Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  luglio 08 Lunedì calendario

Dai voltagabbana al suicidio dell’Europa

Dio, quanto mi fanno schifo i voltagabbana! Quanto li odio, quanto li disprezzo! D’accordo, i voltagabbana non sono un’italica specialità, un’italica invenzione. Tale caratteristica appartiene alla Francia. Perfino il termine (che in francese è Girouette cioè Giravolta) è nato in Francia. Nel Medioevo aveva già un significato politico e si sa: dalla Rivoluzione Francese e il Direttorio e il Consolato e l’ Impero e la Restaurazione, nessun Paese al mondo ha avuto un patrimonio altrettanto cospicuo e fastoso di girouettes. Di voltagabbana. Pensa al loro Esemplare Supremo ossia all’ uomo che Napoleone definiva «une merde dans un bas de soie, una merda dentro una calza di seta», cioè Talleyrand. (N.d.a.: Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord: prima sacerdote e vescovo di Autun, poi deputato agli Stati Generali e difensore del Clero, poi rivoluzionario nonché nemico del Clero e in quanto tale scomunicato dal Papa, poi servo di Napoleone, poi nemico di Napoleone e sostenitore del ritorno dei Borboni, poi nemico dei Borboni e sostenitore degli Orléans. Grazie a tutto ciò morto nel suo letto a ottantaquattr’ anni, più ricco di quel che fosse mai stato e di nuovo devoto al Papa. Ossia in odore di santità). Pensa allo stesso Napoleone che da giovane venerava Marat e Robespierre, «Marat e Robespierre, ecco i miei dei», e che dopo un simile debutto si fece imperatore. Da imperatore si mise a distribuire troni e principati ai fratelli, alle sorelle, agli amici... Pensa a Barras, a Tallien, a Fouché: i commissari del Terrore, i responsabili dei massacri compiuti dalla Rivoluzione a Tolone e a Bordeaux e a Lione, i farabutti che dopo aver tradito ed eliminato Robespierre presero a fornicare con gli aristocratici scampati alla ghigliottina e il primo inventò Napoleone, il secondo lo seguì in Egitto, il terzo lo servì fino alla caduta. Pensa a Jean-Baptiste Bernadotte che divenuto (grazie a Napoleone) re di Svezia, si alleò con lo Zar e (applicando la tattica napoleonica) nel 1813 decise le sorti della battaglia di Lipsia. Pensa a Gioacchino Murat, il cognato di Napoleone, da Napoleone fatto re di Napoli, che nel 1814 lo tradì alleandosi con gli austriaci... E non dimentichiamo che nel 1815 furono i francesi, non gli italiani, a compilare lo stupefacente e delizioso Dictionnaire des Girouettes, il Dizionario dei Voltagabbana. Libro che da allora continuano a stampare, ben aggiornato, senza alcuna difficoltà perché attraverso i secoli l’ elenco s’ è allungato in maniera affascinante. (Petain incluso, bien sur). E non dirmi che tutto ciò dovrebbe consolarmi, confermarmi che ho ragione a vedere nei nostri peccati i peccati degli altri europei. Perché allora ti rispondo: «A ciascuno le sue lacrime». E accidenti: se c’ è un Paese che ha imparato a puntino la lezione francese, questo è proprio l’ Italia. Pensa al girouettismo, pardon, al voltagabbanismo col quale tra il 1799 e il 1814 i sindaci toscani saltavano dal granduca Ferdinando d’ Absburgo-Lorena a Napoleone, da Napoleone di nuovo al granduca, dal granduca di nuovo a Napoleone. Pensa al «Brindisi di Girella», la poesia satirica con la quale nel 1848 Giuseppe Giusti schiaffeggiò i nostri più modesti esemplari. Cioè introdusse nel vocabolario italiano la parola «girella», versione toscana del termine girouette, voltagabbana...
