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 2015  luglio 27 Lunedì calendario

Biografia di Tazio Nuvolari

NUVOLARI Tazio Castel d’Ario (Mantova) 16 novembre 1892, Mantova 11 agosto 1953. Pilota. «Una delle figure più grandi nella storia degli sport motoristici, un campione per il quale il confine tra realtà e leggenda è molto labile» [1], «è ricordato come il pilota che corse nella notte tenendo i fari spenti per sorpassare senza essere visto; che gareggiò ingessato sulla motocicletta e vinse; che guidò con una chiave inglese in sostituzione del volante» [2]. Prima gara ufficiale in motocicletta a Cremona nel 1920 (ritiro), prima vittoria (su Harley Davidson) il 20 marzo 1921 sul Circuito del Belfiore, fino al 1930 alternò due e quattro ruote, poi divenne per un decennio il dominatore delle corse automobilistiche più importanti del mondo. Ultima corsa la Mille Miglia del ’48 (a 56 anni, si ritirò per problemi al motore dopo aver dominato a lungo), chiuse con un bilancio di 68 vittorie in auto e 39 in moto. [1] Le Garzantine – Sport, a cura di Claudio Ferretti e Augusto Frasca, Garzanti 2008; [2] Enciclopedia dello Sport – Motori, Treccani 2002.
La prima vittoria in moto su una Harley Davidson
Famiglia di ricchi proprietari terrieri, per padre il ciclista Arturo, Tazio Nuvolari ottenne nel 1915 (a 23 anni) la licenza di pilota da corsa. Autiere nella prima Guerra Mondiale, nel ’20 disputò in moto (Della Ferrara) a Cremona la sua prima gara ufficiale, finita con un ritiro. Prima vittoria il 20 marzo 1921, sempre in moto (Harley Davidson 1000) sul circuito del Belfiore, per tutti gli anni Venti continuò a imporsi sulle due ruote (Garelli, Norton, Indian, Bianchi): «Una volta, dopo un incidente, si fece fasciare il corpo nella stessa posizione che avrebbe assunto poi sulla moto. Durante la corsa si spezzò un dito della mano sinistra e con quell’osso in fuori che sporgeva continuò a correre come se niente fosse» (I Grandi dello Sport, Gremese editore 1987). Dal 1930, anno in cui si impose tra l’altro nella Trieste-Opicina, prima vittoria della “Scuderia Ferrari”, si dedico esclusivamente alle auto.
L’inventore della sbandata in curva
Sulle quattro ruote Nuvolari inventò la sbandata posteriore in curva da metà svolta in poi, controllando il sovrasterzo col volante. Raccontò Gian Battista Guidotti: «Quando ho corso con lui la Mille Miglia del 1930, che vincemmo, sulle prime mi spaventai di questa manovra. Ad ogni curva era un sussulto la paura di non farcela, le ruote che usavano sino all’ultimo millimetro di asfalto disponibile. Col passare dei chilometri, mi resi conto che era tutto calcolato. E cominciai ad ammirarlo rendendomi conto di avere a che fare con un pilota eccezionale». Con Ferrari si erano conosciuti nel 1924, sul Circuito del Savio (Ravenna): «Nuvolari, con la Chiribiri, dovette soccorrere Ferrari, che vinse guidando un’Alfa Romeo. Si congratularono, si piacquero» (La Gazzetta dello Sport – 100 anni di gloria, volume 3 1916-1925).
La vittoria nella “corsa a fari spenti”
Il trionfo alla Mille Miglia del 1930 fu la svolta definitiva della carriera di Nuvolari: «S’impose su Achille Varzi, più giovane di 12 anni ma già campione italiano, in maniera divenuta subito leggendaria. Fu quella la “corsa dei fari spenti”: nella notte guidò nel buio per non farsi notare dall’avversario e, raggiuntolo, lo superò di sorpresa nei pressi del traguardo. Da quel momento la sua carriera si svolse in un continuo crescendo. Nel 1932, supportato dall’eccellente tecnica dell’Alfa Romeo P 3, “il mantovano volante” fu il dominatore assoluto. Vinse la Targa Florio, la Coppa Ciano,la Coppa Acerbo, il Gp di Monaco, quello d’Italia, quello di Francia» (Enciclopedia dello Sport).
Il dominatore degli Anni Trenta
Nel 1933 Nuvolari ruppe con Enzo Ferrari (vedi FERRARI Enzo), passò alla Maserati (ma non in esclusiva) e si affermò nella Mille Miglia, nella 24 Ore di Le Mans (in coppia con Raymond Sommer), in tutti i più importanti Gran Premi europei; nel 1934 incappò ad Alessandria in uno degli incidenti più gravi della sua carriera, fratturandosi una gamba: stoico fino alla sconsideratezza, si ripresentò al via poco più di un mese dopo, vincendo al termine della stagione i Gran Premi di Modena e Napoli; nel ’35 si impose in una decina di Gran Premi: il 15 giugno stabilì sulla Firenze-Mare (Alfa Romeo “bimotore”) i primati sul chilometro e sul miglio lanciati toccando la velocità di 336,252 km/h, il 28 luglio (Nürburgring) vinse il Gp di Germania «sconfiggendo le sofisticatissime Mercedes e Auto Union con un’obsoleta Alfa Romeo P3, al termine di una folgorante rimonta negli ultimi giri, lasciando di sasso i tifosi tedeschi e gli organizatori, talmente sicuri della vittoria di una loro auto da non aver previsto l’esecuzione dell’inno italiano» (le Garzantine).
Un trionfo premiato con 32mila dollari
Fatta pace con Ferrari, il 12 ottobre ’36 Nuvolari vinse sul circuito del Roosevelt Field a Long Island, negli Stati Uniti, la Coppa Vanderbilt: «La gara, 75 giri per un totale di 482 chilometri, rappresentava una sorta di campionato del mondo per la presenza di tanti campioni. Tra gli italiani, oltre a Nuvolari, scesero in pista Farina e Brivio su Alfa Romeo, mentre tra i padroni di casa il più noto era senz’altro Mauri Rose, campione di Indianapolis. Le doti di freddezza e di maestria nella guida di Nuvolari trovarono la loro giustificata esaltazione nel difficile percorso americano e strapparono grida d’ammnirazione agli stessi spettatori statunitensi che uscirono dall’autodromo sconfitti per le negative prestazioni dei loro piloti, ma soddisfatti per la meravigliosa giornata che aveva loro fatto vivere il pilota italiano. Quella vittoria fruttò a Nuvolari la somma di 32.000 dollari che gli venne consegnata insieme alla coppa dal sindaco di New York, Fiorello La Guardia» (I Grandi dello Sport).
«Il più grande pilota del passato, del presente, del futuro»
Ultimi anni prima della guerra con la tedesca Auto Union, nel 1946 Nuvolari riprese a correre, ma l’età cominciava a farsi sentire e non fu più capace di dominare come un tempo (aveva tra l’altro perso due figli). Continuò comunque a gareggiare fino a 56 anni (1948), testimonial delle industrie che ne utilizzavano l’immagine, ricco al punto da recarsi alle corse con l’areo personale ogni volta che poteva. Quando morì, sessantenne nel 1953, non aveva ancora annunciato il ritiro. È nella storia come «il più grande pilota del passato, del presente, del futuro» (Ferdinand Porsche), per Enzo Ferrari la sua tecnica resterà per sempre «un prodigio insuperato dell’istinto ai limiti delle possibilità umane e delle leggi fisiche».