L’Europeo, 17 febbraio 2015
Tags : Articoli di Oriana Fallaci
Caro direttore ti devo parlare di Richard Nixon (articolo del 1968)
CARO DIRETTORE, devo parlarti di Richard Nixon perché sono stata alcuni giorni con lui e... Tu sai bene che l’uomo non è mai stato il mio principe azzurro. Però mi avevano detto che il Nixon 1968 era un nuovo Nixon e come potevo resistere alla tentazione di seguirlo? Poteva anche darsi che gli sentissi dire «non voglio più bene al generalissimo Francisco Franco» oppure «basta con le differenze razziali». La psicanalisi fa miracoli, a volte. E, mi avevano detto, il miracolo del nuovo Nixon si deve alla psicanalisi. Ricorderai che dopo la sconfitta subita nel 1960 a opera di John F. Kennedy, al povero Nixon non gliene andò più bene una. Si presentò candidato a governatore della California e perse clamorosamente. Cercò la nomina del Partito repubblicano per battere Lyndon B. Johnson, e gli preferirono Barry Goldwater. Sicché alla fine decise di recarsi da uno psicanalista e sapere cosa vi fosse di sbagliato in lui. Lo psicanalista gli disse quel che c’era di sbagliato in lui (il che richiese moltissimo tempo) e Richard Nixon uscì dalle sue mani completamente cambiato. Ciò gli permise: 1) di tornare alla professione legale e fare un mucchio di soldi in Wall Street; 2) di essere scelto come candidato alle elezioni del prossimo autunno. Così saltai su un aereo e mi recai a Santa Barbara, in California, dove Nixon stava tenendo la campagna elettorale e dove ebbi la mia prima sorpresa. Era sabato e il sabato, come la domenica, il signor Nixon non si fa vedere: riposa. Il suo dottore esige così. Affinché non si stanchi. Per la stessa ragione il suo dottore esige che riposi altri due giorni dopo avere lavorato tre giorni e ciò significa che, dopo aver riposato il sabato e la domenica, lavorato il lunedì, il martedì e il mercoledì, il signor Nixon riposa il giovedì e il venerdì. E se il signor Nixon riposa quattro giorni su sette ora che è candidato, che diavolo farà quando sarà presidente? Comunque sia, continuò a riposarsi non fino a domenica sera ma fino alle sei di lunedì pomeriggio, ora in cui giunse alla base militare aerea di El Toro per darmi una seconda sorpresa: la sua paura d’essere ucciso. Mi rendo conto che quanto a fucilate, i leader americani sono più sicuri in Vietnam che negli Stati Uniti. Però tutti quelli che hanno ammazzato negli ultimi anni – John Kennedy, Robert Kennedy, Malcolm X, Martin Luther King – appartenevano all’altra parte della barricata. Se fa così ora, che diavolo farà da presidente? Passeggerà dentro uno scafandro a prova di bomba? Terrà una guardia del corpo nel letto? Io quando mi trovai sotto gli occhi quelle decine e decine di agenti del servizio segreto rimasi di sasso. Poi l’aereo di Nixon atterrò, Nixon ne scese, essi formarono come una nuvola intorno a lui, e attraverso quella nuvola vidi, per la prima volta nella mia vita, il quasi-certo futuro presidente degli Stati Uniti. Fammi subito dire che le fotografie e la televisione lo aiutano molto: visto da vicino, non dice nulla di buono. Tanto per cominciare, ha quella faccia tutta spostata a destra come se gli avessero sbattuto sopra un’usciata. Poi assomiglia a un commissario sovietico. Sul serio: c’è qualcosa in comune tra lui e i capi russi cui è sempre piaciuto, del resto. La sua ineleganza, ecco, la sua camminata pesante, la sua gelida consapevolezza di poter fare di te ciò che vuole: democrazia o no. Guarda, mi venne addosso un nervoso che mi girai subito verso sua moglie, a proposito della quale non saprei cosa dire. Fuorché questo: anche a lei le fotografie giovano molto. L’unica cosa che ti colpisce in lei è l’orchidea che porta sulla spalla sinistra: un’orchidea grossa come un cavolfiore. Qualcuno deve averle detto che l’orchidea fa la signora. Le donne dicevano: «Isn’t she an elegant lady?». Non è una dama elegante? C’erano molte donne ad attenderli, per lo più mogli degli ufficiali di El Toro. S’erano portate i bambini e li porgevano a Nixon: perché li baciasse. Poi, quando n’ebbe baciati abbastanza, salì su un’auto blindata e partì: per recarsi a scambiare le idee con il suo amico, il banchiere Charles Gregory "Bebe" Rebozo.