IL POLITICALLY CORRECT
Queste creature patetiche, inutili, questi parassiti. Questi falsi sanculotti che vestiti da ideologi, giornalisti, scrittori, teologi, cardinali, attori, commentatori, puttane à la page, grilli canterini, giullari usi a leccare i piedi ai Khomeini e ai Pol Pot, dicono solo ciò che gli viene ordinato di dire. Ciò che gli serve a entrare o restare nel jet-set pseudointellettuale, a sfruttarne i vantaggi e i privilegi, a guadagnar soldi. Questi insetti che hanno rimpiazzato l’ ideologia marxista con la moda del Politically Correct. La moda o meglio la viscida ipocrisia che in nome della Fraternité (sic) predica il pacifismo a oltranza cioè ripudia perfino la guerra che abbiamo combattuto contro i nazifascismi di ieri, canta le lodi degli invasori e crucifigge i difensori. La moda o meglio l’ inganno che in nome dell’ Humanitarisme (sic) assolve i delinquenti e condanna le vittime, piange sui talebani e sputa sugli americani, perdona tutto ai palestinesi e nulla agli israeliani. E che in fondo al cuore vorrebbe rivedere gli ebrei sterminati nei campi di Dachau e Mauthausen. La moda o meglio la demagogia che in nome dell’ Égalité (sic) rinnega il merito e la qualità, la competizione e il successo, quindi mette sullo stesso piano una sinfonia di Mozart e una mostruosità chiamata «rap». La moda o meglio la cretineria che in nome della Justice (sic) abolisce le parole del vocabolario e chiama gli spazzini «operatori ecologici». Le domestiche, «collaboratrici familiari». I custodi delle scuole, «personale non insegnante». I ciechi, «non vedenti». I sordi, «non udenti». Gli zoppi, (suppongo), «non camminanti». La moda o meglio la disonestà, l’immoralità, che definisce «tradizione locale» e «cultura diversa» l’ infibulazione ancora eseguita in tanti paesi musulmani. Cioè la feroce pratica con cui alle giovani donne, per impedir loro il piacere sessuale, si taglia il clitoride e si cuciono le grandi labbra della vulva. Gli si lascia soltanto una piccola apertura per urinare. (Sicché immagina la sofferenza d’ una deflorazione e poi d’ un parto...). La moda o meglio la farsa che in Italia usa come portavoce un marocchino secondo il quale gli occidentali hanno scoperto la filosofia greca grazie agli arabi. Secondo il quale la lingua araba è la lingua della Scienza e dal nono secolo la più importante del mondo. Secondo il quale, scrivendo le sue Fables, Jean de La Fontaine non si ispirò a Esopo: plagiò certe novelle indiane tradotte da un arabo di nome Ibn al-Muqaffa. (*) La moda, infine, che permette di stabilire un nuovo terrorismo intellettuale: quello di sfruttare a proprio piacimento il termine «razzismo». Non sanno che cosa significa eppure lo usano lo stesso, con tale impudenza che è inutile riferirgli l’ opinione degli intellettuali afro-americani i cui antenati erano schiavi e i cui nonni hanno subito gli orrori del vero razzismo: «Speaking of racism in relation to a religion is a big disservice to the language and to the intelligence. Parlar di razzismo in rapporto a una religione è far torto alla lingua e all’ intelligenza»... (* Nota d’ Autore) Mi riferisco al marocchino che in un articoletto pubblicato in Italia ha scritto che la mia mancanza di simpatia verso l’ Islam è dovuta agli smacchi che avrei avuto con gli uomini arabi. (Da un punto di vista sessuale e sentimentale, s’ intende). A questo signore rispondo che, graziaddio, io non ho mai avuto a che fare con un uomo arabo. A parer mio v’ è qualcosa, negli uomini arabi, che disgusta le donne di buon gusto. Gli rispondo anche che la sua volgarità prova in pieno il disprezzo che gli uomini arabi vomitano sulle donne. Un disprezzo che contraccambio di tutto cuore.
IL SUICIDIO DELL’ EUROPA
Quando ero molto giovane, diciassette o diciotto anni, sognavo talmente l’ Europa! Venivo da una guerra dove gli italiani e i francesi, gli italiani e gli inglesi, gli italiani e i russi, gli italiani e i greci, gli italiani e i tedeschi, i tedeschi e i francesi e gli inglesi e i russi e i polacchi e gli olandesi e i danesi e i greci eccetera s’ erano ammazzati tra loro senza pietà: ricordi? La fottuta Seconda Guerra Mondiale. Immerso fino al collo nella nuova lotta, mio padre predicava il federalismo europeo. Il miraggio di Carlo e Nello Rosselli. Teneva comizi, parlava al popolo, urlava: «L’ Europa, l’ Europa! Bisogna fare l’ Europa!». E piena d’ entusiasmo io lo seguivo come lo avevo seguito quando urlava Libertà-Libertà. Con la pace incominciavo a conoscere quelli che erano stati i miei nemici e vedendo i tedeschi senza uniforme, senza mitragliatori, senza cannoni, mi dicevo: «Sono come noi. Si vestono come noi, mangiano come noi, ridono come noi, amano la pittura e la scultura e la letteratura e la musica come noi. Come me. Possibile che ci abbiano fatto tanto male, terrorizzato, arrestato, torturato, ucciso?». Poi mi dicevo: «Ma anche noi li abbiamo uccisi. Anche noi...». E con un brivido di orrore mi chiedevo se durante la Resistenza anch’io avessi contribuito alla morte di qualche tedesco, cioè se li avessi in un modo o nell’ altro uccisi. Me lo chiedevo e, rispondendomi forse-sì-anzi-sicuramente-sì, provavo una specie di vergogna. Mi sembrava di aver combattuto nel Medioevo, quando Firenze e Siena si facevano la guerra e l’ acqua dell’ Arno diventava rossa di sangue. Il sangue dei fiorentini e dei senesi. Con un brivido di stupore contestavo la mia fierezza d’ esser stata un soldato della mia patria, per la mia patria, e concludevo: «Basta! Basta! Il babbo ha ragione! L’ Europa, L’ Europa! Bisogna fare l’ Europa!». Bè: gli italiani delle Italie che non sono la mia Italia dicono che abbiamo fatto l’ Europa. I francesi, gli inglesi, gli spagnoli, i tedeschi che gli assomigliano dicono lo stesso. Ma questo Club Finanziario che mi ruba il parmigiano e il gorgonzola, che sacrifica la mia bella lingua e la mia identità nazionale, che mi rompe le scatole con le sue scemenze e le sue bestialità, che cioè parla di Identità-Culturale-col-Medioriente e fornica coi nostri veri nemici, non è l’ Europa che io sognavo. Non è l’ Europa. È il suicidio dell’ Europa.