La Stampa, 16 giugno 2015
A destra il voto, per quanto parziale, ha dato un segnale chiaro: gli elettori che furono di Berlusconi, e che alle elezioni europee dello scorso anno avevano dato segno di poter passare con Renzi, sono ancora alla ricerca di una rappresentanza «ideologica». Ma per ora da questa parte c’è solo Salvini
Il renzismo, in breve, può essere descritto così: prima ci si lancia in una corsa solitaria, a rotta di collo, sulle rovine della vita pubblica italiana, nel tentativo di conquistarne quanto prima la vetta; poi dall’alto, mantenendo un equilibrio precario sul cumulo di macerie, si cerca di restaurare alla bell’e meglio il rudere politico. Nella speranza di avviare un circolo virtuoso: più le rovine acquisteranno compattezza, meglio potranno sostenere il leader.
Più solida sarà la posizione del leader, meglio ancora potrà restaurare le rovine – e così via. Ora, se non ha affossato definitivamente il disegno, questa tornata di elezioni locali di certo lo ha visibilmente indebolito: le macerie da oggi sono più mobili, e Renzi corre il serio rischio che il circolo da virtuoso si muti in vizioso. Ossia che i ruderi si sminuzzino a tal punto da renderne impossibile il restauro.
Se così sarà, se il circolo da virtuoso si muterà in vizioso, lo vedremo nei prossimi mesi. Sarà interessante in particolare osservare il destino della più importante fra le opere di restauro, la riforma costituzionale. Nel frattempo acquistano spazio gli avversari del renzismo – gli oppositori interni della sinistra democratica, il movimento di Grillo, e soprattutto le «varie destre». A destra il voto, per quanto parziale, ha dato un segnale chiaro: gli elettori che furono di Berlusconi, e che alle elezioni europee dello scorso anno avevano dato segno di poter passare con Renzi, sono ancora alla ricerca di una rappresentanza «ideologica». Non solo: sospinti dalla pressione dei flussi migratori quei voti, e con ogni probabilità l’intero elettorato italiano, si stanno velocemente spostando sempre più a destra. Solo che riescano a presentare un’offerta plausibile e coerente, così, le forze che si muovono in quell’area possono giocarsela alla pari col Pd di Renzi. Vincere, perfino.
Come affronteranno le varie destre il vastissimo campo politico che queste elezioni paiono aprire davanti a loro? Di seguito provo a dare alla domanda due risposte differenti. La prima si concentra su come «dovrebbero» teoricamente affrontarlo nell’interesse del Paese. La seconda su come a mio avviso lo affronteranno in concreto.
Una destra lungimirante dovrebbe oggi raccogliere due sfide cruciali. Innanzitutto, in collaborazione con una sinistra altrettanto lungimirante, dovrebbe partecipare allo sgombero del cumulo di macerie di cui dicevo prima, e al tentativo di ricostruire una politica minimamente dignitosa e credibile. Da almeno tre decenni ormai la politica italiana è attaccata su molti fronti. Se già trent’anni fa era debole, oggi è, appunto, in rovina. Tanto più che molte delle sue articolazioni interne si sono sconsideratamente alleate con questo o quell’attaccante, illudendosi di poterne approfittare. L’anti-antipolitica insomma, e non certo nel senso banale di anti-grillismo, è l’opera di gran lunga più urgente e importante che possa compiersi oggi in Italia, e soltanto un’ampia convergenza politica sarebbe (forse) in grado di occuparsene. Una destra lungimirante, poi, dovrebbe fare bene il suo mestiere di destra, ossia dare delle risposte realistiche alle domande di destra che salgono dal Paese – sull’immigrazione e la sicurezza, innanzitutto, ma anche sull’economia, o i temi etici.
Queste sfide cruciali, tuttavia, la destra che verrà è molto improbabile che le raccolga. Nel deserto di culture politiche e organizzative che è diventata ormai la politica italiana, e che per ragioni storiche è più sterile e desolato ancora a destra di quanto non lo sia a sinistra, viaggiano bene soltanto i leader leggeri, quelli che cavalcano con perizia il cammello dell’antipolitica e lanciano parole d’ordine semplici. Non sappiamo se questo deserto è una condizione permanente o se è destinato prima o poi a finire: gli elettori si stancano presto dei leader leggeri (è per questo che Renzi si è arenato?), e forse anche questa stanchezza spiega i tassi altissimi di astensione. Certo è, però, che oggi è ancora in quel deserto che ci stiamo aggirando.
Ma se così è, allora la partita a destra è già chiusa: un leader la destra ce l’ha, non prende posizioni particolarmente realistiche, ed è tutt’altro che anti-antipolitico. Si chiama, indovinate un po’, Matteo Salvini. Alla sfida leghista la destra moderata non può rispondere né sul terreno organizzativo, né su quello politico, e tanto meno su quello culturale. Potrebbe rispondere soltanto se riuscisse a trovare un altro leader leggero, che sia anch’egli (o ella) capace di cavalcare l’onda dell’antipolitica e raccogliere elettori intorno a parole d’ordine semplici, e che sia però più centrista. Ma dovrebbe trovarlo in fretta, prima che Salvini si consolidi, cresca ancora, magari cominci a catalizzare al Sud dei notabili coi loro elettorati. Di questo «Berlusconi 2.0», invece, non soltanto non si vede ancora l’ombra – ma non si sa nemmeno da dove potrebbe spuntar fuori. E a oggi, così, la destra italiana è la Lega.