25 maggio 2015
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Biografia di John Nash
Bluefield (Virginia Usa), 13 giugno 1928 – Monroe (New Jersey Usa), 23 maggio 2015. Matematico. Premio Nobel. «Genio e schizofrenia»: così l’ha definito lo psichiatra Oliver Sachs.
• «John Nash e la moglie Alicia sono morti sabato 23 maggio in un incidente stradale nel New Jersey, sbalzati fuori da un taxi che si è schiantato contro un guard rail. Stavano tornando a casa da Oslo, dove il matematico aveva ricevuto la scorsa settimana il premio Abel dalle mani del re di Norvegia. Una morte straordinaria, analoga a quella della principessa Diana, per una coppia straordinaria, che era rimasta unita per più di mezzo secolo nella buona come nella cattiva sorte. Nash, una delle menti più brillanti del secolo, negli anni Cinquanta aveva avuto un inizio sfolgorante di carriera e ottenuto risultati memorabili in aree diversissime fra loro» (Piergiorgio Odifreddi) [Odifreddi, Rep 25/5/2015].
• «La mia esistenza come individuo legalmente riconosciuto è iniziata il 13 giugno 1928» (così l’inizio della sua autobiografia per il Nobel).
• Bambino introverso, scontroso, solitario. Evita i compagni di scuola. Il padre, texano, incoraggia questi atteggiamenti regalandogli libri scientifici. È al liceo che incominciano a emergere le sue doti, vince borse di studio, si iscrive a ingegneria chimica e elettrica, lavora brevemente in un’azienda energetica e si dedica alla sua vera vocazione, la matematica [Bianucci, Sta 25/5/2015]. La madre, Margaret Virginia Martin, prima di sposarsi era insegnante.
• Alla fine del 1949, «fischiettando la sinfonia algebrica che gli risuonava in testa sin da quando - bambino - i maestri lo ritenevano un somaro non comprendendo il suo modo di risolvere i problemi, quel filiforme dottorino bello come un attore aveva modellato la sua teoria: il “teorema dell’equilibrio di Nash”» (Goffredo Buccini) [Buccini, Cds 1/5/2001].
• «Umanoidi» così chiamava gli abitanti del mondo esclusi dal recinto di Princeton.
• All’inizio del 1949 inventò un gioco da tavola che si chiavama Hex: «L’ho fatto per illustrare in pratica alcuni concetti teorici. È un gioco in cui il primo giocatore ha un vantaggio teorico nei confronti del secondo, ma non sa come sfruttarlo in pratica. A Princeton è stato molto popolare al dipartimento di Matematica. Ma quando cercammo di venderlo a un editore, scoprimmo che qualcuno in Danimarca lo aveva già introdotto» (a Piergiorgio Odifreddi) [Odifreddi, Esp 11/5/2008].
• Sempre a Princeton incontrò Einstein. Al quale cercò di illustrare le sue teorie: «Ma lui non aveva molto tempo per ascoltare. Mi disse: “Giovanotto, credo che le farebbe bene studiare un pò di più”».
• La gioventù del genio bello, invadente, detestato per la sua arroganza intellettuale, ma ammirato per la lucidità cristallina delle sue analisi: un matematico capace di risolvere problemi rimasti insoluti per decenni, di trovare soluzioni lì dove gli altri vedono solo problemi: «L’inizio della fase ascendente è il 16 novembre 1949, quando Nash, allora appena ventunenne, pubblica negli atti della National Academy of Sciences un lavoro di una smilza paginetta, senza nemmeno una formula matematica, rivoluzionando la teoria dei giochi e, di conseguenza, parte delle scienze economiche, la teoria delle decisioni razionali e perfino, a tempo debito, la teoria dell’evoluzione biologica» (Goffredo Buccini) [Buccini, Cit].
• Era un matematico puro, ma amava agganciare le equazioni alla concretezza dei problemi fisici. I suoi lavori sono applicabili alla meccanica quantistica, alla diffusione del calore in un metallo, allo scorrere vorticoso dell’aria sotto le ali di un aereo, ai moti turbolenti dell’atmosfera e di altri fluidi comprimibili. La Teoria dei giochi è una matematica che creò quasi dal nulla nel 1949 mentre preparava la tesi di dottorato a Princeton. È adatta a gestire tutte le situazioni di conflitto in cui due o più soggetti debbano prendere decisioni adatte a rendere massimo il guadagno tenendo conto dei meccanismi di retroazione comportati dalle proprie scelte e da quelle dei competitori. La finanza ha trovato nella Teoria dei giochi una razionalizzazione di comportamenti che prima erano abbandonati all’istinto o al caso. Di qui, 45 anni dopo, il premio Nobel [Bianucci, Sta 25/5/2015].
• «Il mio lavoro non fu immediatamente riconosciuto: nemmeno le cose più facilmente comprensibili, come il problema dell’immersione. In seguito si cominciarono ad applicare i miei metodi in altri campi, ad esempio la stabilità del sistema solare con il teorema di Kolmogorov, Arnold e Moser. Anche se quasi subito Arrow e Debreu avevano visto come applicare il teorema del punto fisso di Kakutani nel loro lavoro sugli equilibri dei mercati» (John Nash).
