Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 22 Lunedì calendario

La terza età degli elefanti. Quei pachidermi passati dai lavori di fatica ad attrattiva per il turismo ora possono andare in pensione. In Thailandia hanno creato una sorta di ospizio nella foresta: in totale una ventina di ospiti, la più vecchia è Mae, 87 anni

Gli elefanti, neanche a dirlo, sono a rischio. Ma stavolta a preoccupare non è solo la salvaguardia della specie. In Thailandia c’è un problema, per così dire, sociale: cosa si fa con i pachidermi troppo anziani per lavorare? Dove si mettono quelli che non ce la fanno più con le mansioni di oggi, ovvero spettacoli e passeggiate con i turisti? Per questi bestioni hanno aperto un centro a Chiang Mai, vicino al confine con la Birmania, una sorta di ospizio nella foresta: in totale una ventina di ospiti, la più vecchia è Mae, 87 anni. 
Tra passeggiate e bagni
Si chiama «Thai elephant care center», è l’evoluzione del campo di divertimenti Mae Sa, e chi passa di qui non si limita a osservare la vita di questi pacifici signori, ma può anche provare l’emozione di alleviargli il peso dell’età. I volontari hanno la giornata piena: al mattino presto si prendono gli elefanti che trascorrono la notte al pascolo nella foresta, si portano al campo e si prepara il mangime. Poi cominciano le operazioni di wellness: passeggiata verso lo stagno, dove il pachiderma si cosparge, più o meno volentieri, di fango, prezioso per la pelle e nemico dei parassiti. Due ore al sole per essiccare il tutto e poi di corsa, si fa per dire, al fiume per il bagno vero e proprio, ci si immerge insieme utilizzando una spazzola per togliere la terra: uno spettacolo della natura. Il ciclo si completa con dei massaggi assai energici «servono per rimettere il cuore al suo posto» spiegano i gestori del centro. 
Dal lavoro agli show
Il problema sociale, in realtà, non è solo quello della terza età, ma anche quello della disoccupazione (sempre parlando di animali). Quando l’uomo ha abbandonato gran parte della coltivazione delle risaie in questa zona, a perdere il lavoro, oltre ai contadini, sono stati proprio i pachidermi, utilizzati da sempre come bestie da fatica. Così a decine giravano senza meta e senza scopo, minacciando, a modo loro, i centri abitati e quello che restava dell’agricoltura. A quel punto è nata l’idea di riutilizzarli come attrazione turistica, la zona è molto visitata per i templi buddhisti. Il passo successivo è stato, appunto, occuparsi anche di quelli che non sopportano più i ritmi degli show per stranieri. Un’attività improduttiva, dalla quale si cerca di ricavare qualche Bath (la moneta locale), provando anche a cambiare il modello turistico: non è più l’animale che modifica la sua natura per compiacere il visitatore, ma il contrario. 
Bestie sacre
Il rispetto per queste bestie, quasi sacri per le popolazioni locali, è forse tardivo, ma assoluto. Frutto anche di un dibattito ambientalista che qui ha avuto toni molto accesi. Quando muore un esemplare si ferma tutto il campo, viene chiamato un monaco che officia un rito, prima di cominciare la sepoltura che cambia a seconda delle cause del decesso. Qui al campo c’è anche il cimitero, dodici lapidi con tutti i crismi: nome, data di nascita e di morte, frase di ricordo e una piccola collinetta a testimonianza della mole del defunto. 
Il rapporto con i «mahout» 
A gestire tutte le attività quotidiane ci pensano i «mahout», gli uomini che da millenni si occupano degli elefanti, un popolo di allevatori, con sapienze radicate a metà tra scienza e mistica: raccolgono erbe sui monti, parlano con gli animali (giurano di condividerne il linguaggio verbale), ne capiscono i malesseri e li rassicurano. I «mahout» fanno parte di minoranze etniche che provengono anticamente dall’India, ora vivono in zone assai remote della Thailandia. Alcuni hanno trovato lavoro insieme ai loro animali (dei quali hanno perso però la proprietà). «Perché gli animali si fidino di noi, servono sei mesi – racconta Karen Kerrahee, che a 24 anni sa tutto di questo mondo – ci riconoscono dall’odore, sanno che stiamo arrivando da loro anche a tre chilometri di distanza. Per noi resta un mistero». Un mistero che va salvaguardato.