la Repubblica, 22 dicembre 2014
Nicola Zingaretti, governatore del Lazio, propone di ridurre il numero delle Regioni: «Sono troppe, serve un piano per accorparle. In attesa di ridurne il numero possiamo cominciare a risparmiare mettendo in comune le attività. Chiamparino l’ha già proposto»
Il suo obiettivo esplicito è una netta sforbiciata al numero delle Regioni. Quelle di oggi, dice, riflettono una suddivisione anacronistica del territorio italiano. Per arrivarci però Nicola Zingaretti, governatore del Lazio, propone una tappa intermedia: senza bisogno di nuove leggi, le regioni inizino subito a mettere in comune per grandi aree del Paese alcuni dei mestieri che fanno ciascuna solo per sé.
Zingaretti, 49 anni, iscritto al Pd, ha ereditato nel 2013 la guida da Renata Polverini di Forza Italia una Regione in default. Da allora ha ridotto la spesa di un miliardo e chiuso dodici società controllate, ma la situazione resta fragile: i bilanci dicono che su 2 miliardi di spesa della Regione, 1,2 servono a pagare gli interessi sui debiti degli ultimi 20 anni. Ora, con un’altra tornata di tagli in arrivo nella Legge di stabilità, anche i timori sui conti inducono il governatore a voltare pagina.
L’abolizione delle Province avanza con risultati incerti. Perché con le Regioni dovrebbe andare meglio?
«Non dobbiamo commettere l’errore, emerso sulle Province, di affidarsi agli slogan o ai colpi di mano solo nell’idea di tagliare lo Stato per risparmiare. Queste riforme vanno fatte con l’obiettivo riorganizzare lo Stato, ma per farlo funzionare meglio. Come la vedo io, un’autoriforma delle Regioni mira anche a fornire servizi di qualità ai cittadini mettendo in comune certe funzioni di governo. C’è molto di concreto che si può già fare senza fare nuove leggi».
Cosa le fa pensare che i suoi colleghi governatori abbiano voglia di rinunciare ciascuno ai propri poteri esclusivi?
«Da presidente del Piemonte e della Conferenza delle Regioni, Sergio Chiamparino ne ha già parlato al governo. Le circoscrizioni regionali furono definite in un’altra èra, quando la società era ancora molto agricola e non esisteva il mercato unico europeo. I confini regionali non corrispondono più necessariamente ad ambiti ottimali per il buon governo: quasi 70 anni dopo che sono stati disegnati e dopo 40 anni di funzionamento, si può pensare a rivedere lo stato di cose».
Con quali passi concreti?
«Le Regioni possono iniziare subito a mettere insieme alcune attività, in modo da ridurre i costi e alzare la qualità dei servizi. Poi si potrà pensare realisticamente a ridurre il numero delle Regioni stesse per arrivare a ambiti più ampi».
Provi a indicare i mestieri che andrebbero messi in comune.
«L’attività di zooprofilassi lo è già e dimostra che si può fare. Ci si può arrivare su alcuni servizi sanitari, anche attraverso la specializzazione di centri di eccellenza facilmente raggiungibili. La protezione civile, la tutela dal rischio idrogeologico, i trasporti, le agenzie regionali per l’ambiente. E naturalmente anche certi enti e società partecipate. Le istituzioni regionali devono avere la lungimiranza di perdere qualche pezzo di ciò che per alcuni continua ad essere un potere, anche elettorale, a vantaggio dell’efficienza per i cittadini e le imprese».
Si è fatto un’idea dei risparmi che si possono ottenere?
«No. Dopo che ho letto la sciocchezza che abolendo le Province si sarebbero avuti 13 miliardi di spesa in meno, ho gettato la spugna. Il punto è smettere di pensare che lo Stato sia una bad company irriformabile. Non dobbiamo chiudere e smantellare le strutture, ma accettare la sfida dell’autoriforma. Con le risorse disponibili, a maggior ragione dopo gli ultimi tagli alle Regioni, gli apparati non tengono più».
Lei stesso sta ricontrollando molti appalti già concessi, per capire se Mafia Capitale si sia infiltrata anche da voi. Perché i cittadini dovrebbero credere a un’autoriforma, con quello che hanno sotto gli occhi?
«Perché esistono misure che si possono prendere subito per togliere ossigeno alla corruzione. Vanno ridotte drasticamente le centrali appaltanti. Vanno semplificate le procedure e i cosiddetti pareri di competenza, e serve trasparenza totale, consultabile su Internet, su ogni gara d’appalto e chi le vince. La complessità dei processi amministrativi è il brodo della corruzione, dunque è importante che si sappia sempre chi esattamente fa cosa».
È una critica al governo, che invece punta soprattutto a inasprire le pene dei condannati?
«No, è un contributo costruttivo».
Lei parla di semplificazione, ma in Italia per decidere su una strada o un ponte bisogna mettere d’accordo decine di poteri diversi. Sicuro sia fattibile?
«Sì, se il governo aggredisce il tema delle competenze. Dobbiamo andare verso un modello nel quale ciascun livello di governo abbia competenze esclusive su dati settori o funzioni, in modo che tutto sia più veloce e le responsabilità siano chiare. Non si può decidere sempre tutto a un tavolo di 24, con 24 diritti di veto. Meno ancora oggi che Bruxelles individua nelle città e nelle Regioni di tutta Europa, non solo nei governi, degli interlocutori diretti».