Corriere della Sera, 18 settembre 2010
7-14 agosto 1861. I bersaglieri da massacrati a massacratori
LA TRAGEDIA DEI BERSAGLIERI PRIMA VITTIME, POI CARNEFICI – Era costume secolare che ogni anno il 7 di agosto il clero coi fedeli si portasse in solenne processione dalla Chiesa Madre fino alla cappella per celebrarvi i vespri in onore di San Donato. Così avvenne anche il 7 agosto del 1861... Dopo il canto dei vespri la processione, come al solito, ritornava al luogo di partenza. In questo momento una quarantina di briganti, ingrossati da reazionari, da borbonici, da molti popolani si fanno avanti minacciosi agitando una bandiera bianca, obbligano a gridare «Viva Francesco II» e costringono il clero a cantare un Te Deum di ringraziamento con l’ intenzione di dimostrare la restaurazione del regno dei Borboni... Certo la calata dei briganti in quel giorno e a quell’ ora non era del tutto imprevista, anche perché l’ influenza di persone ragguardevoli aveva esaltato la massa dei contadini e degli operai, i quali erano già pronti per una sommossa e ne attendevano soltanto l’ incentivo... Il giorno seguente si costituì un nuovo governo che mandò subito messaggi nei paesi intorno invitando tutti alla rivolta. L’ appello non rimase inascoltato: una specie di frenesia generale invase anche le popolazioni vicine e il 9 agosto si diedero convegno a Pontelandolfo reazionari provenienti da Casalduni e Campolattaro, che, sventolando bandiera bianca e osannando a Francesco II, si accamparono in piazza Tiglio e sulle Campetelle, ormai scomparse. Al calar della sera però, temendo l’ arrivo di soldati impegnati nella lotta contro i briganti, se ne andarono e tutto piombò nel silenzio profondo, foriero di più funeste sciagure. I moti rivoluzionari e i ripugnanti crimini di quei giorni non rimasero nascosti... Così fu deciso di inviare a Pontelandolfo un drappello di 45 soldati al comando del tenente Luigi Augusto Bracci e 4 carabinieri. L’ intenzione era quella di sedare i disordini, calmare la popolazione, restaurare l’ ordine e tenere a bada le orde brigantesche. Questi giovani furono inconsapevolmente votati alla morte. Giunsero a Pontelandolfo l’ 11 agosto e in prossimità dell’ abitato cominciarono a sventolare fazzoletti bianchi dimostrando lo scopo pacifico della loro venuta... Lentamente dal Piano della Croce si avviarono nell’ interno del paese e trovarono la migliore soluzione nel rinchiudersi nel giardino della Torre per consumare un pò di pane e di vino e attendere il momento opportuno per ritornarsene. Improvvisamente si udirono colpi di fucile e le sentinelle diedero l’ allarme: si scorgevano masse di uomini, contadini e briganti accompagnati anche da donne forsennate, che si avvicinavano armati con l’ intento, evidente, di accerchiare la Torre. Fu quello però un atto di provocazione a uscire allo scoperto per rendere più facile la soppressione del drappello. I soldati, infatti, uscirono e, sparando senza colpire nessuno, si diressero attraverso le Campetelle verso la strada maestra preoccupati di non venire accerchiati e di raggiungere S. Lupo, dove risiedeva il comandante della Guardia nazionale. Disgraziatamente la manovra non riuscì... Non potendo avanzare, presero la via sottostante per Casalduni dove, forse, ritenevano di sfuggire al sicuro massacro. Ma le campane di Casalduni suonarono funebremente a stormo e numerosi ribelli e briganti, comandati dal loro capo «generale» Angelo Pica, un massaro del luogo e principale fomentatore della strage, completarono l’ accerchiamento dei bersaglieri. I 50 uomini si difesero disperatamente, ma alla fine prevalse la turba sanguinaria: furono disarmati, spogliati della divisa, attaccati agli alberi, trucidati... Il misfatto del giorno 11 causò un senso di inquietudine negli abitanti dei due paesi, i quali si attendevano un’ azione vendicativa ma non così repentina e, tanto meno, così sterminatrice... Il Cav. Iacobelli, della Guardia Nazionale di S. Lupo, voleva attaccare i pochi briganti che si aggiravano sulla Prainella, nei pressi della strada per Casalduni, ma costernato preferì inviare a Napoli al generale Cialdini e al ministro De Blasio, di Guardia