23 luglio 2015
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Biografia di Max Schmeling
SCHMELING Max. Nato a Klien-Luckow (Germania) il 28 settembre 1905, morto a Hollenstedt (Germania) il 2 febbraio 2005. Pugile. Pro’ dal 1924 diventò campione europeo dei mediomassimi nel ’27, e dei massimi nel ’39. Fu il primo tedesco a diventare campione del mondo fra tutte le categorie. Divenne famoso superando per ko al 12? l’allora imbattuto nero Joe Louis il 19 giugno ’36 a New York. Il 22 giugno 1938 s’arrese nella rivincita valida per il Mondiale dopo 2’08’’. Era già un mito. Si ritirò il 31 ottobre ’48 dopo 24 anni di carriera e 70 match: 56 vinti (40 ko), 10 persi e 4 pari. Partecipò alla propaganda nazista durante i Giochi di Berlino ’36. Nel 1992 è entrato nella Hall of Fame. «(…) Era il prototipo perfetto del peso massimo: nè troppo alto, nè troppo basso ( misurava 185 centimetri) e con un peso (89 chili) che coniugava potenza e velocità. Max Schmeling fu sollecitato a portare in giro per il mondo il verbo del Reich, ma egli non si macchiò del peccato di molti suoi colleghi sportivi: conobbe ed ebbe numerose frequentazioni con il Führer e con i suoi più stretti collaboratori, ma seppe anche scegliere secondo coscienza, come quando rifiutò di liquidare il suo manager di origine ebrea o quando salvò i due figli di un amico che stavano per essere inviati ad Auschwitz. Tuttavia nel ’38, quando affrontò per la seconda volta Joe Louis allo Yankee Stadium di New York, fu accolto sul ring da manifestazioni ostili. Sulle tribune non c’erano quattro gatti, ma 75 mila persone ululanti che avevano individuato in Max il Male e in Louis il Bene. Due anni prima Schmeling, sempre a New York, sempre allo Yankee Stadium, aveva sorprendentemente battuto Louis in un match senza titolo in palio. Certo, Schmeling era già stato campione del mondo (dal ’30 al ’32, titolo vinto e poi lasciato sempre con lo stesso avversario, Jack Sharkey, che poi lo perse contro Carnera ), ma Joe era il peso massimo emergente, l’uomo che non doveva perdere (non per nulla aveva promesso di battere il tedesco”in meno di 18 secondi”). La rivincita premiò la spietatezza del Bombardiere nero: al primo round Schmeling finì al tappeto per tre volte, prima che il suo angolo gettasse sul quadrato l’asciugamano. Anche se l’anno dopo Max conquistò il titolo europeo (disputò in tutto 70 match, con 56 vittorie, 10 sconfitte e 4 pareggi), si può ben dire che la sua carriera cominciò a finire su quel ring di New York. Finì anche sul nascere la sua carriera di eroe ariano: infatti pagò sconfitta e riluttanze con una chiamata alle armi sul fronte greco. Schmeling non ne volle mai a Joe Louis: gli fu vicino, anzi, quando il vecchio Joe, dimenticato da tutti, anche dai 75 mila dello Yankee Stadium, ebbe problemi con i conti da pagare. (…)» (Claudio Colombo,”Corriere della Sera” 5/2/2005). «Lui era il nazista cattivo, l’altro era il simbolo della libertà americana. Si scontrarono su un ring: il bianco contro il nero, Schmeling contro Louis, la barbarie contro la civiltà. Ma le cose non sono mai come sembrano. E lui è stanco di ripeterlo. Vive fuori Amburgo, dal 1949. Una piccola vecchia proprietà in mezzo al bosco, mai ristrutturata. In modo da non far paura ai cervi, alle volpi, agli storni e ai picchi.”Non mi serve una villa”, dice. Vive da solo. Sono quattordici anni che sua moglie, Anny Ondra, non c’è più. Lei era bella, era una star del cinema. assistito da due anziane domestiche. Ha difficoltà a camminare, si appoggia al bastone, il diabete è sotto controllo e le due operazioni alla cataratta sono riuscite. Ogni mattina legge i giornali e le riviste di calcio, caccia e boxe. Se gli chiedete di quella roba lì: di Hitler, di Goebbels, di Louis, del pogrom del 1938, della Notte dei cristalli, vi dirà che non ha più nulla da dire.”Basta, non voglio più ripetermi. Sono 75 anni che sono sui giornali. Ora voglio essere lasciato in pace”. Per gli americani era la canaglia che, nel giugno del 1938, andò a New York a prendere il mondiale di Joe Louis per portarlo a Hitler. In realtà l’America era la seconda casa di Schmeling, che dal 