27 luglio 2015
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Biografia di Lucia Borsellino
• Palermo 26 settembre 1969. Farmacista. Primogenita del magistrato Paolo Borsellino (Palermo 19 gennaio 1940 – Palermo 19 luglio 1992). Una lunga carriera da dirigente all’assessorato della Salute della Regione Sicilia (dirigente generale, poi capo del dipartimento attività sanitaria), nel novembre 2012 Rosario Crocetta la nominò assessore. Ha rassegnato le sue dimissioni il 2 luglio 2015 denunciando «un calo di tensione morale» nel governo siciliano ed esprimendo «disagio» per il rapporto stretto fra il governatore Crocetta e il suo medico personale Matteo Tutino, primario di chirurgia plastica della clinica Villa Sofia di Palermo, arrestato a giugno dello stesso anno con l’accusa di aver addebitato al sistema sanitario pubblico interventi di natura estetica.
• Venerdì 17 luglio 2015 l’Espresso pubblicò il testo di una presunta intercettazione in cui Tutino, al telefono con Crocetta, avrebbe detto a proposito di Lucia Borsellino: «Quella lì va fermata, va fatta fuori come il padre». Come risposta, solo il silenzio da parte del governatore siciliano. La procura di Palermo negò l’esistenza dell’intercettazione tra i documenti dell’inchiesta su Tutino, l’Espresso replicò citando una fonte investigativa che avrebbe fatto ascoltare la conversazione in questione al cronista Piero Messina nel maggio 2014. Intanto il caso politico era montato, con le reazioni indignate di tutte le forze politiche, compreso il Pd, e la richiesta di dimissioni per Crocetta, il quale prima si autosospese (pur negando di aver mai ascoltato quella frase), poi denunciò l’Espresso per diffamazione per 10 milioni di euro. «Sono intimamente offesa, provo vergogna per loro», fu il commento della Borsellino L’esistenza o meno dell’intercettazione non è ancora stata chiarita.
• «Questa è stata la mia prima esperienza politica, sarà anche l’ultima. In questi anni ho sentito spesso il peso del nome che porto. Sono stata attaccata e tirata per la giacca in ragione del fatto che mi chiamo Borsellino. Ma la mia famiglia è composta da persone umili, che non hanno mai inteso sfruttare questo nome. Anzi, le dirò: oggi torno a essere la figlia di Paolo» (a Emanuele Lauria, subito dopo le sua dimissione da assessore).
• «Ho accettato di fare l’assessore perché sentivo di volere dare il mio contributo al servizio esclusivo della collettività pur sapendo che il mio cognome poteva essere oggetto di speculazioni. Io ho dato il mio tempo e le mie competenze. Poi ho visto altro. Le dirò, anzi, che questa vicenda insegna che fin quando la Sicilia non si emanciperà dai simboli non potrà avere un futuro roseo davanti a sé» (a Enrico Bellavia e Emanuele Lauria).
• «Si potrebbe anche ricordare il “caso Nicole”, la piccola morta in un’ambulanza smarrita nella vana ricerca di una struttura pubblica che potesse ospitarla. La firma, appunto. Quando si ha in sorte di portare un cognome scolpito nella storia dovrebbe essere imposto l’obbligo di pudore, in nome dell’eroe e così anche per rispettare tutta una nazione che in quell’eroe santifica il dovere e la rettitudine civile» (Pietrangelo Buttafuoco).
• «Non capisco l’antimafia come categoria, come sovrastruttura sociale. Sembra quasi un modo per cristallizzare la funzione di alcune persone, magari per costruire carriere. La legalità, per me, non è facciata, è una precondizione di qualsiasi attività».
• Il fratello Manfredi è dirigente di Polizia a Cefalù.