Il Messaggero, 22 dicembre 2014
Alfred Hitchcock, il maestro del brivido incompreso. Stanco, scontroso, solitario e amareggiato: ecco come appare il grande regista nella biografia sui suoi ultimi giorni scritta da David Freeman, suo sceneggiatore e autore del testo “The short night”, il film che non vide mai la luce
Come ogni maestro dell’ironia, Alfred Hitchcock era un uomo triste e tristemente morì, sofferente di artrite e quasi ignorato dalla critica americana. Una biografia uscita in questi giorni, The last days of Hitchcock, ci introduce alla corte di uno dei più grandi registi del ventesimo secolo e ci fa capire la solitudine in cui egli trascorse l’ultimo periodo della sua vita. E la delusione che provava nel sentirsi considerato un regista commerciale e non l’autore di alcuni tra i film più sorprendenti del ventesimo secolo. Forse non gli giovava apparire ogni settimana in TV per presentare i suoi brevi telefilm polizieschi, che pure tanto piacevano al pubblico. In quei “cammei” era lui il vero personaggio. E le brevissime frasi che pronunciava facevano crescere l’audience. Però allontanavano la critica più impegnata che lo considerava poco più che un clown.
ESIBIZIONISMO
Né gli giovava il suo caratteraccio, quel tocco di egoismo e di esibizionismo, che lo spingeva ad elogiare se stesso a scapito di star del talento di Ingrid Bergmann e Cary Grant. Il cinema americano gli dette la fama ma gli lesinò gli onori, a cominciare dall’Oscar. Ebbe cinque nomination, ma non potè mai stringere tra le mani la statuetta tanto ambita.
L’autore della biografia, David Freeman, fu un suo sceneggiatore, e gli propose l’ultimo film della sua vita, un’opera che non si fece mai. Eppure Hitchcock ci lavoro` assieme allo scriptwriter per mesi, imponendo i suoi gusti, le sue tecniche, la sua maestria. Quell’ultimo film si doveva chiamare The short night, ma lo sceneggiatore propose di chiamarlo Pursuit. Allora Hitchcock tagliò netto: «Chiamiamolo prosciutto» e gettò la spugna. Era stanco, e lo disse non solo a Freeman, ma anche ai produttori, i quali non se lo fecero ripetere: buttarono via il materiale già preparato, e liquidarono Alfred con un addio.
L’ADDIO
Fu un addio vero. Il regista morì poco dopo, ma anche da morto si prese burla del mondo dello spettacolo, evitando che al funerale ci fosse la sua bara. Aveva deciso all’ultimo momento di essere cremato, ma lo disse solo agli addetti ai lavori, ovvero ai responsabili delle pompe funebri. Così coloro che gli resero l’ultimo omaggio, non vedendo la bara, pensarono che fosse ancora vivo. E in effetti dopo la morte rinacque, nel senso che la sua fama si rigenerò.
CAPOLAVORI
I suoi film furono rivisitati con attenzione e si scoprì che erano autentici capolavori. Del resto, la critica francese, più sofisticata di quella USA, se n’era già accorta. E la rivista “Les cahiers du cinema” gli aveva dedicato un numero speciale con una lunga intervista e giudizi lusinghieri di Truffaut e Chabrol. La Regina d`Inghilterra lo aveva insignito del titolo di “Sir”, anche per ricordare che lui era inglese, e la sua patria non poteva dimenticarlo. Soltanto l`America non l’aveva mai capito davvero, almeno finché la sua presenza ingombrante aveva dominato Hollywood.
DETTAGLI
Freeman ci ricorda che Sir Alfred era ossessionato dai dettagli. Quando pensava a una scena, non si fermava a ciò che bisognava inquadrare, ma “zoomava” sull’anima dei suoi personaggi, attraverso l’analisi minuziosa del loro comportamenti. Occorreva coglierne ogni sfumatura. E scendere dal generale fino al particolare, come in Psyco, che si apre con una veduta della città, poi ci mostra un totale di un edificio, quindi una finestra, e da lì un interno, dove la vita e la morte cominciano.
In un certo senso, Hitchcock applicò alcune regole di Stanislavski al cinema moderno, del quale rielaborò la grammatica, con un metodo eretico e affascinante. Altro che regista commerciale. Fu così bravo da avvicinare ai film di qualità le grandi masse.