1929 fino all’inizio della guerra vi aveva molto vissuto e combattuto. Sì, certo, Berlino era quella dei ruggenti anni Venti, c’erano i teatri, i cabaret, gli attori, le corse d’auto ad Avus con le Bugatti, Greta Garbo al Kleine Scala, Ernst Lubitsch, L’opera da Tre Soldi di Bertolt Brecht. Schmeling non era andato a scuola, ma come campione dello sport si trovò al centro di quel mondo: recitava nei film, cantava, si metteva in posa per George Grosz,”anche se non capivo molto la sua arte”. Era un idolo, un dio del ring, il modello a cui molti scultori chiedevano di posare nudo. Con la ballerina Anita Berber, criticata per la sensualità da”svergognata”. E lei rispose andando a cena all’hotel Adlon, ordinando tre bottiglie di champagne e, mentre il cameriere lo versava, lasciò andare a terra la pelliccia. Era nuda, sotto. E nuda alzò il calice e brindò. Anita era amica di Max, e questa era la Berlino prima di Hitler. Dove Schmeling frequentava gli ebrei, il suo stesso manager, l’americano Joe Jacobs, lo era. E quando nel 1935 il ministro dello sport ne chiese la testa, il pugile disse no. Schmeling si trovava bene anche negli Usa, dove era diventato il primo tedesco campione mondiale dei massimi e dove aveva molti amici: Clark Gable, Marlene Dietrich, lo stesso F.D. Roosevelt che durante la campagna elettorale passò a trovarlo. Nel 1936, quando inflisse a Louis la sua prima sconfitta mettendolo ko al 12° round in un incontro non valido per il titolo, fu osannato. Ma era il 1936, il mondo non era ancora sicuro su chi fosse Hitler, e Schmeling era solo un tedesco. Nel 1938 tutto cambiò: il Terzo Reich era chiaro e Schmeling non era più un tedesco, ma un nazista. Un mese prima del suo arrivo in nave a New York i dimostranti picchettarono il molo e quando il pugile sbarcò dal”Brema” dovette essere scortato fino all’albergo. Fu insultato, maledetto, preso in giro con il braccio teso. E se mancava di fare dichiarazioni a favore del regime, gli vennero attribuite. Era, doveva essere, il nemico. Settanta milioni di americani si misero davanti alla radio e due minuti dopo il gong festeggiarono: Schmeling era al tappeto. Diffamato, disprezzato, sconfitto. Non era mai stato un nazista, ma all’inizio qualche simpatia per Hitler l’aveva avuta. Lo aveva trovato”un tipo rilassante, seducente”. Aveva messo una sua fotografia autografata nello studio. Ma aveva ammesso:”Hanno tentato di usarmi, io ho usato loro per aiutare gli altri. Molti poi hanno detto di non sapere. Io non ho mai mentito, né a me stesso né alla storia. Francamente vi dico, noi sapevamo. Non era un segreto che in Germania esistevano i campi”. A Hitler lo sport non interessava molto. E non si sentì offeso quando Schmeling rifiutò il Pugnale nazista, un’onorificenza che lo avrebbe reso comandante onorario delle truppe di terra. Ma altri gerarchi nazisti giudicarono il rifiuto”troppo rude”. Era Goebbles, il ministro della propaganda, il più deciso nello strumentalizzare, era stato lui a dire a Hitler che Schmeling, 60 combattimenti e 7 sconfitte già alle spalle, non ce l’avrebbe fatta contro un magnifico giovane, imbattuto e nero Joe Louis, il 19 giugno 1936 allo Yankee stadium. Il tedesco era sfavorito 8-1, nessuno gli dava credito, il”Bombardiere nero” metteva paura. Ma Schmeling aveva coraggio e Louis che, sottovalutandolo, si era poco allenato, finì ko alla quarta e alla dodicesima. Il razzismo della folla americana non fu più strisciante, ma aperto.”Uccidilo”, gridarono a Schmeling, il bianco. Il negro doveva essere punito. Quel successo fece di Schmeling il talismano del nazismo. Tornò a casa sullo zeppelin Hindenburg, anche se non c’era posto, fu ricevuto insieme a moglie e madre da Hitler. Mancavano poche settimane ai Giochi di Berlino, quale miglior pubblicità? Nel 1938, quando tornò in America per la rivincita, non era più la sua America. Lo dipinsero come il pugile con la svastica, dissero che il suo allenatore teneva la divisa nazista nello spogliatoio, che Hitler in caso di successo lo avrebbe promosso ministro dello sport. Usarono tutti gli stereotipi dei bianchi contro i neri. Joe Louis, il nero che in America non