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 2015  aprile 10 Venerdì calendario

Biografia di Claudio Giardiello

  Benevento, 6 marzo 1958. Da un pezzo residente in Brianza «dove faceva il piccolo costruttore e il piccolo furbacchione (fondi neri da spartirsi, intrecci probabilmente inutili di società eccetera), però bella presenza, però anche carattere incazzoso e prepotente (“ingestibile”)...» [1]. La mattina di giovedì 9 aprile ha sparato all’interno del Palazzo di Giustizia di Milano. Ha ucciso due persone sul colpo, uno è morto all’ospedale, altri due sono rimasti feriti. [2]
Questa la ricostruzione: intorno alle 9 e 20 Giardiello, giacca e cravatta, borsa di cuoio al fianco, si reca al tribunale per l’udienza che lo riguarda: bancarotta fraudolenta della «Immobiliare Magenta srl», vendita e ristrutturazione di appartamenti, dalle cui casse sono spariti 2 milioni e 800mila euro prima del crack finanziario. Giardiello nell’entrare imbocca l’ingresso in via Manara, ingresso secondario riservato agli avvocati, dove non ci sono controlli particolari né metal detector, basta mostrare ai custodi un tesserino. Giardiello mostra infatti un tesserino - come si vede dalle telecamere – ed entra tranquillamente portandosi dietro la sua Beretta calibro 98 più due caricatori pieni. Poi sale al terzo piano, si sistema tra il pubblico e segue la causa che lo riguarda. Alle 10, nell’aula al terzo piano, mentre il processo va avanti, battibecca a bassa voce con il suo avvocato, Michele Rocchetti: «Una domanda sulla bancarotta del 2007 gliela potevi fare...». L’altro conclude: «Basta! Rinuncio al mandato! Venga lei a difendersi!». Poi entra l’avvocato Lorenzo Alberto Claris Appiani, 37 anni, che a suo tempo aveva rinunciato ad assisterlo e avrebbe dovuto rendere testimonianza sulla vicenda della bancarotta fraudolenta (le sue ultime parole sono state: «Non ho nessun problema a testimoniare, nella vita bisogna essere coraggiosi»). Appiani si siede al centro della stanza, sta per giurare. Giardiello è ormai fuori di sé: si alza e spara a due suoi vecchi soci: Davide Limongelli, 41 anni, che è anche suo nipote, e Giorgio Erba, 59 anni. Li prende al petto e all’addome (Limongelli si salva dopo un’operazione, Erba muore poco dopo in ospedale). Poi punta l’arma verso Appiani e spara anche a lui: due colpi al cuore (muore subito). Tutti gli altri si gettano a terra terrorizzati o fuggono. Mentre nel Palazzo di Giustizia si cerca di capire cosa stia accadendo, Giardiello scende al primo piano, riconosce Stefano Verna, 50 anni, commercialista, in passato incaricato di fare approfondimenti sulla «Magenta Srl» e gli spara a una gamba. Sale poi al secondo piano, percorre un corridoio e imbocca sicuro la stanza 250: Fernando Ciampi, 71 anni, giudice fallimentare prossimo alla pensione, che in passato si è occupato delle disavventure finanziarie di Giardiello, è seduto alla sua scrivania, una collaboratrice lo sta aiutando per un piccolo guasto al computer. Giardiello spara due colpi, il giudice si accascia senza vita. Poi, nella confusione generale, esce, sale sul suo scooter Suzuki e se ne va. [3]
 
Mezz’ora dopo, intorno a mezzogiorno, i carabinieri l’hanno acchiappato a trenta chilometri di distanza, a Vimercate, presso un centro commerciale che si chiama Torri Bianche. Secondo i militari era andato fin lì con l’intenzione di ammazzarne un altro, Massimo D’Anzuoni, ex socio. [4]
Quando l’hanno preso Giardiello avrebbe mormorato: «Volevo vendicarmi di chi mi ha rovinato». Durante il primo interrogatorio s’è sentito male, hanno dovuto trasferirlo al Pronto soccorso di Vimercate. Lì hanno continuato a fargli domande, ma si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il suo avvocato, Nadia Savoca, ha detto che è sotto shock e sedato. [5]
 
