Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 16 Lunedì calendario

Demografia, la retromarcia dell’Italia. Una popolazione sempre più vecchia. Nascite in calo, anziani in aumento e meno appeal sugli stranieri

Una società sempre più anziana, con figli che si temporeggia a mettere al mondo e i residenti giovani che se ne vanno senza che il conteggio finale sia pareggiato da arrivi e rientri. In compenso, nella speranza di vita, si è accorciato il divario di genere e gli orizzonti di sopravvivenza si sono spostati più in là. Non è incoraggiante l’ultima foto demografica scattata dall’Istat. Una tendenza all’invecchiamento del capitale umano che va tenuta (e per tempo) in adeguata considerazione nella pianificazione del bilancio pubblico e nei progetti di rilancio del Paese. Tanto più che la spesa sanitaria e assistenziale è già sotto pressione, il mercato del lavoro è in contrazione e il sistema previdenziale è costantemente sotto revisione e in fragile equilibrio.
Il record più allarmante segnato nel 2014 riguarda le nascite: poco più di mezzo milione i neonati (-5mila rispetto al 2013), il dato più basso dall’Unità (in Italia nel 1861 c’erano infatti circa 26 milioni di abitanti, ai confini attuali, e i nati allora si aggiravano sul milione). I decessi invece sono stati quasi 600mila nel 2014 (-4mila rispetto al 2013), cosicché il saldo naturale ha chiuso ancora una volta con il segno negativo (-1,4 per mille) e ha allargato la forbice tra nati e morti (da -7mila unità del 2007 a -86mila nel 2014).
Anche le straniere (diversamente dal passato) non hanno dato una mano alle culle, benché procreino in media quasi un figlio in più rispetto alle italiane (il loro tasso di fecondità totale è pari a 1,97 contro 1,31 ma si attestava su 2,65 nel 2008). «Va sfatata l’idea che la popolazione immigrata possa magicamente risolvere il problema della bassa natalità – osserva Gian Carlo Blangiardo, professore di Demografia dell’Università di Milano Bicocca -. Il suo comportamento riproduttivo si sta allineando a quello della componente italiana e la soglia dei due figli a coppia (in media) non è più garantita neppure dagli stranieri». E pure l’innalzamento dell’età media al parto non contribuisce a dare nuova linfa alla popolazione: dai 30 anni del 1999 ora siamo a 31,5.
Un paese di vecchi, più che per vecchi? La conferma viene anche dagli indici sulla speranza di vita e dai rapporti tra fasce d’età. Un bambino che nasceva nel 1974 aveva di fronte a sé un orizzonte medio di sopravvivenza di 69,6 anni, una bambina sei anni in più, 75,9. Uomini e donne nati nel 2014 procedono più lontano (ma anche più “vicini”) nel processo di allungamento della sopravvivenza: per gli uomini si è superata la soglia degli 80 anni di vita “attesa” e per le donne siamo quasi a 85.
Quanto alla composizione della popolazione, ecco che l’indice di vecchiaia (il rapporto percentuale tra over 65 e under 15) è salito di oltre 30 punti, da 126,6 del 2000 a 157,3: ogni cento giovani ci sono quasi 160 anziani. Non meglio è andato l’indice di dipendenza, che rapporta la popolazione in età non attiva (under 15 e over 65) a quella in età lavorativa (15-64 anni): in tre lustri è salito di sette punti, da 48 a 55,2, a indicare un peggioramento del carico sociale fortemente spinto dalla crescita della componente più anziana.
I dati statistici aggiungono che l’Italia perde smalto anche nei flussi internazionali. Nel 2014 – complice la difficile congiuntura – se ne sono andati 48mila stranieri e 91mila italiani, in totale circa 140mila persone (un 10% in più rispetto al 2013). Gli arrivi di stranieri sono stati 255mila (-9% rispetto al 2013), mentre i rientri di italiani in patria appena 26mila (-7,3% rispetto a un anno prima). Se il saldo migratorio con l’estero resta quindi positivo per circa 142mila unità è grazie soprattutto alla componente straniera, e in particolare al fenomeno dei ricongiungimenti familiari. Un risultato che non impedisce comunque al tasso migratorio di scendere al 2,3 per mille, il livello minimo degli ultimi cinque anni.
«Al di là del dibattito sugli sbarchi – commenta Blangiardo – oggi l’immigrazione dal punto di vista della mobilità tradizionale, dettata cioè da motivi di lavoro, è meno rilevante rispetto al passato. L’Italia non si presenta più come un Paese attraente per chi cerca un’occupazione e gli stranieri tendono a ridistribuirsi sul territorio europeo se non addirittura a tornare nei Paesi d’origine. Ma quel che è più preoccupante è la forza espulsiva nei confronti di giovani italiani, i quali in genere sono dotati di un alto livello di formazione e spesso si vedono costretti a cercarsi un futuro altrove. C’è un’incapacità allarmante di valorizzare un patrimonio di risorse rispetto al quale si è investito, anche molto, in formazione».
Alla fine – tra scarse nascite, minori decessi, allungamento della vita, calo dell’appeal – nella foto 2015 dell’Italia si contano più o meno gli stessi residenti dell’anno prima: 60 milioni e 808mila persone (+0,04%, il livello di crescita più basso degli ultimi dieci anni), ma con una decisa tendenza all’invecchiamento. «Senza contare l’onda di piena che, originatasi negli anni 60, tra 10-15 anni andrà a ingrossare la platea degli over 65 – osserva ancora Blangiardo -. A questi si aggiungeranno gli “anziani importati”, la componente degli stranieri nati altrove ma residenti in Italia e destinati a invecchiare presso di noi: è impensabile che tornino nei Paesi d’origine proprio nell’età in cui maggiormente avranno bisogno di un sistema assistenziale e sanitario che è e sarà comunque più efficiente che altrove».
Per evitare che peggiorino le conseguenze della mancata crescita demografica occorre dunque una terapia d’urgenza. «Due sono le possibili linee di intervento. Da un lato è necessario ringiovanire la popolazione dal basso della piramide dell’età: occorrono almeno 250mila nascite aggiuntive all’anno per mantenere il Paese stabile sui 60 milioni di abitanti. Il rilancio della natalità significa aiutare i progetti di fecondità di chi vuol fare figli. Occorre di fatto avviare le misure di quel Piano per la famiglia che pure esiste e che, da anni, attende attuazione concreta – conclude Blangiardo -. Dall’altro lato occorre gestire la situazione attuale, ossia contenere gli effetti problematici derivanti dall’invecchiamento, favorire la potenzialità delle persone anziane, creare le condizioni perché i meno giovani siano ancora disponibili a essere produttivi, magari attraverso incentivi di gratificazione, come già avviene nel “sentirsi utile” per chi opera nel volontariato, ma anche con interventi di incentivazione di tipo economico, ad esempio sul fronte della tassazione e dei contributi».