• Dopo una gioventù turbolenta (una relazione con un’infermiera dalla quale era nato un figlio, diverse avventure omosessuali), John sposa, nel 1957, Alicia Larde, conosciuta al Mit di Boston. L’anno dopo nasce il figlio, John Charles Martin.
• Nel 1958 perse la Medaglia Fields con Thom (l’equivalente del Nobel nel mondo dei matematici): «Mah, così si dice. Nel 1962 sarebbe stato più ovvio, ma io ero già disturbato mentalmente. Così la diedero a Hormander: uno svedese, in un congresso in Svezia».
• Nel 1962 la schizofrenia: «Avevo 34 anni. Successe qualcosa che mi portò lontano dalla matematica: incominciai a soffrire. Mi hanno diagnosticato un tipo di schizofrenia molto raro» [Odifreddi, cit]. Primi avvisi nel dicembre del 1959. Nash entra in sala di lettura del dipartimento di matematica sbandierando il New York Times e, davanti ai colleghi sbigottiti, afferma che un articolo della prima pagina è un messaggio cifrato proveniente da un impero extraterrestre che lui avrebbe però decifrato. È così che scopre di essere schizofrenico. Smette di insegnare proprio quando le sue analisi cominciano a essere utilizzate nei campi più disparati: dall’economia alle scienze sociali alla biologia evolutiva. C’è un po’ di Nash nei calcoli degli strateghi della «guerra fredda», ma anche nelle analisi sulla competizione economica, la formazione delle decisioni legislative, le rivalità aziendali [Gaggi].
• «Qualcuno pensa, o almeno dice, che troppa logica fa diventare matti. "Non ho molta esperienza, ma il matematico italo-statunitense Giancarlo Rota ha scritto in un suo libro che i logici effettivamente sono un po’ tutti matti"» (a Piergiorgio Odifreddi).
• A tratti il delirio lo possiede. Gaggi: «Le sue stranezze diventano leggendarie: rifiuta un incarico all’università di Chicago sostenendo che sta per diventare imperatore dell’Antartide. Si sente vittima di una congiura comunista ordita contro di lui da gente in cravatta rossa. Dà a un suo studente una patente di guida intergalattica. Quando un collega gli chiede come un uomo razionale come lui possa credere che gli extraterrestri mandino messaggi attraverso il New York Times , risponde: “Perché queste idee mi sono arrivate nelle stesso modo delle mie intuizioni matematiche. Quindi le prendo sul serio”».
• «Negli anni ’70 non ho lavorato. Negli anni ’80 coltivavo i miei hobbies, dall’informatica ai programmi statistici. Passavo da un’attività all’altra» (John Nash).
• Ricoveri, ospedali psichiatrici e torture: «Si possono interpretare i coma insulinici e gli elettroshock come torture. Ma avvennero appunto in un periodo in cui non avevo un avvocato».
• «Si isolò dal mondo e incominciò a vivere da barbone, aggirandosi come un fantasma nell’Università di Princeton. La moglie divorziò da lui nel 1963, ma nel 1970 lo riprese in casa nonostante la sua condizione, anche se i due si risposarono ufficialmente soltanto nel 2001. Quello stesso anno il film A beautiful mind li rese entrambi celebri come dei divi, ed essi iniziarono a girare il mondo: sempre insieme, e a volte accompagnati dal figlio, schizofrenico come il padre». Poi, senza apparenti interventi medici o chirurgici, torna alla normalità: «La guarigione dalle malattie mentali non sembra essere provocata dalle medicine, e a un certo punto io ho smesso di prenderle. Voler essere sani, questa è essenzialmente la sanità mentale. Dopo essere stato internato ho quindi fatto una specie di compromesso con me stesso, per cercare di comportarmi normalmente».
• «La schizofrenia è un diverso orientamento mentale, tutto qui. S’immagini qualcuno che diventi membro di una setta, seguace d’un culto che non segue gli orientamenti religiosi riconosciuti. Ecco, perdere la mente è credere a cose alle quali altri non credono e che vengono chiamate illusioni, il che non vuol dire essere matti. Si può tornare, uscire a poco a poco da quell’orientamento mentale come da una setta» (John Nash).
• Al risveglio scopre che l’ispirazione è perduta, ma tutti lo trattano da idolo. Il Nobel per l’Economia, conquistato nel 1994 con la sua antica teoria dell’equilibrio, è una vittoria sul male. «Mi ha dato una giustificazione alla vita, una nuova motivazione. E dei vantaggi. E, come ho detto, stanno a sentirmi».
• Nel 1994 vince il premio Nobel per l’Economia. Odifreddi: «Nella teoria dei giochi, il suo massimo contributo è stato l’introduzione della nozione di “equilibrio di Nash”: la situazione in cui si trovano due giocatori che, dopo aver giocato le loro rispettive mosse, non hanno nulla da recriminare, perché avrebbero giocato la stessa mossa anche se avessero saputo in anticipo la mossa giocata dall’avversario. Nash dimostrò al proposito un famoso teorema, secondo il quale in tutti i giochi a due persone si può sempre ottenere un equilibrio analogo. Una situazione descritta inconsapevolmente da Calvino in Se una notte d’inverno un viaggiatore, quando scrisse che “il meglio che si può ottenere nella vita è di evitare il peggio”» [Odifreddi, Rep 25/5/2015].