era servito nei ristoranti, divenne il simbolo del paese, guardiano dell’eguaglianza, mentre il nero Owens doveva correre contro i cavalli nelle fiere di paese per racimolare soldi. Schmeling salì sul ring proteggendosi la testa, gli lanciarono di tutto. Il suo angolo, impaurito, lo abbandonò. Louis era così carico che lo abbattè al 1° round. L’ambasciatore tedesco andò a trovare Max in ospedale e gli consigliò di dire che Louis aveva colpito sporco. Schmeling rifiutò, e smise per il suo paese di essere un tedesco. Goebbels lo minacciò:”Crede davvero di venire a trovare me e il Fuhrer e di poter continuare a socializzare con i suoi amici ebrei?”. Nel novembre del 1938, nella Notte dei cristalli, il signor David Lewin, ebreo disperato per la violenza nazista, inviò i due figli, Werner di 15 anni e Henri di 14, all’hotel Excelsior dove Schmeling aveva una suite.” un amico, vi salverà”. Schmeling si occupò dei ragazzi, li nascose per due giorni, li scortò in un’altra parte della città. E della sconfitta disse:”Mi salvò dal diventare l’eroe ariano”. Lui, il cattivo» (Emanuela Audisio,”la Repubblica” 5/1/2002). «Ex campione del mondo dei massimi, che aveva battuto l’astro nascente Joe Louis. Nell’epoca sciagurata, in cui Adolf Hitler aveva scoperto la”razza eletta” e voleva convincere la Germania a rendersi conto dell’esattezza di questa presunta infame definizione. La razza eletta, una sciagurata tendenza psicologica e politica, sanzionata da una legge, che determinò un orribile genocidio e violò la storia della civiltà. (…) Due campioni tedeschi, fuoriclasse, autentici, allora furoreggiavano. Max Schmeling (boxe) e Bernard Rosemayer (automobilismo). Se lo sport ha un merito è a volte quello di mettere a nudo di un paese, virtù e vizi, magari inconfessabili. Rosemayer era un campione, che valeva Achille Varzi, un artista, e Tazio Nuvolari, un eroe del volante. Rosemayer morì sull’autostrada Francoforte-Darmasdad. Nel tentativo di battere il primato, appena stabilito, di Rudolf Caracciola, 432 orari sul chilometro lanciato. Un colpo di vento scaraventò il suo argenteo siluro su un dosso. Fu raccolto ai margini. La Germania gli dedicò onoranze di Stato. Si seppe in quei giorni che la moglie di un altro asso (Caracciola) era stata costretta, perché ebrea, al ruolo di domestica in una casa ariana naturalmente. Ma torniamo a Max Schmeling. Avevo saputo da Rosario Busacca, che era caposervizio della rubrica di pugilato della”Gazzetta dello Sport” e fratello di Giovanni Busacca, procuratore di Duilio Loi, che Schmeling non era più in auge al pari di Caracciola presso i”nazi”. Il partito aveva esercitato pressioni sul campione del mondo perché fosse attore in una affiche propagandistica di volontariato, nel caso paracadutista nelle armate del III Reich. Il popolarissimo Max venne fotografato sul portellone di lancio in fase di combattimento, esattamente nel corso dell’invasione di Creta. In quei lontani giorni accadeva che qualche filmato di boxe giungesse in Italia. Io ne ricordo uno, ingiallitissimo, datato 1932. Riproduceva il match Schmeling-Mickey Walker, campione del mondo dei medi che a Londra era finito alla sopravvivenza. E aveva accettato di battersi nell’impari incontro. Max Schmeling, che tre mesi prima era stato sconfitto a Long Island da Sharkey. Ho chiesto una traccia del match a Giuseppe Signori il quale mi ha spiegato che Mike, amico di Sharkey, benché atterrato al primo round, aveva preso a sfottere Schmeling, il quale s’infuriò. Il maggior peso e la freddezza di Schmeling prevalsero. Un destro terribile raggiunse la mascella di”Toy Buldog”. Un ruscello di sangue sgorgava dalle labbra e dal naso di Mike. Schmeling era finalmente uscito dalla solita glaciale impassibilità. Un grido attraversò allora l’enorme stadio. Era il manager, l’uomo dell’angolo di Toy Buldog.”Fermate il match!”