Ma che c’è di nuovo nel nuovo Nixon? Bebe, che gli americani pronunciano Bibi, è un banchiere di origine cubana i cui interessi nell’America Latina sono forti quanto la sua influenza in Wall Street. Forse per questo non molla mai Nixon e Nixon non molla mai lui: dove vedi l’uno, c’è l’altro. L’opinione di tutti è che, se Nixon andrà alla Casa Bianca, Bebe detto Bibi diverrà per lui ciò che Theodore Chaikin Sorensen e Arthur Schlesinger junior erano per John Kennedy. L’ho conosciuto, sai, me l’hanno presentato. Ha due occhi spietati. I giornalisti che lo conoscono bene sostengono che è crudele. Se un giornalista scrive male di Nixon, Bebe detto Bibi corre a dargli la mano e gliela stringe così: con la sinistra gli cerca i nervi del polso e li schiaccia, con la destra gli afferra le dita e le piega all’indietro, finché il disgraziato urla di dolore. Io non ci credo, intendiamoci : ma sembra che una volta lo abbia fatto anche a Nixon, per punirlo di uno sbaglio.
COME SAI, Nixon ha due figlie: Julie e Tricia, entrambe in età da marito. Julie è già a posto, graziaddio, perché fidanzata sin dalla più tenera infanzia con un nipote di Dwight D. Eisenhower che presto sposerà (il 22 dicembre 1968, ndr). Tricia invece non è fidanzata, il che è una preoccupazione. Un giorno Nixon le chiede: «Ma non ce l’hai un ragazzo, Tricia?». E Tricia sospira, risponde che ce l’aveva, ma l’ha lasciata. «Per chi?». Per nessuna, risponde Tricia, per andarsene volontario in Vietnam. Passa un po’ di tempo e Nixon le chiede: «Tricia, che ne è di quel ragazzo in Vietnam?». Tricia sospira e risponde: «Ma pensa papà, sembra che vi sia morto». Esclamazioni di sorpresa, dolore, e poi proprio in quei giorni la rivista McCall’s chiede a Nixon un articolo su I nostri ragazzi in Vietnam. Nixon accetta e cosa ti mette insieme? Proprio la storia del ragazzo di Tricia. La redige anche benino. Questo ragazzo che non scrive più dal Vietnam, mentre Tricia piange. Questo ragazzo che alla fine muore, mentre Tricia piange. Piangono anche alcune decine di milioni di americani leggendola: avresti pianto anche tu, direttore, perché era commovente davvero. E tale resta fino al giorno in cui McCall’s riceve una letterina di questo ragazzo: con l’ingiunzione che sia pubblicata. Il signor Nixon, dice il ragazzo, deve aver preso un abbaglio. O deve esser stato male informato da Tricia. Perché non solo lui è vivo: in Vietnam non ci è mai andato e non ci andrebbe nemmeno se ce lo mandassero a calci. Tricia smise di vederla, è ben vero: ma perché gli piaceva più un’altra che ora ha sposato e con la quale è felice. (Nel 1971 Tricia Nixon sposò l’avvocato Edward F. Cox, oggi a capo della segreteria repubblicana dello Stato di New York, ndr). Dopo il colloquio con Bebe-Bibi Rebozo, ritrovai Nixon a Yorba Linda: il sobborgo di Los Angeles dove nacque 56 anni fa. Un mucchio di gente era lì ad attenderlo, in massima parte massaie con i bigodini in testa e i pargoli in braccio. C’erano anche alcuni ragazzi come il ragazzo di Tricia, però alzavano cartelli con la fotografia di Eugene McCarthy (candidato alle primarie democratiche, si batté per il ritiro dal Vietnam, da non confondere con l’ultraconservatore Joseph, ndr). Uno agitava un foglio sul quale era scritto: «Nixon? Humphrey? Wallace? Sono contento di non aver 21 anni». (Hubert H. Humphrey, democratico, e l’indipendente George C. Wallace furono gli sfidanti di Nixon alle presidenziali del 1968, ndr). Con ciò alludendo al fatto che non poteva votare perché in America non si vota fino a 21 anni. Vorrei proprio sapere se Nixon lo vide quel foglio. Ma forse era troppo occupato a narrare dei giorni in cui abitava a Yorba Linda e sognava orizzonti più vasti, o dei giorni in cui sua moglie era maestra di scuola a Yorba Linda e vinse un maiale in premio. Le ultime parole si persero tra gli urli della folla che i poliziotti e gli agenti del servizio segreto spingevano per preparare un passaggio a Nixon, che doveva visitare la casa in cui nacque. La casa era di legno, modesta. Dinanzi c’era una lapide. Sai, quelle lapidi che noi dedichiamo ai padri della patria e agli eroi? Però dopo che sono morti da tempo. Io la guardavo, perplessa. Ma cosa c’è di nuovo nel nuovo Nixon? La risposta venne ore