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 2011  maggio 29 Domenica calendario

Un libro sulla vita di Conan Doyle (estratti)

IL DETECTIVE DEL MISTERO –
S’intitola Conan Doyle. L’uomo che creò Sherlock Holmes (Excelsior 1881, pagg. 382,euro 26,50;in libreria da lunedì), ed è la nuova appassionata e rigorosa biografia del grande scrittore scozzese firmata dallo storico Andrew Lycett.Il saggio,ricostruen­do la vita e l’opera di Conan Doyle, racconta come al contrario della sua creatura Sher­lock Holmes, perfetta incarnazione della ra­gione, lo scrittore fosse sempre un acceso seguace dello spiritismo e del soprannatu­rale. Anticipiamo qui alcuni brani del libro.
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Come per molte altre persone, l’attitudine di Arthur Conan Doy­le rispetto allo spiriti­smo­ era stata profon­damente influenzata dagli eventi accaduti nel corso dei primi nove mesi di guerra, tra il 1914 e il 1915. L’orrore delle batta­glie iniziali aveva condotto a una proliferazione di racconti relativi a eventi soprannaturali. Il più famo­so di questi riferiva come gli spiriti degli arcieri inglesi – o, secondo un’altra variante, gli Angeli di Mons – avessero protetto le truppe inglesi durante la ritirata in cui Mal­colm Leckie (cognato dello scritto­re, ndr ) era stato ucciso.
Arthur fece la sua parte organiz­zando alcune sedute a Windle­sham nel tentativo di mettersi in contatto con il cognato, affiancato dalla figlia Jean che fino ad allora si era mostrata scettica intorno a que­sta tematica. In modo inaspettato tuttavia la scialba e malaticcia ami­ca Lily Loder-Symonds si rivelò una medium con un autentico ta­lento per la scrittura automatica. Come Jean, Lily aveva patito alcuni precoci lutti personali: prima della fine del 1914 uno dei suoi fratelli, Jack, maggiore nel reggimento del Sud Staffordshire, aveva perso la vi­ta a Le Cateau, e altri due, Thomas e William, erano stati feriti.
La sofferenza di Lily si acuì agli inizi di marzo, quando un altro dei suoi fratelli, Bob, capitano nel reggi­mento del Cheshire, fu ucciso in un incidente. Cinque giorni dopo la morte di Bob, Arthur e Jean cercar­o­no di mettersi in contatto con il suo spirito nel corso di una seduta. Non appena la donna ebbe detto «Mi chiedo se Bob arriverà»,il tavolo ini­ziò a muoversi, e – attraverso Jean – Bob iniziò a scrivere. Arthur inviò un brano del presunto testo di Bob a Lily, chiedendole se lui avesse una calligrafia rotonda quando era in vita. Bob aveva incontrato il fra­tello Jack, riferì Arthur, e sebbene non conoscesse Malcolm Leckie aveva promesso di cercarlo. Lo scomparso sembrava dire di esse­re stato colpito da un cecchino e, più concretamente, prevedeva che la Gran Bretagna e i suoi alleati avrebbero vinto la guerra entro tre mesi. Con questa esemplare com­binazione di entusiasmo e creduli­tà, Arthur si era addentrato nel peri­coloso territorio in cui il paranor­male veniva utilizzato allo scopo di predire gli esiti della guerra...
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A un livello più personale, l’in­contro con la morte del figlio King­sley incoraggiò Arthur a prendere una posizione circa la sua quasi ine­vitabile accettazione dello spiriti­smo. Arthur mise da parte il suo di­stacco scientifico e accettò la prova portagli dai suoi stessi sensi di star assistendo a un «nuovo annuncio» al genere umano, nel quale la reli­gione era divenuta un «fatto reale» e non solo «una questione di fede». Lo scrittore aveva anticipato il suo cambiamento di idee in un paio di lettere a Light nel marzo e nel mag­gio 1916, sul tema «Dove si trova l’anima negli stati d’incoscienza?». Alla fine, il 4 novembre, in un artico­lo sullo stesso giornale, annunciò esplicitamente la sua conversione allo spiritismo. Come notò un com­mentatore, Arthur fu finalmente in grado di «collocare lo spiritismo nel più ampio umanesimo che ave­va compreso avere un ruolo nelle principali religioni». Lo spiritismo provava l’esistenza di una vita do­po la morte; presentava gli esiti infe­lici del peccato; dimostrava l’esi­stenza di entità spirituali elevate e di Campi Elisi, o di un paradiso, nel quale l’individuo trova la sua pa­ce».
