4 aprile 1861
Garibaldi ha l’artrite
Garibaldi ha passato una brutta notte, quasi insonne. Si trova sofferente a letto, nell’hotel in riva al Po dove ieri ha preso alloggio a Torino. L’Austria teme che il generale stia per organizzare un attacco al Veneto o a Roma pontificia. Altro che attacco: per ora lui subisce quello dell’artrite. Gli fa male il bacino. In quelle condizioni non si reggerebbe a cavallo. I dolori gli bloccano anche un braccio. Come potrebbe menare sciabolate? In serata lo vengono a trovare amici. Gli hanno trovato una sistemazione migliore, poco distante. Andrà a risiedere a casa del conte Annoni, nell’elegante via della Rocca, nel «Borgo nuovo» di Torino, dove sono da poco sorti alcuni dei più bei palazzi dell’epoca. Lo vengono a prendere con una carrozza a noleggio. Appena esce viene riconosciuto e i torinesi lo ricoprono di saluti affettuosi. Re Vittorio Emanuele II vorrebbe che si affidasse al proprio medico, il dottor Alessandro Riberi, luminare della medicina subalpina. Ma Garibaldi declina l’invito. Sul portone di casa Annoni riesce ad avvicinarlo una mamma, con un neonato al petto: «Generale - gli dice - lo vogliano chiamare Giuseppe come lei. Ci farebbe l’onore di essere il suo padrino?». Lui la guarda e con un mezzo sorriso scherzoso le risponde: «Grazie delle sue care parole. Lo chiami pure Giuseppe, come il santo. È anche il mio nome, ma credo che il Papa non mi creda tanto santo da poter sembrare per lui un buon padrino» (Maurizio Lupo, La Stampa 4/4/2011).