Franco Bechis: «Quel piano di sangue e vendetta deve essere maturato in Giardiello piano piano dopo quel che era accaduto nei primi mesi del 2008. Un fallimento dietro l’altro del piccolo gruppo immobiliare che aveva messo insieme a parenti e amici. Il nove gennaio di quell’anno fallisce la Cesip spa, dove il dominus era lui anche se il socio principale era D’Anzuoni. Il 13 marzo fallisce l’Immobiliare Magenta, che Giardiello aveva fondato nel 1994 nell’omonimo corso milanese, detenendone il 55%. Gli altri soci erano il mipote Limongelli (30%) e Giovanni Scarpa (10%). Due anni prima era stata chiusa un’altra piccola società controllata, la Miani immobiliare che però non ha portato i libri in tribunale. Era per altro proprio dal 2006 che il Tribunale di Milano aveva un occhio puntato su quel piccolo gruppo immobiliare, e quell’anno aveva provveduto in due riprese a sequestrare le azioni di Giardiello e dei suoi due soci. Poi è arrivato il fallimento, che aveva come giudice delegato Filippo D’Aquino e come curatore un professionista assai noto a Milano, Walter Marazzani. Parte anche il procedimento penale, che porta all’accusa di bancarotta fraudolenta, perchè si scopre la distrazione di fondi da parte degli azionisti e la creazione di una contabilità occulta con ingente nero fra le tre società collegate: la Magenta, la Cisep e la Miani (che era controllata al 25% dalla Magenta). Fra tutti i soci ci sarebbe stato un patto di spartizione di quel nero, che derivava dalle somme non dichiarate nelle transazioni immobiliari. Come spesso capita, fra loro hanno iniziato presto a litigare sul pattuito. A quel punto fu proprio Giardiello a denunciare i soci, svelando al tribunale di Milano l’esistenza di quella contabilità occulta. Ma gli altri hanno negato e si sono alleati contro di lui, sostenendo la tesi che fosse l’inventore di quel sistema illegale che aveva portato al fallimento di tutte le imprese. Prima hanno cercato di risolvere fra loro la contesa, e agli atti del processo c’era anche un documento con le ipotesi di spartizione fra i protagonisti (dove l’assassino veniva chiamato il «conte Tacchia» e il nipote Limongelli «il Marchesino» per nascondere la vera identità). Ma Giardiello pretendeva di più, e alla fine l’accordo saltò, e tutti si trovarono contrapposti in tribunale. Lui si è convinto che gli altri lo avevano truffato, e che anche i suoi legali lo avevano tradito, offrendogli consigli transattivi che ai suoi occhi avrebbero alla fine favorito le persone che ormai odiava. Così ha odiato e assassinato anche il suo legale, ieri. E anche i magistrati che si sono occupati del caso durante gli anni: il giudice assassinato a dire il vero era arrivato alla fallimentare un anno dopo quel fallimento, dal 19 giugno 2009, ma ha retto anche l’ufficio temporaneamente nei mesi più critici di quella vicenda. In verità quei fondi neri erano ormai bruciati, tanto è che proprio il 9 marzo scorso è stato depositato il prospetto di riparto del fallimento della Magenta. Ammessi creditori privilegiati per 361 mila euro e chirografari per 2,5 milioni di euro. In cassa c’erano disponibilità liquide per appena 284 mila euro, più circa 60 mila euro derivanti da un accordo transattivo del tribunale con Unicredit leasing. Un buco da circa 2,2 milioni di euro che avrebbe pesato soprattutto sul destino di Giardiello. E che ha scatenato il piano omicida [...]. [6]
 
