e la bocca spalancata in un grido di ribellione e di incitamento. Subito dopo si passa alle tele celebrative, con le scene dei combattimenti, tutte dipinte tra il 1857 e il 1871. Negli anni successivi l’ardore patriottico si va affievolendo. Gli artisti percepiscono che i sogni e le speranze di un intero popolo cominciano a infrangersi contro i compromessi della politica. «Entrai nel mondo amando e credendo: finirò scoraggiato maledicendo», scrive Fattori ai primi del Novecento, quando ormai da tempo si era ritirato a dipingere le splendide marine maremmane.