• Sulla sua vita una giornalista del New York Times, Sylvia Nasar, scrisseun affascinante libro che è stato tradotto anche in Italia, dalla Rizzoli: Il genio dei numeri. Storia di John Nash, matematico e folle. Da quel libro fu tratto un film A beautiful mind (…) La parte dello scienziato maledetto fu affidata a Russel Crowe, il divo del momento.
• Sul film dirà: «Io veramente preferirei l’incognito. Ma la malattia mentale di un premio Nobel può attirare la gente, lo capisco. E io non sono miliardario, almeno la mia famiglia avrà i diritti sul film».
• «Il Fantasma ha lunghe mani ossute, che si tormenta di continuo. Una vecchia giacca di tweed in cui le scapole annegano un po’. Occhi acquosi e molto mobili, che non riescono a fissarsi in quelli dell’interlocutore. Una grande lavagna nera dietro le spalle, fitta di formule e di equazioni, dove da anni traccia con grafia incerta soltanto i piccoli algoritmi della vita quotidiana, registrando appuntamenti, l’argomento di qualche conferenza. “Sempre lo stesso argomento e la stessa conferenza, in fondo, che ripeto molte volte. Sì, viene gente a sentirmi, adesso, tanti studenti. Ma se nel 1994 non mi avessero dato il Nobel, nessuno verrebbe, nessuno mi ascolterebbe, lo so”, dice. La sua stanza nel dipartimento di Matematica, la 910, al nono piano di Fine Tower, è uno stambugio polveroso di venti metri quadrati, con tre poltroncine sdrucite e una libreria vuota, riscattato da una finestra che s’affaccia sui prati di Princeton illuminati dalla primavera del New Jersey» (Goffredo Buccini) [Buccini, Cds 1/5/2001].
• Era un uomo riservato e schivo, quasi impaurito dai contatti umani e con qualche difficoltà ad affrontare le situazioni normali della vita: paradossalmente, per eccesso di razionalità.
• «Un episodio divertente successe al Quirinale nel 2009, quando portammo cinque premi Nobel e una medaglia Fields in visita al presidente Napolitano. Una sua domanda di cortesia scatenò una specie di miniconferenza ai massimi livelli, alla quale Nash partecipò con alcune delle sue osservazioni spiazzanti, fino a quando il presidente la concluse diplomaticamente dicendo: «Be’, ci avete fatto una bella lezione!» [Odifreddi, Cit]
• «L’ultima volta che l’ho visto è stata il 30 settembre del 2013 a Bergamo, per una conferenza di nuovo organizzata dall’Iseo. Passammo una giornata con lui e l’amico Gianfranco Gambarelli, un teorico dei giochi che l’ha a sua volta invitato parecchie volte in Italia. Parlammo della lettera che Benedetto XVI mi aveva inviato, e quando tornò a casa mi inviò una mail nella quale paragonava il papa a San Nicola e me a Thomas Huxley, il “mastino di Darwin”, dicendo che non potevo vincere quel genere di disputa, ma che «la situazione sembrava colorita e stimolante» (Piergiorgio Odifreddi) [Odifreddi, Rep 25/5/2015].
• Racconta Piergiorgio Odifreddi che una volta Nash andò ad accoglierlo alla stazione del treno che porta da New York a Princeton. Guidando, Nash anticipava verbalmente ogni gesto: ora giro a destra, ora mi fermo al semaforo e così via. Come se si desse degli ordini e avesse paura, all’improvviso, di trasgredirli. Nel suo destino c’era un incidente d’auto. Ma non per colpa sua [Bianucci, Sta 25/5/2015].
• Religione «Ho cambiato varie volte idea, quand’ero mentalmente disturbato. Si rischia di uscire di testa pensando troppo alla religione, soprattutto se si fa della scienza e si cerca di tenere fede e ragione in compartimenti separati. Un’osservazione elementare, però, è che le varie religioni sono logicamente incompatibili fra loro: non possono dunque essere tutte vere».
• «Quando era malato io mi vedevo come un grande profeta o un messia. Gesù Cristo è un tipico esempio di pensiero illusorio: ce ne sono molti nei manicomi».
• «C’è una mistica dei numeri, dalla quale a volte mi sono lasciato anch’io trascinare. Un musulmano mi ha mandato un libro in cui si cerca di mostrare che nel Corano c’è una struttura numerica nascosta, basata sul numero primo 19. Poi c’è il codice della Bibbia, che permette di ritrovare riferimenti a cose già accadute, benché mai profezie di cose che devono ancora accadere: non sarebbe male, trovare una vera profezia!».
• Politica «La politica è uno spreco di energia intellettuale».
• Malattia «Scriverò di come si vive in una mente malata quando sarà il momento giusto per farlo, ma probabilmente avrò l’Alzheimer e non ricorderò più ciò che dovrei raccontare».