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 2014  dicembre 22 Lunedì calendario

Nel 2014 la battaglia per il futuro dell’Europa è stata combattuta fra due leader: il presidente russo Vladimir Putin e la cancelliera tedesca Angela Merkel. E ha vinto la cancelliera, che privilegia i progressi graduali, punta soprattutto sulla forza economica e pilota pazientemente una tartaruga europea multinazionale, che si muove lentamente e mette in comune la sua sovranità

Nel 2014 la battaglia per il futuro dell’Europa è stata combattuta fra due leader: il presidente russo Vladimir Putin e la cancelliera tedesca Angela Merkel. Le differenze fra i due sono marcate come più non potrebbe essere. Da un lato l’uomo russo, machista, militarista, seguace della menzogna spudorata in stile sovietico (soldati russi in Crimea? Quali soldati?), un rancoroso nazionalista postimperiale che in una recente conferenza stampa ha paragonato la Russia a un orso accerchiato. Dall’altro lato la donna tedesca, che privilegia i progressi graduali, parla in modo semplice e tranquillo, cerca di costruire un consenso ampio, punta soprattutto sulla forza economica e pilota pazientemente una tartaruga europea multinazionale, che si muove lentamente e mette in comune la sua sovranità. I metodi del XIX secolo a confronto con quelli del XXI.
Per la prima metà del 2014 è stato l’orso a guidare la corsa, ma ora, con l’economia russa a rischio tracollo, sembra che alla fine stia vincendo la tartaruga.
La Merkel è considerata il personaggio politico più importante d’Europa già da tempo, ma quest’anno, con la gestione della crisi ucraina, è diventata la statista più importante del vecchio continente. Continuo a essere critico verso la sua gestione della crisi dell’euro, ma non posso non ammirarla per come ha saputo affrontare il ritorno della guerra sul suolo europeo nel centesimo anniversario dell’inizio della Grande Guerra.
All’inizio di quest’anno, il presidente tedesco Joachim Gauck, un protestante dell’ex Germania Est, ha raccolto l’invito che altri europei avevano già rivolto alla Germania perché si assuma maggiori responsabilità di leadership in Europa. Nel corso dell’anno la Merkel, anche lei protestante e anche lei dell’ex Germania Est, ha risposto a quell’appello.
La metà orientale dell’Europa è il suo mondo. Ce l’ha nelle ossa. La capisce. Una delle prime persone ad avere influenza su di lei fu il suo insegnante di russo. Quando era una studentessa, vinse le «olimpiadi» di russo della Ddr. Sulla parete del suo ufficio ha un ritratto di Sophie von Anhalt-Zerbst, la principessa pomerana che diventò l’imperatrice Caterina la Grande di Russia. È in grado di parlare a Putin in russo, come lui è in grado di parlare a lei in tedesco. Nel 1989 erano tutti e due in Germania Est, lui come ufficiale del Kgb e lei come giovane scienziata, e gli insegnamenti che hanno tratto da quell’esperienza sono diametralmente opposti. In politica interna la Merkel dà prova di un tatticismo esasperato: cambia rotta quando le conviene e riesce a sventare infallibilmente, come Caterina la Grande, le minacce al suo potere. Ma in questa crisi europea sono saliti alla ribalta due princìpi personali profondamente radicati per una protestante della Germania Est della sua generazione: la pace e la libertà. In un discorso di grande efficacia pronunciato il mese scorso a Sydney ha criticato aspramente quello che ha fatto Putin in Ucraina, facendo riferimento a quell’esperienza comune da cui i due leader hanno tratto conseguenze tanto divergenti: «Chi avrebbe ritenuto possibile che venticinque anni dopo la caduta del Muro di Berlino (…) potesse accadere una cosa del genere nel pieno dell’Europa? Non bisogna lasciare che prevalgano le vecchie concezioni fondate sulle sfere di influenza, in cui il diritto internazionale viene calpestato impunemente».