 
L’inchiesta, condotta dalla Procura di Brescia (che è competente sulle indagini relative al tribunale di Milano), dovrà chiarire il nodo dell’ingresso di Giardiello dentro il tribunale. [7] Guastella: «Quattro ingressi, tre dei quali dotati di un metal detector e di un apparecchiatura a “raggi x” per le borse, vedono transitare ogni giorno un flusso stimato in cinquemila persone, tanti quanti gli abitanti di una piccola cittadina italiana, che in un via vai continuo affollano una struttura pensata negli anni Venti per sopportare un carico giudiziario enormemente inferiore. A controllare questa marea di gente, in cui non mancano certo persone poco raccomandabili, ci sono appena 16 guardie giurate per turno, di cui solo alcune armate. A Claudio Giardiello, che in tasca aveva una pistola, è bastato un tesserino falso per bucare con una tragica facilità questo sistema di sicurezza minimalista, uccidere tre persone, ferirne altre due ed uscire indisturbato dopo aver sparato qualcosa come 13 colpi di pistola in ben tre diverse zone del Palazzo di Giustizia di Milano». [8]
Berizzi: «Fino a luglio il metal detector, nell’ingresso riservato a pm e avvocati, c’era. Ma si rompeva in continuazione, creava file lunghissime, e alla fine l’hanno tolto. Un uomo della sicurezza: “Non è una strage annunciata. Ma si poteva immaginare. Il fatto che da quell’ingresso adesso entri solo chi ha il tesserino, non rende quell’ingresso più sicuro, anzi. Quando hai 4 mila mila persone che si presentano a una porta a passo svelto dalle 7.30 alle 15, senza sosta, la “prova del tesserino” non è il massimo livello di guardia possibile”. [...] Dalle 10 alle 12 mila persone entrano ogni giorno nel Tribunale. In media: 2,5-3 mila per ogni ingresso. Ogni ingresso è presidiato da quattro vigilantes. Uno solo è armato. Ognuno dei quattro metal detector distribuiti sui tre ingressi necessita di due addetti: uno controlla il monitor, l’altro cura la persona al passaggio sotto l’archetto. È questo il sistema di sicurezza di Palazzo di Giustizia. Poteva essere ritenuto adeguato? Quanto non lo era? E soprattutto: perché scoprire un ingresso aprendo quello che si è trasformato in un buco da cui far scorrere il sangue?» [9]
Lerner: «È scandaloso, si è giustamente denunciato, che Claudio Giardiello sia potuto entrare in Tribunale armato di pistola, eludendo con facilità il controllo dei metal detector. Ma è addirittura incredibile che dopo aver sparato numerosi colpi di pistola, quando avrebbe dovuto scattare un collaudato servizio di sicurezza, mentre centinaia di persone sciamavano in preda al panico, l’assassino abbia potuto andarsene via indisturbato a bordo della sua moto. Bravi i carabinieri che lo hanno intercettato a chilometri di distanza. Ma chi avrebbe dovuto bloccare subito le uscite, e fare filtro per evitare che tra i fuggiaschi potessero confondersi il killer o chissà quali altri attentatori, si è rivelato vergognosamente inadeguato. Ieri Milano non ha assistito solo alla morte assurda di tre innocenti, tra cui un giudice che stava amministrando la giustizia in nome dello Stato. La città dell’Expo ha anche evidenziato davanti al mondo di trovarsi in balia — in uno dei suoi punti nevralgici — di chiunque progetti nei prossimi mesi di seminarvi il terrore» [10]
Giardiello «era arrivato con la famiglia dalla provincia di Benevento, poi aveva cominciato a fare e disfare società, ramo edilizia. Suo nipote, che lavorava con lui, lo considerava un genio, una macchina da soldi. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per seguirlo. Poi litigarono, Giardiello gli attribuì colpe che non aveva, e ieri in Tribunale è il secondo a cui ha sparato. Davide Limongelli è rimasto solo ferito, per quanto le sue condizioni siano gravi. Non erano del tutto puliti gli affari del loro giro. Avevano fatto costruire parecchie palazzine nella zona di Villasanta, vicino all’autodromo di Monza. Le vendevano a prezzi concorrenziali, poi però si facevano dare un’altra cospicua somma in nero. Per dividersi i soldi fuori bilancio avevano fatto una scrittura privata: erano cinque soci e ognuno si era attribuito un nome di battaglia. Giardiello, ispiratosi a un film con Montesano, era “Conte Tacchia”. Giorgio Erba, ucciso pure lui nell’aula della Seconda Penale, era “il Comandante”. Il nipote Davide “il Marchesino”. Erano tempi di vacche grasse e divertimenti. Belle auto, belle case. Giardiello era sposato con Anna Siena, due figli. Vivevano a Brugherio, fra Monza e Arcore. Poi quando gli affari hanno cominciato ad andare male, il matrimonio è andato a farsi benedire. Lui era andato a stare a Garbagnate e la moglie adesso è terrorizzata per le conseguenze che questa storia potrà avere sui figli: “Non immaginavo che fosse disperato al punto da fare una cosa così”». [11]



