la Repubblica, 13 gennaio 2008
Biografia di Mura, scrittrice troppo audace per Mussolini
ENZO GOLINO
Non era ancora Liala, la futura regina della narrativa rosa, ma soltanto la ventiquattrenne Amalia Liana Negretti, moglie non felice del nobile Pompeo Cambiasi, ex ufficiale di marina, più anziano di lei, ricco proprietario terriero. Liala, allure aristocratica, a Varese, nel nido coniugale, si annoiava. Un giornalista, amico del marito, le disse – inverno 1921 – che la lettura sarebbe stata un buon rimedio alla noia. Per esempio i libri di Mura, esordiente di successo nel 1919 con il romanzo Perfidie (icona del lesbismo tuttora viva nei siti gay e messa in scena da Paolo Poli) a cui segue Piccola, storia morbosa venata di pedofilia, protagonisti un cinquantenne e una precocissima bambina di nove anni. Mura abitava a Gavirate, distante circa otto chilometri.
Il giorno dopo Amalia Liana acquista i suoi libri, legge subito Piccola, le piace molto. La reazione alla «noia varesina» è immediata. Telefona alla scrittrice, si accordano per vedersi al più presto. Il dialogo è punteggiato da surreali comicità a proposito del mezzo di locomozione: l´automobile, o la carrozza tirata dai cavalli Baietto e Grigin?
Nonostante il clima gelido, la marchesa Cambiasi si copre di pelliccia e, controvoglia, sceglie la carrozza perché Mura – è solo una posa – odia le automobili. Infreddolita, arriva a Gavirate, nessuno sa dove abita. Chiede in giro, riesce a raggiungere la casa, ma il «quasi squallore» della ex cascina le provoca uno smarrimento, avvezza com´è ai «magnifici mobili» delle sue magioni. Mura le viene incontro, «una donna piccolina, un poco formosa, con un grande naso, con poco mento, con bellissimi occhi e un sorriso che non capii se fosse cordiale o inventato».
Così, trascorso più di mezzo secolo, la ormai celebre Liala racconta la visita a Gavirate in una prefazione a Piccola, ristampato da Sonzogno, editore storico di Mura, nel 1976. E rivela inoltre che avrebbe lasciato volentieri Mondadori per Sonzogno, stanca di essere considerata la beniamina del «grande Arnoldo». Firma di punta della Sonzogno, Mura si oppone, vede in Liala una rivale pericolosa. Anni dopo le confesserà l´inutile cattiveria. Insomma, Eva contro Eva...
Ma chi era Mura, pseudonimo scelto con furbizia mediatica sulla scia del clamoroso processo a Maria Tarnowska, accusata di aver istigato un giovane amante a uccidere il marito? Mura era il soprannome dell´imputata ai tempi dell´adolescenza. E sarà il nome d´arte della futura scrittrice. All´anagrafe, Maria Assunta Giulia Volpi nasce a Bologna il 25 ottobre 1892: il padre fa il cameriere e poi a Livorno, dove la famiglia si è trasferita nel 1897, il venditore di generi alimentari. La madre si chiama Alaide Nannipieri, i due fratelli sono Giuseppe (morirà in guerra) e Luigi (coltiverà per tutta la vita il culto di Mura). Ancora un trasloco, a Milano nel 1912: qui Maria Assunta Giulia lavora al Touring Club, collabora a giornali e riviste scrivendo novellette e note di viaggio.
Intanto, sentimenti e professione s´intrecciano nel rapporto con un brillante giornalista che diventerà fra l´altro segretario particolare del Duce e, nel 1939, a conclusione di una singolare esperienza africana, ministro di Stato: è Alessandro Chiavolini (1889-1958), redattore del Popolo d´Italia dalla fondazione (1914). Traduce, scrive. Lui e lei, accomunati nella ditta Alessandro e Mura, pubblicano tre libri per bambini in tre anni, e dopo l´exploit a quattro mani altrettanti lei da sola, assediata dal demone della prolificità che la accompagnerà per sempre.
La grande sirena che attrae Mura è il mercato, il successo di vendite, le rubriche sui giornali, i viaggi. Sonzogno la asseconda, ai vertici c´è Alberto Matarelli, suo amante per anni. Facile passionalità ed enfasi tragica, governate da leziosi artifici e da qualche momento di autentica verità, conquistano i lettori ma sbarrano a Mura – come ad altre scrittrici anche più dotate – l´ingresso in Storie, Antologie, Enciclopedie letterarie (quelle che contano) nemmeno sulla base di valori estetici più articolati. Eppure, quindici anni più anziana, Flavia Steno, pseudonimo di Amelia Ostia Cottini (ma quanti pseudonimi in queste scrittrici!), dichiara nella prefazione al romanzo postumo Camelia tra le fiamme (gennaio 1941) che se qualcuno vorrà studiare la donna italiana nei primi anni del Novecento, devastati da guerre e rivoluzioni, dovrà ricorrere ai libri di Mura.