. L’arbitro accettò il consiglio, Schmeling era nella miglior forma: inesorabile, di ghiaccio, determinato. L’arbitro che non era tedesco, evitò il massacro» (Mario Fossati,”la Repubblica” 5/2/2005). «(…) una delle ultime icone sportive dello scorso secolo: capace di alimentare amori e odi, trame politiche, orgogli nazionalistici e proteste razziali. The Black Uhlan, ribattezzato in Italia l’’ululano della morte”, non fu solo il primo tedesco della storia a conquistare il titolo mondiale dei massimi, ma anche l’involontario simbolo della propaganda nazista: proprio lui che aveva salvato dalla deportazione ad Auschwitz i figli di un amico, che s’era rifiutato di lasciare il manager ebreo e che non volle mai iscriversi al partito si trovò tutta l’America contro, con manifestazioni di piazza anti- naziste, quando nel ’38 tornò a New York per concedere la rivincita a Joe Louis. Ma il ruolo di un campione dei massimi di razza ariana era segnato: il k. o. con cui il 19 giugno 1936 Schmeling aveva messo a sedere l’imbattibile Bombardiere Nero nel primo match, fu salutato da un telegramma ufficiale di felicitazioni di Hitler, il Fuhrer che solo due mesi dopo avrebbe dovuto lasciare anzitempo lo stadio olimpico di Berlino per non stringere la mano a Jesse Owens. Fra le mille contraddizioni di Schmeling, attore e sposo di una delle più attraenti starlette tedesche, c’è anche il complicato intreccio di rapporti col nostro Primo Carnera, il rivale mille volte annunciato che incontrò solo a bordo ring e nel ’43 sul set della nuova Cinecittà di Venezia per sancire l’alleanza fra Italia e Germania. Un amico-nemico a cui il grande Max è rimasto indissolubilmente legato, al punto che nel giugno 2003 inviò una lettera autografa alla famiglia per partecipare alle celebrazioni dei 70 anni del Mondiale. Alla fine degli anni Venti, l’immediata fama di Schmeling sui ring americani dopo il ritiro di Gene Tunney fu legata essenzialmente alla sua straordinaria somiglianza con Jack Dempsey, nonostante il carattere timido e taciturno. In realtà fino ad allora il suo record”europeo” non aveva niente di eclatante, se non la facilità con cui aveva messo k. o. una serie di avversari mediocri. Quando arrivò negli States alla fine del ’28, Schmeling aveva già subito 4 sconfitte (più tre pari), ma destò subito impressione per come il 1? febbraio del ’29 mise k. o. in 9 round tale Johnny Risko, un blocco di granito che aveva resistito in piedi anche a Tunney. Così, dopo la vittoria ai punti sull’aspirante campione Paulino Uzcudum, a 25 anni Schmeling fu subito indicato come co-sfidante al titolo vacante dei massimi insieme a Jack Sharkey che, nel frattempo, ebbe più noie del previsto a sbarazzarsi per squalifica dello scorrettissimo inglese Phil Scott. Con molti scommettitori a suo favore, Schmeling il 12 giugno 1930 allo Yankee Stadium, davanti a 79.225 spettatori, divenne il primo tedesco campione dei massimi nel modo meno onorevole: proclamato vincitore per squalifica al 4? round su un colpo basso di Sharkey che era in vantaggio ai punti. Ma solo di fronte all’impegno del tedesco a concedere immediatamente la rivincita a Sharkey, la Commissione atletica dello Stato di New York accettò di far volare via la corona dagli States. Contestato dall’America (sportiva e non), l’’usurpatore” tedesco si rintanò a casa sua, protetto dal potente manager Joe Jacobs, ed aspettò esattamente un anno per rimettere in palio la corona. Inutile dire che nel frattempo successe di tutto: la Commissione di New York lo privò del titolo assegnando a Sharkey l’inusuale qualifica di”difensore del titolo” mentre, per rifiutare la chiamata alle armi in Francia, lo stesso Carnera annunciò una fantomatica sfida mondiale con Schmeling (che aveva assistito al suo incontro con Godfrey del 23 giugno 1930 a Filadelfia) per il giugno ’31: il primo degli Schmeling- Carnera che non si fecero mai. Il 12 giugno 1930 Schmeling si ripresentò a Cleveland (New York era off limits) per spegnere i sogni americani di riappropriarsi della corona: Young Stribling,”artista” del k. o., fu devastato dagli attacchi del campione finché al 15? round l’arbitro decretò il ko tecnico. Il vincitore, che aveva firmato un contratto per la difesa del titolo con Carnera, scappò di nuovo a casa per curare l’occhio sinistro ferito da una manata di Stribbling e ne approfittò per acquistare con la borsa lo storico castello di Vettun in Pomerania. Il match con