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 2013  ottobre 27 Domenica calendario

Verdi architetto

ARCHITETTO GIUSEPPE VERDI –
La concretezza di Giuseppe Verdi, la sua praticità economica (bando agli orpelli!), la sua nitida ottica degli ambienti generata da un temperamento asciutto, insomma la sua capacità di costruire spazi con essenzialità, rigore e senso della funzione, ben riflessa nel suo geniale teatro musicale, convergono nell’attività “laterale” di Verdi architetto, ora emergente da un patrimonio grafico proposto per la prima volta alla stampa. Tratto brusco, mano esatta, intenti limpidi, planimetrie decifrabili con chiarezza, indicazioni puntuali su perimetri e proporzioni. La solidità è la stessa che sorregge le strutture narrative delle sue opere.
I disegni qui riprodotti, mai usciti prima dall’archivio privato di Villa Verdi a Sant’Agata, dove sono custoditi dall’erede Angiolo Carrara Verdi, dimostrano questo peculiare talento del più amato tra gli operisti, di cui cade quest’anno il bicentenario della nascita. Della propria dimora, acquisita nel 1848 e situata nel cuore della Bassa Padana, Verdi curò l’intera e dettagliata progettazione. Scrive sua moglie, Giuseppina Strepponi, a Clara Maffei nel 1867: «Comperando il latifondo di Sant’Agata, Verdi si trasformò in architetto». E dopo aver elencato le tappe del rifacimento conclude: «Quando volle Iddio la casa fu finita, e ti assicuro che Verdi diresse i lavori bene e forse meglio di un vero architetto».
Quella tenuta sarebbe diventata il suo rifugio, la sua reggia, il suo ideale di armonizzazione del mondo e la culla delle opere generate nell’arco creativo che da Rigoletto (1851) giunge a Falstaff (1893). Grazie all’operosità del compositore in persona, tutto a Sant’Agata fu riassestato con solerzia puntigliosa. Rinascono il tetto, il fienile, la stalla e soprattutto l’edificio settecentesco che sorge sul terreno. Poi s’aggiungono il laghetto, la ghiacciaia, la colombaia, il mulino e la fornace. «I fogli conservati a Sant’Agata», spiega lo storico della musica dell’Istituto nazionale di studi verdiani Giuseppe Martini, «mostrano come Verdi avesse basato la concezione della parte posteriore della casa e quella di rappresentanza su rapporti modulari e matematici accuratissimi, sfruttando anche la sezione aurea. L’antico edificio venne trasformato da Verdi in una villa di pianta quadrangolare, con due avancorpi simmetrici e un allungamento del corpo posteriore».
Non solo: Verdi si lancia nell’ideazione di meccanismi d’ingegneria, creando infrastrutture e avviando un impianto di riscaldamento formato da condotti in cotto che avrebbero dovuto diramarsi nella casa. Per tale strategia si fece mandare dalla Russia due mastodontiche caldaie: nel 1861 si era recato a San Pietroburgo per allestirvi La forza del destino, ed era stato ospitato in appartamenti caldi che lo avevano difeso dal tremendo inverno russo. Quel soggiorno lo aveva ispirato. Tentò anche di mettere a punto un marchingegno per pompare dal torrente Ongina l’acqua utile all’irrigazione. In una lettera del 1867 all’amico Arrivabene riferisce lo stato dei lavori per il canale sotterraneo, confidandogli di passare tutto il suo tempo con gli operai «per strapazzarli e dirigerli». Aggiunge che gli preme di più essere apprezzato in tale mansione che come musicista: «È questo il debole del signor maestro», dice adottando il vezzo di parlare di sé in terza persona. «Se tu gli dici che il Don Carlos non val niente non gliene importa un fico, ma se tu gli contrasti la sua abilità nel fare il magut (muratore, in milanese, ndr) se n’ha a male…».
Questa smania d’inventare spazi è un nucleo fondante del suo teatro: profetico nelle regie strutturali delle sue opere, pensava la musica anche in rapporto alla messinscena. È anche in quest’innesto immaginativo che si riflette la sua modernità di uomo di teatro. Inoltre Verdi “governava” materialmente (o registicamente) la concretizzazione teatrale dei suoi lavori, come testimoniano le sue “disposizioni sceniche” su carta. Dalla Francia, dopo l’esperienza de Les Vêpres siciliennes, aveva importato in Italia tale pratica in uso a Parigi. Pur essendo di volta in volta gli spettacoli affidati ai “direttori di scena” (qualcosa di analogo ai registi odierni), ogni particolare era controllato dal suo sguardo vigile. Annotava a margine della musica le sue intenzioni teatrali, in aggiunta alle didascalie, e le sue «piantazioni» sono ricche di schemi e vignette, con spiegazioni grafiche precise riguardo ai movimenti dei personaggi. Verdi costruttore di spazi può disegnare la Sala del Consiglio di Simon Boccanegra o le entrate e uscite del coro di Aida o la piazza del Don Carlos, specificando con numeri e lettere dinamiche e spostamenti.
Le sue doti architettoniche confluiscono anche in due imprese benefiche: l’Ospedale di Villanova d’Arda nel Piacentino e la Casa di Riposo di Milano. Nel 1878 viene dato l’incarico di progettare il primo di questi due edifici all’architetto cremonese Vincenzo Marchetti, ma sarà Verdi a suggerire la mappa delle stanze e la visione strutturale dell’insieme. Alla costruzione del ritiro milanese per vecchi musicisti provvede invece l’architetto Camillo Boito, fratello di Arrigo, autore dei libretti di Otello e Falstaff.
I lavori vengono terminati nel ’99. Verdi se ne accollò le spese senza renderlo noto. Odiava ogni forma di autopromozione. Per sua volontà, la palazzina in stile neogotico di Piazza Buonarroti fu inaugurata nel 1902, cioè dopo la sua morte (1901). In quella casa prediletta («è la mia opera che più mi piace»), destinata a quelli che definiva «i poveri e cari compagni della mia vita», Verdi è sepolto, nell’oratorio, accanto a Giuseppina.