È il 15 aprile 1930. Sul mensile Lidel, molto sofisticato, Mura pubblica la novella Niôminkas, amore negro. Forse ispirata dalla voga della negritudine che trionfa a Parigi (dove conosce Joséphine Baker), o dai viaggi africani, narra la violenta passione erotica che travolge Sambadù Niôminkas della tribù di Niomi, un ingegnere nero laureato a Firenze (vive a Roma per lavoro, ormai europeizzato) e Silvia Dàino, una giovane vedova del’alta borghesia italiana. Lieto fine il matrimonio. Benché i tempi non siano favorevoli a questo tipo di commistioni etniche, la novella passa inosservata.
Quattro anni dopo Mura riscrive il testo. Nella nuova versione aggiunge la nascita di un figlio e la rottura del matrimonio. Appena si accorge della gravidanza, Silvia rifiuta l´idea del meticciato: si arrende ai tabù razziali prima respinti; si accusa di essere una schiava dominata dai sensi; rigetta con orrore razzista le ascendenze tribali del marito accettate ai tempi dell´innamoramento. Il libro esce con il titolo Sambadù, amore negro, numero 10 della collezione I Romanzi di Novella editi da Rizzoli & C., Milano-Roma, 1934-XII. I disegni sono del triestino Marcello Dudovich (1878-1962), illustratore e cartellonista all´epoca famoso anche per il profilo liberty delle figure femminili.
La copertina, non sua, rappresenta una donna bianca che lascivamente si abbandona fra le braccia di un aitante «negro». l´annuncio degli effetti morbosi che Mura insinua nella scrittura con sapiente alternanza di nero, bianco e altri colori scandita nell´abbigliamento, nei dettagli dei corpi, nelle nudità. Una scala cromatica abilmente calcolata, veicolo di un erotismo espressivo che può avere in parte attizzato la vicenda censoria.
Benito Mussolini trova la pubblicazione inammissibile, qualcuno gli ha fatto vedere la copertina. Maturavano gli eventi che sarebbero sfociati nella campagna d´Etiopia (1935) e nelle leggi razziali (1938). Si scatena un pandemonio burocratico ricostruito da Giorgio Fabre (L´elenco. Censura fascista, editoria e autori ebrei, Silvio Zamorani editore, Torino 1998) con dovizia di documenti. Risultato: sequestro del romanzo, diffida per l´autore dell´illustrazione in copertina, ritiro dalle edicole del quotidiano La Voce di Mantova – 8 aprile 1934 – reo di aver segnalato l´opera «all´ammirazione delle fedeli lettrici».
E non basta. Con una circolare del 3 aprile Mussolini detta alcune norme per inasprire la censura dopo l´episodio «che offende la dignità di razza». Mura è sorvegliata dalla polizia politica. Secondo un informatore, ha incontrato Galeazzo Ciano ma è stata dissuasa «dal chiedere udienza al Duce». Nella delazione spunta anche «il Comm. Chiavolini, invaghito perdutamente» di Mura: la scrittrice «sarebbe in possesso di certe lettere personali» appartenute a Chiavolini «riguardanti alcuni alti gerarchi. Sembra si tratti di lettere di affari non molto puliti che poi la Mura avrebbe commerciato con persone alle quali tali lettere interessavano»... «C´è anche chi narra di vere e proprie scenate che sarebbero avvenute tra questa Signora – di costumi molto discussi – e il Chiavolini».
Patita la vicenda censoria, Mura non molla. Nomade e inquieta, alle prese con amori sbagliati, continua a produrre romanzi, novelle, opere teatrali, la rubrica settimanale Caroselli nel Secolo sera (poi raccolta in tre volumi), la posta con i lettori (l´informatore di turno la definisce «una specie di ufficio di consolazione pubblica») in due popolari riviste, Novella e Lei. Il 12 febbraio 1940 parte da Milano per la Libia. Il fratello Luigi ricorda le sue ultime parole: «Nessuno mi aspetta a Tripoli». Al ritorno, il 16 marzo 1940, un incidente aereo nel cielo di Stromboli mette fine ai suoi giorni. Sepolta a Gavirate, nella cappella di famiglia.
I destini di Mura e di Liala s´incrociano ancora. Sonzogno, l´editore che rifiutò Liala per il veto di Mura, ne ha appena pubblicato un romanzo incompiuto – Con Beryl, perdutamente (317 pagine, 14 euro) – affidando a Mariù Safier, giornalista e scrittrice, il compito di portarlo a termine. Racconta l´amore contrastato fra la bionda diciottenne Marta Gaya (vive sul lago di Varese, studia per prendere il brevetto di pilota, ha un fratello ingegnere ostile alla gente di colore) e il giovane ufficiale congolese Beryl Absul che incontra nell´hangar di Venegono (richiamato in patria, muore in un disastro aereo).
Possibile che Sambadù, amore negro abbia ispirato in qualche tratto Con Beryl, perdutamente? Pur suggestiva, è una domanda superflua: certi stereotipi letterari hanno una durata imperitura. All´improvviso – dopo anni, decenni, secoli di latitanza – riaffiorano sulla cresta dell´attualità sospinti dalla forza delle cose. Radicata in sostrati ancestrali, l´attrazione Uomo Nero-Donna Bianca ritorna nelle cronache odierne sull´integrazione fra immigrati e autoctoni; oppure, nei casi peggiori, in episodi delittuosi. La narrativa di questi anni, e altre espressioni artistiche, non potranno ignorare il fenomeno.