Sempre nello stesso discorso ha proposto qualche riflessione sugli insegnamenti del 1914. Se i leader europei, un secolo fa, entrarono in guerra quasi senza rendersene conto, oggi devono far tesoro degli insegnamenti della storia e aprire gli occhi sul pericolo.
È per questo che la Merkel ha parlato con Putin più di qualsiasi altro leader mondiale: 35 telefonate nei primo otto mesi di quest’anno, secondo i dati pubblicati dal Cremlino.
Come non si stanca mai di ripetere, la sua strategia ha tre capisaldi: sostegno per l’Ucraina, dialogo diplomatico con la Russia e sanzioni per riportare Putin al tavolo dei negoziati. Vedere la Germania in prima fila nel sostenere sanzioni economiche contro la Russia è straordinario. Nei primi Anni 90 ho scritto una storia della Ostpolitik della Germania Ovest fino al momento della riunificazione, e il primo comandamento di questa Ostpolitik era che gli scambi commerciali con il blocco orientale non dovevano mai interrompersi. Gli Stati Uniti in alcuni casi invocarono sanzioni e la Germania vi si oppose. Oggi la Germania, tra le potenze europee, è quella che ha il più forte interscambio commerciale con la Russia. Il settore energetico, la produzione di macchine utensili e altri settori fortemente orientati verso l’Est Europa costituiscono una lobby potente in Germania, anche e soprattutto dentro l’Unione cristianodemocratica, il partito della Merkel. Eppure la cancelliera è riuscita a portare tutti sulla via delle sanzioni.
Una mano gliel’hanno data, naturalmente, Putin e i separatisti russi dell’Ucraina orientale, specialmente dopo l’abbattimento di un aereo di linea malese, a luglio.
La Merkel è riuscita a convincere della necessità delle sanzioni membri dell’Ue più riluttanti, in particolare l’Italia, ma anche Paesi più piccoli dell’Europa orientale, dove la Russia esercita una forte influenza.
Il Consiglio europeo della settimana scorsa è stato presieduto formalmente dall’ex primo ministro polacco Donald Tusk. Ma Tusk è un fedele alleato della Merkel. Sanno tutti che la presidente vera dell’Europa è lei. Nel suo discorso di Sydney, ha sottolineato nuovamente che è di vitale importanza che gli Stati europei parlino «con una voce sola».
E poi è stata fortunata. Senza la spettacolare caduta del prezzo del petrolio, le sanzioni, che sono ancora frammentarie e non sono sostenute dalla Cina e da altri importanti partner economici della Russia, non avrebbero avuto un impatto così devastante.
La battaglia per l’Europa è tutt’altro che conclusa. Nella Russia stessa l’aggravarsi della crisi economica non si tradurrà necessariamente in politiche più accomodanti.
L’orso stretto nell’angolo potrebbe reagire con una zampata. Nei campi insanguinati dell’Ucraina orientale c’è ancora il rischio di errori di calcolo in serie che potrebbero portare, come nel 1914, a un’escalation. Aerei militari russi volano nello spazio aereo di Paesi baltici membri della Nato. L’articolo 5 della Carta atlantica dice che un attacco contro uno dei suoi membri è un attacco contro tutti, ma che cos’è un attacco nel XXI secolo? Come l’intrusione degli hacker nordcoreani nei computer della Sony ci ha ricordato, un cyberattacco non è la stessa cosa di una divisione di fanteria in divisa che oltrepassa un confine chiaramente demarcato. Che cosa succederà se Putin invierà di nascosto altri «omini verdi» per attizzare disordini fra le minoranze di etnia russa nei Paesi baltici?
Insomma, i pericoli sono ancora tanti e il 2015 potrebbe portare problemi ancora più seri. Ma in questo 2014 che si avvicina al termine, dico senza esitazioni che la statista dell’anno è stata Angela Merkel.
(Traduzione di Fabio Galimberti)