dopo, al comizio che Nixon tenne nell’auditorium di Disneyland per 10mila persone: tutte bianche. Non ho mai visto un nero in questa campagna repubblicana e in particolare con Nixon. Sembra che i neri non lo amino affatto e che il sentimento sia ricambiato da Nixon, il quale non li assume neanche come autisti o sguatteri. Tale particolare a ogni modo esula da ciò che voglio dirti: un comizio di Nixon merita d’essere visto. Non solo perché le ideologie non vi sono mai discusse: gli americani come Nixon sono tipi pratici e non si perdono mai nei meandri della dialettica e della filosofia che del resto ignorano. Ma soprattutto perché lo spettacolo assomiglia a un carnevale. Le bandiere americane erano rette da strane bambine con strani vestiti e strani cappelli, le Nixonette, e sui cappelli era scritto: «Io voglio bene a Nixon». L’esecuzione delle musiche era affidata a strani giovanotti vestiti con strane uniformi che ricordavano molto i costumi dell’operetta La vedova allegra. Del resto anche i motivi che suonavano erano più o meno i motivi de La vedova allegra. Ovunque pendevano cartelli di questo tenore: «Dai, Dick, dai!». «Forza, Dick, corri!». «Io amo Dick». «Snoopy ama Dick». «Pat come first lady» (Thelma Catherine "Pat" Ryan sposò Nixon nel 1940, ndr). L’intera faccenda era abbastanza buffa, eppure ti metteva addosso tristezza. Forse perché almeno tre quarti della folla erano composti da persone anziane.
Giacché avevo ragione io, direttore, quando dicevo che ascoltare Nixon è come tornare indietro di almeno 15 anni, cioè ai tempi di Eisenhower, della Guerra fredda, della Grande paura. Perbacco! In ogni parte del mondo nascono fermenti nuovi, i vecchi valori vengono riesaminati, perfino il modo di discutere è cambiato, si inneggia ai cecoslovacchi, i Beatles vengono onorati dalle regine. Ma in quel comizio non te ne ricordavi. Meno male che i palloncini provocarono qualche risata. I palloncini, sai, fanno parte del cerimoniale nixoniano. Secondo quel cerimoniale erano stati chiusi dentro grandi reti sospese al soffitto e le reti dovevano aprirsi all’arrivo di Nixon affinché i palloncini cadessero giù in una pioggia colorata e leggera: a simboleggiare la gioia. Ma quando Nixon arrivò le reti non si aprirono per niente. E la faccenda durò fino al momento in cui Nixon mormorò: «To hell with them», all’inferno. Poi pronunciò quel discorso che è sempre lo stesso discorso ovunque vada e a chiunque parli. Disse anzitutto: ordine e legge. E poi disse basta con le critiche agli Stati Uniti, bisogna restaurare nel mondo il rispetto per gli Stati Uniti, la guida degli Stati Uniti. E poi disse basta con queste chiacchiere sul Vietnam, se le trattative di Parigi sono a un punto morto, quando lui viene eletto dice a Hanoi mi avete stufato, la guerra la risolvo da me a modo mio cioè con la forza. A questo punto sentii un brivido nella schiena. Stavo per abbandonarmi ad atroci pensieri, quando il signor Nixon si mise a parlare di noi. E disse che gli americani erano stufi, sì, stufi, di morire per gli europei, spendere i soldi per gli europei, lavorare per gli europei, fare l’elemosina agli europei. E i 10mila si alzarono in piedi, applaudendo, inneggiando: «Bravo Dick, giusto Dick». Lo rividi a uno di quei pranzi che il Partito repubblicano organizza per raccogliere fondi destinati a far eleggere Nixon. Il pranzo si svolgeva a New York, all’hotel Americana, il prezzo di ogni coperto era di mille dollari: oltre 620mila lire italiane. Mi recai a darci uno sguardo e devo ammettere che a condurmi lì fu principalmente la curiosità di sapere cosa si mangia con 620mila lire a testa. Uova d’oro? Insalata di rubini e smeraldi? L’aria profumava di soldi e il salone era pieno dei soliti vecchi. Mi avvicinai a un tavolo, agguantai un menu, e diceva: antipasto di granchio, filetto con broccoli, mousse di albicocca. Nient’altro e, ti giuro, sentii fame per loro. E ora, direttore, ti saluto. Sono stata superficiale? Forse, senz’altro. Ma il soggetto non meritava di più. Le inchieste Gallup danno la vittoria di Nixon per certa, e la signora Nixon annuncia che alla Casa Bianca le piacerebbe mettere ovunque i tappeti da parete a parete perché lei nella vita è sempre stata per i tappeti da parete a parete.