Sanframondi, un rapporto minuzioso; vi erano descritte, in raccapriccianti particolari, le stragi del giorno prima, particolarmente l’ efferatezza dei cittadini e la virtù dei valorosi caduti... Il piano di ritorsione fu istantaneo e perentorio: bisognava esemplarmente e immediatamente vendicare l’ uccisione dei 50 soldati con l’ eversione dei due paesi e con lo sterminio degli abitanti. Gli ordini furono dati separatamente per Casalduni all’ ufficiale dei bersaglieri Carlo Melegari e per Pontelandolfo al colonnello Gaetano Negri. Il Melegari, che ha lasciato le sue memorie sul brigantaggio e che aveva militato anche in Crimea sotto il comando del Cialdini, sapeva benissimo che un pensiero del generale, anche espresso sotto forma di desiderio, rappresentava una categorica volontà, a cui poteva rispondersi soltanto con la posizione di attenti e l’ ubbidienza. E il desiderio fu esplicito: «il doloroso e infame fatto di Casalduni e Pontelandolfo» deve essere castigato in modo «che di quei due paesi non rimanga più che pietra sopra pietra». E così il Melegari con quattro compagnie di bersaglieri marciò contro Casalduni e il Negri con altri 500 del 18° reggimento e con scelti da vari battaglioni da Benevento sopraggiungeva, su Pontelandolfo nel silenzio della notte... Era l’ alba del 14 agosto. L’ ufficiale Melegari esclama nei suoi ricordi: «Era giunto finalmente il momento di vendicare i nostri compagni d’ armi, era giunto il momento del tremendo castigo». Egli impartì l’ ordine di circondare e assalire Casalduni coi fucili spianati e le baionette inastate e, senza incontrare resistenza, tutti cominciarono a sparare, a incendiare iniziando dalla casa del sindaco, a colpire quei pochi disgraziati rimasti nel centro, mentre le campane suonavano a stormo. Dei soldati, penetrati nelle case, gettavano giù simboli borbonici e i fucili e le cinghie insanguinate dei commilitoni sopraffatti e trucidati tre giorni prima. Questa visione maggiormente irritò il risentimento degli assalitori e in breve le abitazioni si trasformarono in un rogo desolante. Il Melegari voleva agire su Pontelandolfo quando si accorse delle truppe del colonnello Negri pronte a investire furentemente il paese. Qui la sciagurata punizione assunse proporzioni disumane e catastrofiche... I cittadini di Pontelandolfo erano ancora immersi nel sonno ignari dell’ incombente ora tragica. Improvvisamente l’ ordine di assalto esplose in scariche di fucili, in furibonde scorrerie, in abbattimenti di porte e finestre, a cui si aggiunsero ammonitori e ferali i rintocchi delle campane suonate a martello. «Tutti correvano alle finestre, ai balconi, alle porte per rendersi conto di ciò che accadeva. I soldati, slanciandosi per le scale del paese e nelle case; abusando dell’ ora presta, della nudità, del sonno, dello spavento dei cittadini, si abbandonarono a fatti orrendi, a saccheggi sozzi, azioni infami». La sparatoria non risparmiava nessuno: furono uccisi giovani e vecchi, donne e fanciulle, chi protestava la propria innocenza e chi accorreva in difesa anche dei piccoli, pure quelli che si erano offerti, per antica convinzione, di combattere a fianco dei Piemontesi. Assassinii, violenze, sopraffazioni, razzie costituirono l’ ardimento vendicatore. Le cronache, vicine al tempo, riferiscono nomi di uomini insensatamente ammazzati lungo le vie o nelle abitazioni, di donne violentate o uccise con particolari che spingono al ribrezzo... Anche Pontelandolfo, dopo l’ agghiacciante eccidio, fu avvolta dal crepitio delle fiamme e rasa al suolo... Ed è significativo sottolineare che la prima casa assalita e bruciata fu quella dell’ Arciprete.... Il 15 agosto, mentre i cittadini di Pontelandolfo e Casalduni, sfuggiti alla mostruosa catastrofe, attendevano a spegnere il fuoco, a puntellare le poche malferme pareti, a salvare qualche masserizia e specialmente a piangere le loro sventure e i loro morti, il colonnello Negri annunziò al Comando di Napoli per telegrafo: «Ieri, all’ alba, giustizia fu fatta per Pontelandolfo e Casalduni»...
Da «Pontelandolfo. Memorie dei giorni roventi dell’ agosto 1861» – Samnium – Gennaio-giugno 1973
Rocco Boccaccino