In meno di otto anni aveva cambiato cinque avvocati. «Non stava mai ad ascoltare i consigli». In un paio di casi sono stati loro a dargli il benservito, depennato alla voce «clienti impossibili». [11]
 
Lerner: «Aspettavamo il terrorista islamico e invece è arrivato il Conte Tacchia a seminare la morte nel centro di Milano, umiliando i servizi di sicurezza di una metropoli che sta preparandosi niente meno che all’Esposizione Universale. Scartata la matrice jihadista — intorno alla quale, per colmo di beffa, stavano discettando il ministro Alfano e il prefetto riuniti proprio lì vicino al Tribunale nell’altisonante Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico — si era pensato in alternativa a un episodio di sociopatologia da disagio metropolitano: sono migliaia nell’hinterland milanese gli uomini di mezza età che dopo aver perso il lavoro entrano nel tunnel della malattia mentale e devono ricorrere a cure psichiatriche. C’era il precedente del disoccupato Luigi Preiti che per vendetta due anni fa aveva sparato a un carabiniere davanti a Palazzo Chigi. Un altro squinternato pochi giorni fa ha esploso colpi di pistola davanti al Tribunale di Reggio Calabria. Invece niente di tutto questo. Il pluriomicida Claudio Giardiello sembra spuntato piuttosto dalla sceneggiatura del film Il capitale umano di Paolo Virzì. Somiglia maledettamente all’immobiliarista spiantato Dino Ossola, che nel film è interpretato da Fabrizio Bentivoglio, un arrampicatore disposto alla truffa pur di ascendere fra i nuovi ricchi della Brianza. Proprio come Giardiello [...] Non possiamo neppure tirare in ballo la grande crisi immobiliare, visto che la storiaccia dei soldi spartiti in nero fra i soci della Magenta risale al 2008. Evasione fiscale maldestra, con protagonisti degni dei soprannomi che si erano attribuiti da soli: Conte Tacchia, Tinto Brass, il Marchesino, il Predatore. Non fosse una tragedia, ci sarebbe da ridere e da farci un altro film di genere brianzolo, nonostante le polemiche suscitate da Il capitale umano in quella provincia che si sentì diffamata». [10]
Fonti: [1] Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 10/4; [2] Tutti i giornali del 10/4; [3] Tutti i giornali del 10/3; Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 10/4; Fabio Poletti, Sta, 10/4; Sandro De Riccardis, Rep., 10/4; [4] Tutti i giornali del 10/4; [5] Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 10/4; Repubblica.it 10/4; [6] Franco Bechis, Libero 10/4; [7] Repubblica.it 10/4; [8] Giuseppe Guastella, Cds 4/10; [9] Paolo Berizzi, Rep., 4/10 [10] Gad Lerner, Rep., 4/10; [11] Renato Pezzini, Il Messaggero 10/4.