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 2010  agosto 29 Domenica calendario

Le critiche al Risorgimento sono una vecchia storia. Èd è una vecchia storia anche il brigantaggio

È duro, ormai, leggere certe cose sul Risorgimento e sull’ unità italiana. Lasciamo stare le tante amenità sentite sull’ identità italiana; o le riduzioni ideologistiche del Risorgimento a una cortina fumogena di tutt’ altre cose che la nazione italiana e la sua unità; o le manie e le smanie revisionistiche che rimpiangono la vecchia Italia e i suoi vecchi Stati (tranne, meno male, lo Stato della Chiesa). Il punto è un altro. Voi credevate al Risorgimento fatto contro l’ Austria, contro la Curia romana, contro le dinastie e contro le classi dirigenti legate all’ assetto italiano di prima del 1861? Vi sbagliavate. Il Risorgimento fu fatto contro i contadini, contro il popolo e (ora si è scoperto) contro tutti: lombardi, veneti, toscani, gli stessi piemontesi, e, in specie, contro i meridionali. Non parliamo poi dei lager sabaudi, del milione di morti della «guerra nazionale» napoletana nel Sud (con totale disprezzo per tutte le statistiche demografiche dal 1860 al 1870), delle rapine piemontesi (specie al Sud) e di tanto altro. Ma come si fa a credere che tutte queste siano «scoperte» e coraggiose «rivelazioni» che ora finalmente vengono fatte emergere? Non c’ è, infatti, molto di ciò che si gabella oggi per nuovo e inedito che non abbia dietro di sé una rispettabile anzianità. Il Risorgimento non era neppure terminato, e già si iniziò a processarlo, in storia e in letteratura. La «conquista regia»? Il peso marginale delle classi popolari nel moto e nella sistemazione finale? La natura borghese dell’ ordine sociale uscito dal 1861? L’ assorbimento finanziario e l’ unificazione tributaria a danno del Mezzogiorno? La scelta del centralismo anziché del federalismo o dell’ autonomismo? L’ indiscriminata unificazione legislativa? Ebbene, proprio questo e altro è ciò di cui si è parlato con successivi approfondimenti e con grande varietà di racconto e di giudizi in un secolo e più di studi, come sa chiunque abbia letto Cattaneo e Nitti, Oriani, Gobetti, Rosselli, Salvemini, per non parlare dei «soliti» Chabod o Romeo, o del grande lavoro di storia sociale del Risorgimento e dell’ unità svolto dagli storici «gramsciani» e da quelli «cattolici» dopo il 1945. Prendete il caso del brigantaggio. Se ne è parlato sempre. Esso non nacque affatto nel 1861. Era un grave problema, endemico e storico, del Mezzogiorno. Nel 1817 e nel 1821 con dure campagne di guerra il governo borbonico ne attenuò la portata, e in seguito cercò di controllarlo, ma non riuscì mai a eliminarlo, come dimostrano le sue cronache giudiziarie fino al 1860. Giustino Fortunato raccolse al riguardo un’ enorme quantità di materiale. Ne discussero negli Anni 30 Omodeo e altri. Dopo la guerra un libro di Franco Molfese ne fissò alcuni tratti fondamentali. Convegni e seminari, talora di alto livello, ne hanno via via riproposto il tema. Ora sembra che tutto si scopra come una terra vergine, sempre nascosta dal solito imputato di tali misfatti, la «storiografia ufficiale», un monolite inesistente. Dopo la guerra si parlava di Bronte e dei relativi, tragici e crudeli massacri. Oggi si parla molto di Pontelandolfo, altra storia di tragici e crudeli massacri. Scoperte? Colpevoli silenzi? Di Bronte si fece un film di forte efficacia rappresentativa quanto discutibile in punto di storia. Di Pontelandolfo si parlò molto già al tempo dei fatti, e non se ne è mai taciuto. Sia a Bronte che a Pontelandolfo non si ebbe un semplice caso di brigantaggio, bensì, piuttosto, di questioni di altro ordine, come quelle poi inviperite dallo spregiudicato uso politico antitaliano del brigantaggio da parte borbonica e clericale dopo il 1860. Ma tant’ è. Il giudizio sul Risorgimento, nel caso migliore, è quello, inverosimile, espresso in un romanzo (per me) di assoluto fascino, Il Gattopardo: cambiare tutto per non cambiare nulla. Perché tutto ciò? Bisognerà parlarne a parte. Per ora, indulgo a un sogno. E se, fra tante scoperte e rivelazioni, qualcuno scoprisse e rivelasse di nuovo il grande senso di rivoluzione e di modernizzazione politica, culturale e morale del Risorgimento e dell’ unità? Se si scoprisse che non è stato il Risorgimento a inventare l’ Italia e la nazione italiana, bensì la nazione italiana a fare il Risorgimento e l’ unità? Se si rivelasse il mondo dei «nobili affetti» e delle «generose passioni» proprio al Risorgimento e al moto nazionale? Se qualcuno riscoprisse il grande e faticato travaglio che ha portato l’ Italia da realtà marginale nell’ economia mondiale a Paese dei dieci o dodici oggi più avanzati? Anche queste cose, come quelle dette di sopra, hanno dietro di sé un secolo di studi, ma gli studi vi sono per essere proseguiti, approfonditi e rinnovati, non per essere sostituiti da «scoperte» e «rivelazioni», che non apportino ad essi, come è auspicabile, ma accade di rado, effettivi, nuovi contributi.