Ormai libero da ogni dubbio, Ar­thur s’immerse in tutti gli aspetti dei fenomeni spiritici. All’inizio del 1917 iniziò a investigare la fotogra­fia degli spiriti – il processo median­te il quale l’immagine di uno spirito disincarnato poteva essere cattur­a­ta da un apparecchio fotografico – e fu soddisfatto da una foto scattata con questa procedura al nipote di Jean, Alec Forbes, altra recente vitti­ma della guerra. Era tuttavia preoc­cupato dal gran numero di me­dium pronti a speculare su perso­ne bisognose di soccorso spiritua­le: la legge avrebbe dovuto fermare gli impostori, su questo era d’accor­do, ma lo inquietava il fatto che si trattasse di un’arma a doppio ta­glio che avrebbe potuto essere rivol­ta anche contro i praticanti onesti (…).
Una ventina d’anni prima, Innes (il fratello minore dello scrittore, ndr) si era casualmente trovato a di­re che la più autentica vocazione di Arthur avrebbe potuto essere la po­litica invece della letteratura. Ar­thur aveva replicato, in modo tanto imprevisto quanto solenne: «Né l’una né l’altra. Sarà la religione». Entrambi erano scoppiati a ridere, di fronte a una prospettiva così im­probabile. Ma ora che la guerra era finita, la predizione di Arthur sem­brava avverarsi. Mentre si muove­va in lungo e in largo per la Gran Bretagna e divulgava le sue espe­rienze medianiche richiamando maree di gente alle conferenze, era ossessionato da un unico argomen­to, precisamente lo spiritismo. Pre­sto avrebbe potuto congratularsi con se stesso per l’«inconscio pote­re profetico» manifestato con In­nes.
Purtroppo Innes avrebbe rag­giunto presto la schiera degli scom­parsi.
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Era addetto agli approvvigio­na­menti e ai servizi nel Belgio deva­stato dalla guerra quando il 19 feb­b­raio 1919 fu falciato da quella stes­sa epidemia di influenza spagnola che aveva già ucciso Kingsley. Ar­thur perse così l’amato fratello mi­nore. Inoltre ora c’era un altro fami­liare da contattare nel corso delle sue escursioni nel mondo degli spi­riti. Nei mesi passati, era rimasto colpito da una medium fasulla di nome Anne Brittain, ed era solito in­viarle persone che avevano perso qualcuno durante la guerra, e il mucchio di lettere di ringraziamen­to ritrovato tra le sue carte suggeri­sce che si trattasse di un gesto mol­to apprezzato. Tra il luglio 1918 e il marzo 1919 Arthur consultò la me­dium quattro volte, tre delle quali furono un successo e una un falli­mento, come ebbe a riconoscere. La terza volta, nel novembre del 1918, fu messo in contatto con King­sley che, sebbene fosse morto sol­tanto da un mese, era già in grado di pontificare sulla sensatezza del­la sua morte e di raccontare le sue discussioni nell’aldilà con Mal­colm Leckie su argomenti di medi­cina. Quando Kingsley riferì di esse­r­e già stato contattato, Arthur anno­tò nelle note della seduta che in ef­fetti questo era vero, ma segnalava il suo scetticismo circa l’autenticità di tale dettaglio, avendolo ingenua­mente rivelato alla medium.
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 Nel frattempo, Arthur aveva rac­colto del materiale per un articolo sulle fate per lo Strand Magazine.
Inizialmente si trattava di poco più che un pezzo nostalgico su un feno­meno dal fascino immutabile ma periferico rispetto al tema del para­normale, ma a maggio cominciò a trasformarsi in qualcosa di più complesso, quando David Gow, editore del Light, gli riferì che una famosa medium, Felicia Sca­tcherd, aveva sentito parlare di al­cune straordinarie foto di fate. Si trattava di qualcosa di particolar­mente esaltante per Arthur che era convinto, secondo il credo dello spiritismo, che le forme dello spiri­to possono impressionare la pelli­cola fotografica.