Carnera saltò di nuovo e Schmeling alla fine del ’32 dovette pagare una penale di 25.000 dollari per rispondere alla chiamata in giudizio dell’italiano. Il 21 giugno 1932, a due anni dalla squalifica, Sharkey (proclamato campione dallo stato di New York nonostante uno stentato pari con Walzer) ottenne finalmente la rivincita e a Long Island riportò il titolo in America con un verdetto ai punti contestato da tutti. A Schmeling non rimase che riprovarci con Max Baer perdendo nettamente la semifinale al titolo conquistato pochi giorni prima da Primo Carnera contro Sharkey (e nel ’34 ceduto proprio da Baer). Giusto il tempo per sposare in patria la famosa attrice Anny Ondra ed ecco altri due passi falsi: sconfitta con Steve Hamas e pari con Paulino Uzcudum, lo spagnolo che pochi mesi prima a Roma aveva visto perdere con Carnera. La carriera sul ring sembrava al tramonto, ma l’ex campione fu rilanciato dal nazismo che, in tema di propaganda, gli fece girare un film con la moglie (Knock out, in Italia Un giovinetto e una giovinetta) e divulgò perfino le sue gesta di campione di scacchi, capace di battere in esibizione il campione russo Bogoliuboff. Ottenuta la rivincita su Hamas e Uzcudum nel 1936, Schmeling si ripresentò in America per mettere k. o. l’emergente Joe Louis il 19 giugno ’36 di fronte ai 42.000 spettatori impietriti dello Yankee Stadium. Il simbolo della Germania nazista sparò una cifra folle per concedere la rivincita, ma fu beffato perché, pur di non portare la corona in Germania, il neo campione dei massimi Jimmy Braddock ignorò i contratti firmati col tedesco e mise il titolo in palio proprio con Louis. Con la corona in testa il Bombardiere Nero potè così prendersi una sonora rivincita su Schmeling mandandolo ko in 2’40’’ nella difesa del 22 giugno 1938 allo Yankee Stadium. Per Schmeling era praticamente finita la carriera sportiva (si ritirò però solo nel ’48, a 43 anni, dopo un breve ritorno post-bellico con 2 sconfitte in 5 match), ma iniziò quella militare. Unico sportivo di nome, fu arruolato di forza nei corpi speciali dell’esercito nazista, rimanendo ferito nella battaglia di Creta. Con i beni confiscati e senza risorse, finì per accettare un impiego con la Coca Cola tedesca. Schmeling continuò anche a fare l’istruttore di boxe, tenendosi in forma fino a 90 anni» (Fausto Narducci,”La Gazzetta dello Sport” 5/2/2005). «(…) protagonista (…) di un episodio definito come”il più significativo incontro di pugilato di ogni epoca” (…) L’incontro che Schmeling ha perduto per k. o. alla prima ripresa contro Joe Louis il 22 giugno 1938 allo Yankee Stadium di New York non è stato un grande match, ma la sua portata storica è ingigantita dall’epoca in cui si è svolto (tra l’Olimpiade di Berlino ’36 e la Seconda Guerra mondiale) e dalle implicazioni politiche e razziali che lo hanno caratterizzato. Dopo che Hitler aveva dichiarato che l’immancabile vittoria di Schmeling, che aveva battuto Louis per k. o. alla 12ª ripresa due anni prima, avrebbe confermato la superiorità della razza ariana, è accaduto che molti americani bianchi abbiano sperato che il tedesco bianco battesse il nero Louis e alcuni abbiano addirittura pianto di rabbia quando il Bombardiere Nero ha abbattuto Schmeling senza che questi scagliasse un solo colpo. Il giudizio su Schmeling va inquadrato in un periodo tra i meno brillanti della boxe, nel quale sono stati campioni del mondo lo stesso Max Schmeling, Jack Sharkey, Primo Carnera, Max Baer e James Braddock, massimi che non reggono il confronto con Jack Johnson, Dempsey, Tunney, Louis, Rocky Marciano, Muhammad Ali e Joe Frazier. Schmeling era abbastanza legnoso nei movimenti, con un buon destro, ma anche abbastanza vulnerabile se è vero che su 10 sconfitte ne ha subite 5 per k. o., ma la storia può anche non tener conto di sterili valutazioni stilistiche. Chi ha cultura storica, ricorda o valuta quel match del 1938 più importante del Johnson- Jeffries del 1910, delle due sfide tra Dempsey e Tunney, della saga Ali-Frazier, del trittico Patterson-Johansson per non parlare dei più recenti Tyson-Holyfield (…)» (Rino Tommasi,”La Gazzetta dello Sport” 5/2/2005).