La Stampa, 22 dicembre 2014
«Dio salvi il Christmas dinner». Il pudding di Natale non piace più. Simonetta Agnello Hornby, la scrittrice siciliana trapiantata a Londra lancia il suo appello per mantenere la tradizione; dall’arrosto al messaggio della Regina con tanto di inno nazionale...
In Sicilia celebravamo il Natale con due pasti: la sontuosa (seppur di magro) cena della vigilia con parenti e amici a base di pesce, verdure e dolci squisiti, che culminava con l’andare alla messa di mezzanotte, e il pranzo del giorno di Natale, en famille: il menù, deciso da nostra madre, era sempre diverso.
A Londra, il pranzo di Natale era dominato dalla tradizione degli Hornby, e si faceva a casa nostra. Mio marito e i suoi genitori lo pianificavano ogni ottobre. Decidevano sul volatile - the beast - che lui avrebbe cucinato al forno, sulle verdure di contorno e sui vini. The beast poteva essere oca o tacchino, una «recente» tradizione che vanta soltanto quattro secoli. Tutto il resto (i trimming: salse, salsicciotti, pancetta, verdure e ortaggi di accompagnamento) era immutabile. Rigorosamente. Anche iI vino: doveva essere Bordeaux, chiamato claret. Ma ne discutevano lo stesso. Baby carote o carote grosse tagliate a pezzi? Cavolo verde o bianco, tagliato a quadrati o a fettine? Pancetta di Norfolk o prosciutto danese? Cavoletti di Bruxelles comprati sfusi, o attaccati al ramo?
Ogni ottobre mia suocera preparava il pudding, per il pranzo, e il cake, per il tè, ambedue con gli stessi ingredienti in proporzioni (melassa sugna uvetta frutta secca farina e brandy) e cotture diverse: il primo a vapore e il secondo al forno. E mi teneva informata sulle cure elargite ai dolci. Ogni settimana irrorava di brandy ilpudding, tenuto sottosopra, attraverso canali formati da grossi aghi infilzati nella base. A novembre preparava il marzapane in cui avvolgeva il cake; sette giorni prima di Natale, lo copriva con una glassa di zucchero a velo e albume montato. Superbamente bello nel suo candore, il Christmas cake faceva onore alle arti culinarie di mia suocera.
Il giorno di Natale mio marito e io andavamo in cucina di prima mattina. L’ora esatta per infornare the beast era stata concordata secondo calcoli complessi e arcani e di cui ero felicemente all’oscuro: cucinare l’arrosto dei giorni di festa era il solo contributo di mio marito alla vita domestica e desideravo mantenerlo. Mi limitavo a preparare, sotto la sua guida, le verdure e i sausage rolls, involtini di pasta frolla salata con dentro impasto di salsiccia, che poi si diversificarono in pigs in the basket, salsiccia circondata da pancetta. Mi piaceva dedicarmi alla tavola. Stiravo la tovaglia bianca, vi mettevo al centro fiori rossi, e tiravo fuori le posate d’argento regalateci dai suoceri, nonostante le lame dei coltelli non fossero più taglienti – mio marito aggiungeva un altro quarto d’ora al tempo di cottura per rendere la carne ancora più tenera.
Al pranzo di Natale londinese si mangiava un piatto unico. The beast con i suoi due ripieni, uno di castagne nella cavità interna e un altro di pangrattato uovo timo e limone sotto la pelle del petto, tutti i trimming e il Christmas pudding erano più che sufficienti. L’ingresso trionfante del vassoio, con il volatile circondato daisausage rolls e pigs in basket, era visibilmente un’emozione per tutti gli Hornby: tradizione e ghiottoneria accomunava tre generazioni di inglesi.
Mio marito, in piedi, tagliava fettine di carne bianca e scura e le poggiava a ventaglio sui piatti riscaldati impilati accanto a lui. Io aggiungevo patate e le verdure. I commensali si servivano da soli delle salse. Due erano calde: il sugo dell’arrosto, addensato con farina e un tocco di vino rosso, e la bread sauce (pane immerso nel latte in cui è bollita una cipolla infilzata da chiodi di garofano). Squisite. Le altre, conserva dolce di mirtillo che complimenta a meraviglia la carne del tacchino e dell’oca, e varie mostarde, erano fredde. Il Christmas pudding suggellava il pranzo. Bellissimo al momento di servirlo – cosparso di altro brandy, arrivava a tavola fiammeggiante – è una bomba calorifica indigeribile. Inoltre vi si aggiunge una cucchiaiata di brandy butter, un crema a base di zucchero burro e brandy.
I miei figli percepivano il valore della tradizione e della tavola a festa. Dopo pranzo, ascoltavamo alla tv il messaggio della Regina ai sudditi. Grandi e piccini stavano in piedi durante l’inno nazionale. Avevo cercato di farlo anch’io, per educazione. Mia suocera, devota alla famiglia reale, mi disse imperiosa: «Tu non devi stare in piedi, non sei inglese!».
Oggi, i miei figli cucinano per le loro famiglie un pranzo di Natale tradizionale – l’arrosto di un volatile – ben più leggero di quello dei loro ricordi, ma non tanto da essere amato dai miei quattro nipoti, di età tra i 10 e i 13 anni. Ho fatto un sondaggio tra gli Hornbini: sono unanimi nel rigetto del Christmas pudding e nel sostenere che le patate al forno sono le vincitrici tra tutte le varie pietanze del pranzo. Tre preferiscono the pigs in the basketall’arrosto. Del messaggio della Regina hanno una vaga nozione. Eppure, tutti e quattro sostengono che a loro il Christmas dinner piace perché è «traditional». Non ho chiesto se preferirebbero una bella pasta al forno palermitana e babà alla panna, per paura di essere giudicata sovversiva. O forse perché credo che le tradizioni culinarie rappresentano un’intera cultura e unificano una nazione, e mi dispiacerebbe se i miei nipotini rigettassero il Christmas dinner inglese.